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Confessioni di un Italiano di Ippolito Nievo pagina 95sangue nelle vene dopo una corsa precipitosa; la mente avea volato troppo, non conosceva più l'aria in cui batteva le ali, il ribrezzo dell'infinito la sgomentiva. Mi avvicinai alla ringhiera per guardar nel fiume, e quell'acqua che passava, che passava senza posa, senza differenza alcuna, mi dava l'immagine delle cose mondane che colano fluttuando in un abisso misterioso. I discorsi del padre Pendola facevano allora nella mia memoria l'effetto d'un sogno che si ricorda di aver veduto chiaramente e di cui non ci sovviene più che con una vaga e scolorita confusione. Mi volsi per cercarlo; e vidi Giulio e la Pisana che bisbigliavano fra loro. Sentii come Icaro sciogliermisi la cera delle ali e precipitava nelle passioni di prima; ma l'orgoglio mi sorresse. Mi era pur sentito poco prima tanto maggiore di essi, perché non potea continuare ad esser tale? Guardai coraggiosamente la Pisana, e sorrisi quasi di pietà; ma il cuore mi tremava; oltreché non credo che quel sorriso mi durasse a lungo sulle labbra. Allora il padre Pendola, che avea confabulato col Senatore, mi si raccostò; e quasi indovinando le titubanze dell'anima mia prese a compatirmi con sì squisita carità, che io mi vergognai d'aver tentennato. Le sue parole erano dolci come il mele, entranti come la musica, pietose come le lagrime: mi commossero, mi persuasero, mi innamorarono. Fermai fra me di tentare la prova; d'immolarmi a quei sublimi doveri di cui mi avea parlato, di esser alla fine padrone di me una volta e di saper dire: “Voglio così” — “Soffrirò”, pensava frattanto “ma vincerò; e le vittorie accrescono le forze, laonde se non altro avrò guadagnato di poter poi soffrire con minor viltà. Per nulla Martino non è risuscitato, per nulla il padre Pendola non ha letto nel mio cuore; ambidue prescrivono l'egual rimedio; io sarò coraggioso e ne userò da forte!”. Il reverendo padre mi parlava ancora col suono carezzevole d'una cascatella fra i muscosi dirocciamenti d'un giardino; non saprei dire quali cose ei mi dicesse; ma nel togliermi di là ebbi il coraggio di offrir il braccio al Conte ed alla Pisana perché salissero in carrozza e di accomodarmi poi a cassetta col pretesto del caldo, che pur non era molesto in una notte d'ottobre. Dopoché braccheggiava in cancelleria avea libero ingresso nella carrozza dei padroni, e quella sera mi convenne anzi sostenere una battagliola col Conte per non approfittare di questo prezioso diritto. Mi ricordò allora d'alcuni anni prima quando scoperto l'invaghimento della Pisana per Lucilio avea fatto quella strada stessa appeso alle coregge posteriori della carrozza, e perduto in un turbine di pensieri e d'angosce che mi dissennava. Quella sera avrei dato la vita per poter sedere accanto a lei, e martoriarmi nella sua indifferenza e assaporare avidamente il male che mi si faceva. Quanto insuperbii di vedermi mutato a quel segno! Era io allora, invece, che volontariamente rifiutava di avvicinare la mia persona alla sua; dopo tanti spasimi, tante gelosie, tanti tormenti, finalmente avea conquistato il coraggio di fuggire! Non credo peraltro che arrivassi a Fratta né più felice né meno pallido; e se il povero Martino fosse stato vivo, certamente avrebbe notato la mia cattiva voglia. Invece trovai il Cancelliere che aveva una carta di gran premura da farmi ricopiare, e non avendomi beccato durante la giornata, mi assalì sgarbatamente la notte. Lo credereste che io mi ci misi con un gusto matto? Mi pareva di principiare consapevolmente l'opera di mia redenzione; e m'increstava di lasciar andare a letto la Pisana senza fermarmi a guardar la luna, e pensare e martoriarmi dietro a lei. Gli è vero che ricopiando quella carta mi successe di duplicare qualche parola, e saltarne qualche altra; e ad ogni tuffo nel calamaio, diceva fra me: “Finalmente son riescito a non pensarci per una mezza giornata!”