Confessioni di un Italiano di Ippolito Nievo pagina 191

Testo di pubblico dominio

dell'imposte, cosa insolita nella Legazione, cominciai a credere che non fossi ancora in paradiso, ed a sperare che il ritorno della Pisana avrebbe supplito a quel tanto che sentiva mancarmi. Infatti non due non tre ma sei mesi erano trascorsi dalla sua partenza da Ferrara, e non solo non tornava, ma da ultimo anche dopo il mio passaggio a Bologna scarseggiavano le lettere. Fu gran ventura che avessi il capo nelle nuvole, altrimenti l'avrei dato nelle pareti. La Pisana aveva questo di singolare nel suo stile epistolare, che non rispondeva mai subito alle lettere che riceveva; ma le metteva da un canto e poi le riscontrava tre quattro otto giorni dopo, sicché, non ricordandosi ella più di quanto aveva letto, la risposta entrava in materia affatto nuova, e si giocava alle bastonate alla guisa dei ciechi. Molte e molte volte io le aveva scritto ch'era stufo di restar solo, che non sapeva che pensare di lei, che si decidesse a tornare, che mi scoprisse almeno la vera cagione di quella inconcepibile tardanza. E nulla! Era un battere al muro. Mi rispondeva di volermi bene piucchemai, che io badassi a non dimenticarmi di lei, che a Venezia si annoiava, che sua mamma stava proprio benino, e che sarebbe venuta appena le circostanze lo permetterebbero. Io riscriveva a posta corrente domandando quali fossero queste circostanze, e se le abbisognavano denari; o se non poteva venire per qualche gran motivo, e che lo dicesse pure perché in questo caso avrei domandato un passaporto e sarei ito a tenerle compagnia per tutta la durata del mio permesso. Non mancava poi mai di chiederle informazioni della preziosissima salute di Sua Eccellenza Navagero, il quale, secondo me, doveva esser andato al diavolo da un pezzo: eppur la Pisana non mi rispondeva mai neppure in qual mondo egli fosse. La trascuranza di ciò ch'ella sapeva dovermi tanto premere finì di punzecchiare l'amor proprio del magnifico Intendente di Bologna. Per completare la mia grandezza, perché il carro del mio trionfo avesse tutte quattro le ruote mi bisognava una moglie; e questa non poteva aspettarla che dalla morte del Navagero. Mi stupiva quasi come questo inutile nobiluomo non si fosse affrettato a morire per far piacere ad un intendente par mio. Se poi era la Pisana che me ne tardava a bella posta la novella, l'avrebbe a che fare con me!... Voleva che sospirasse almeno un anno la mano del futuro ministro delle Finanze... e poi?... oh, il mio cuore non sapeva resistere più a lungo, nemmeno in idea. L'avrei assunta al mio trono, come fece Assuero dell'umile Ester; e le avrei detto: — Mi amasti piccolo, grande te ne ricompenso! — Sarebbe stato un bel colpo; me ne congratulava con me stesso, passeggiando su e giù per la stanza, sfregolandomi il mento, e masticando fra i denti le paroline che avrei soggiunto ai ringraziamenti infocati della Pisana. I subalterni che entravano con fasci di carte da firmare, si fermavano sulla soglia e andavano poi fuori a raccontare che l'intendente Soffia era tanto in sul soffiare che pareva matto. Peraltro quei giorni meno che gli altri avevano a lagnarsi di me: e in generale, siccome lavorava molto io, ed era paziente e corrivo cogli altri, in onta al mio soffiare aveano preso a volermi bene. Gli uomini bolognesi sono i più gentili mordaci e dabbene di tutta Italia; per cui anche avendoli amici, e amici a tutta prova, bisogna permetter loro di dir male e di prendersi beffa di voi almeno un paio di volte il mese. Senza questo sfogo creperebbero; voi ne perdereste degli amici servizievoli e devoti, ed il mondo degli spiritini allegri e frizzanti. Quanto alle donne, sono le più liete e disimpacciate che si possano desiderare: sicché il governo dei preti non va accagionato di renderle impalate e selvatiche. Se questo si osservò un tempo a Verona a Modena e in qualche altra città di costumi bigotti, vuol dire che ne avranno avuto colpa più le monache le madri i mariti che i preti. La religione cattolica non è né arcigna né selvatica né inesorabile; infatti se volete trovare l'obesità, la rigidezza e lo spleen bisogna andare fra i protestanti. Non so se compensino queste magagne con altre doti bellissime; io guardo, noto senza parzialità, e tiro innanzi. Anche un rabbino mi assicurò l'altro giorno che la sua religione è la più filosofica di tutte; ed io lo lasciai dire, benché, sapendo che il rabbino è filosofo, avrei potuto rispondergli: “Padron mio, tutti i filosofi maomettani, bramini, cristiani ed ebrei trovarono sempre la propria religione più filosofica delle altre. Così il cieco definisce il rosso il più sonante di tutti i colori. La religione si sente e si crede, la filosofia si forma e si esamina: non mescoliamo di grazia una cosa coll'altra!...”. Per finir poi di parlarvi di Bologna, dirò che vi si viveva allora e vi si vive sempre allegramente, lautamente, con grandi agevolezze di buone amicizie, e di festive brigate. La città dà mano alla villa e la villa alla città: belle case, bei giardini, e grandi commodi senza le stiracchiature di quel lusso provinciale che dice: “rispettatemi perché costo troppo e devo durare assai!”. Sempre in attività, sempre in movimento tutte le funzioni vitali. Ciarlieri e vivaci per affrontare il brio e la ciarla altrui; lesti per piacere a quelle care donnine così leste e compagnevoli; agili e svelti per correre di qua e di là e non mancare al gentil desiderio di nessuno. Si mangia più a Bologna in un anno che a Venezia in due, a Roma in tre, a Torino in cinque ed a Genova in venti. Benché a Venezia si mangia meno in colpa dello scilocco, e a Milano più in grazia dei cuochi... Quanto a Firenze a Napoli a Palermo, la prima è troppo smorfiosa per animare i suoi ospiti alle scorpacciate; e nelle altre due la vita contemplativa empie lo stomaco per mezzo dei pori senza affaticar le mascelle. Si vive coll'aria impregnata dell'olio volatile dei cedri e del fecondo polline dei fichi. Come ci sta poi col resto la question del mangiare? Ci sta a pennello perché la digestione lavora in ragione dell'operosità e del buon umore. Una pronta e svariata conversazione che scorra sopra tutti i sentimenti dell'animo vostro, come la mano sopra una tastiera, che vi eserciti la mente e la lingua a correre a balzare di qua e di là dove sono chiamate, che ecciti che sovrecciti la vostra vita intellettuale, vi prepara meglio al pranzo di tutti gli assenzi e di tutti i Vermutti della terra. Il Vermuth han fatto bene a inventarlo a Torino dove si parla e si ride poco, fuori che alle Camere: del resto quando l'hanno inventato non avevano lo Statuto. Ora dell'attività ce n'è, ma di quella che aiuta a fare, non di quella che stimola a mangiare. Fortuna per chi spera in bene e pei fabbricatori di Vermuth. Ad onta di tutte queste chiacchiere che infilzo adesso, la Pisana allora non faceva mostra per nulla di voler tornare; e Bologna perdeva a poco a poco il merito di stuzzicarmi l'appetito. Un amore lontano per un intendente di ventott'anni non è disgrazia da metterla in burla. Passi per un mese o due; ma otto, nove, quasi un anno! Io non aveva fatto nessuno dei tre voti monastici e doveva osservarne il più scabroso. Capperi! come vi veggo ora rider tutti della mia capocchieria... Ma non voglio ritrattarmi d'un punto. La Pisana a quel tempo io l'amava tanto, che tutte le altre donne mi sembravano a dir poco uomini. Ometti bellini, piacevoli, eleganti, in rispetto alle bolognesi; ma sempre uomini; e non era né rusticità né chietineria, ma tutto amore era. Così non mi vergogno a confessarvi d'aver fatto parecchie volte il Giuseppe Ebreo; mentre invece nella successiva separazione dalla Pisana andai soggetto a varie distrazioni. Vuol dire che non l'amava meno, ma in modo diverso; e, checché ne dicano i platonici, io sopportai la seconda lontananza con molto miglior animo che la prima. Allora peraltro, avendo una gran fretta e un furore indiavolato di riavere la Pisana, non potendo saperne una di chiara

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Argomenti: costo troppo,    magnifico intendente,    inutile nobiluomo,    futuro ministro,    lusso provinciale

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