. E così ci pensava senza scrupolo; ma la coscienza non se n'accorgeva, e per discretezza faceva l'indiana, come la madre di Adelaide. Il padre Pendola mi parlò, m'istruì, mi consigliò parecchie volte nei brevi giorni che rimasi ancora a Fratta. Il piovano di Teglio gli dava mano colle sue esortazioni, e così io partii che mi pareva di andare ad una crociata, o poco meno. M'accorgo ora che mi mancava la fede; ma aveva la curiosità, l'orgoglio, il coraggio che possono impiastricciarne una pel momento. Quando il pensiero della Pisana cascava come un razzo alla congrève fra il conciliabolo de' miei nuovi proponimenti, ed uno scappava di qua, un altro si salvava per di là, io mi dava delle grosse picchiate nel petto sotto il tabarro, recitava qualche giaculatoria e con un po' di pazienza l'incendio si spegneva e tornava cittadino e cristiano, come voleva il padre Pendola. Forse peraltro non sarei giunto ad accontentare il Piovano; il quale, clausetano fin nelle unghie, dopo la vana aspettativa d'un anno, tacciava l'ottimo padre di indolenza e di incuria negli affari della diocesi. Egli avrebbe voluto uno zelo da san Paolo. Il padre invece nuotava sott'acqua, e così ingannava meglio i pesci e le anitre; dopo ch'egli avea preso le redini della Curia, si osservava nel clero cittadino una disciplina esterna più uniforme e canonica. Non avrei voluto vedere cosa stava ancora di sotto, ma si evitavano i sussurri, le censure, gli scandolezzi. Con quattro paroline di prudenti preghiere e qualche ammiccata d'occhi, il buon padre aveva ridonato agli ecclesiastici quelle dignitose apparenze, che sono di gran momento per mantenere l'autorità. Sicuro che un Gregorio VII non si sarebbe arrestato lì; ma il reverendo padre sapeva contar i secoli, e voleva sanar il sanabile, non arrischiar la vita dell'infermo con tardive operazioni. Gli bastava che certe cose non si vedessero e non se ne parlasse, e che non dando così appiglio al raccapriccio degli scrupolosi, anche i vecchi, i rigidi, gli incorruttibili fossero costretti a tacere, a rabbonirsi, a omettersi della solita insubordinazione, mantenuta in fin allora col pretesto dell'anarchia e della spensieratezza dei superiori. Ciò appunto non quadrava al piovano di Teglio; ma in quanto a me egli approvava il santo fervore inspiratomi dal segretario, e me ne incaloriva maggiormente colla sua rozza e sincera facondia. Io arrivai a Padova coll'invasamento di uno che s'appresta a farsi frate per disperazione amorosa. Giuntovi appena, corsi dall'avvocato Ormenta, al quale era già stato scritto dal padre Pendola, e che mi accolse appunto come il guardiano o il provinciale accoglierebbe un novizio. Quel degno avvocato che m'era sembrato l'anno prima un po' sospettoso, un po' beffardo, un po' gelato, mi parve invece allora l'uomo più aperto, soave e mellifluo della terra. Le sue occhiate andavano e rapivano in estasi; ogni suo gesto era una carezza; ogni parola picchiava proprio al cuore come a casa propria. Di tutto era contento, anzi beato; di sé, del padre Pendola e sopratutto del prezioso dono che questi gli avea fatto coll'affidargli la mia tutela. Mi parlò di fiducia, di raccoglimento, di pazienza; m'invitò a pranzo per tutti i giorni che avrei voluto, meno il mercoledì nel quale egli usava digiunare, e questo metodo non potea forse convenire al mio stomaco giovanile. Si congratulò con me della mia età freschissima la quale mi dava doppia opportunità di far il bene: bisognava indagare le massime le intenzioni de' miei compagni; consultarne con lui per guardar di correggerle di indirizzarle a miglior scopo se parevano difettive o fuorviate; avrei servito di canale perché il senno maturo potesse avvantaggiare della sua esperienza la focosa attività dei giovani; così ce ne fossero stati tanti di questi mediatori! Ma già parecchi se n'aveano, e il frutto ricavato cominciava a moltiplicarsi, e a manifestarsi nella parte più docile e riflessiva della gioventù. Io sarei stato fra i più benemeriti col mio ingegno, colla mia fisonomia bella e simpatica, colla mia loquela pronta e Tag: padre pendola prima invece dopo coraggio cose uno piovano Argomenti: reverendo padre, degno avvocato, prezioso dono, povero martino, senno maturo Altri libri consultabili online del sito affini al contenuto della pagina: Novelle rusticane di Giovanni Verga Rinaldo di Torquato Tasso Storia di un'anima di Ambrogio Bazzero Decameron di Giovanni Boccaccio Diario del primo amore di Giacomo Leopardi Articoli del sito affini al contenuto della pagina: Come riconoscere i sintomi di una gravidanza I primi segnali di una gravidanza Offerta Capodanno a Praga Come fare un profumo alle rose Sposarsi senza spendere troppo
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