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Confessioni di un Italiano di Ippolito Nievo pagina 244fosse piegato a confessare i proprii torti e a cercarne una sì degna espiazione. Ebbi il conforto di compianger mio figlio in vece di maledirlo, e mi rassegnai del resto a quell'imperscrutabile giustizia che m'imponeva sì fieri dolori. Guarito che fui, sebbene lo stato di mia moglie fosse ancora tutt'altro che rassicurante, e la desse di quando in quando segni palesi di pazzia, ripresi il mio servizio come colonnello della Guardia; e poiché fu sparsa la novella della partenza di mio figlio e della lettera che egli m'aveva scritta, ebbi la soddisfazione di veder pietosi e riverenti verso la mia canizie forse coloro stessi che l'avevano vituperato. Tuttavia non ebbi di lui ulterior contezza fino al maggio seguente, quando ci capitarono da Brescia alcune sue righe. Argomentai dal sito che si fosse arruolato nei corpi franchi che difendevano da quel lato i confini alpestri del Tirolo e si vedrà in seguito come mi apponessi alla verità. Io lo benedissi dal fondo del cuore e sperai che il cielo avrebbe secondato le generose speranze del figlio e i supplichevoli voti del padre. Due giorni dopo che furono entrati in Venezia i sussidii napoletani sotto il comando del general Pepe, mio vecchio conoscente, due uffiziali di quelle truppe vennero a chieder di me. L'uno era Arrigo Martelli che, fino dal 1832 reduce dalla Grecia, s'era immischiato nel susseguente anno a Napoli nella congiura di Rossaroll, e d'allora in poi era sempre stato in prigione nel Castel Sant'Elmo. Mi presentava il suo valoroso amico, il maggiore Rossaroll stesso che dalla lunghissima prigionia aveva sì affievolita la vista, ma non affranta per nulla l'invitta forza d'animo. Fummo amici d'un tratto, e mi sfogai con essoloro de' miei vecchi e nuovi dolori. E così riandando poi le vecchie storie mi cascò per caso dalle labbra il nome di Amilcare Dossi, ch'era rimasto nel Regno e più non avea dato sentore di sé. Il Martelli allora rispose che pur troppo egli ne sapeva la fine miseranda; che immischiato nella guerra abruzzese del ventuno, e carcerato, era giunto a fuggire, ma che poi passato in Sicilia, dopo una vita piena di sventure e di delitti, avea terminato sul patibolo arringando fieramente il popolo, e imprecando sui suoi carnefici la giustizia di Dio. Queste cose avvenivano nel milleottocentotrentasei, e furono incentivo alle turbolenze che agitarono l'isola, e scoppiarono l'anno dopo in violente sommosse all'occasione del cholera. — Povero Amilcare! — io sclamai. Ma già di meglio non isperava del suo destino; e mi rammaricai colla mia sorte perversa che perfino da amici da lungo tempo sepolti mi suscitava nuovi dolori. Cara del pari e non amareggiata da sì tristi evocazioni, mi fu indi a qualche mese la visita di Alessandro Giorgi, che tornava dall'America meridionale, vecchio, abbrustolito, storpio, maresciallo, e duca di Rio–Vedras. Col suo gran corpaccione insaccato in una sfarzosa giornea scarlatta, piena d'ori e di fiocchi, egli sembrava a dir poco un qualche grottesco antenato della regina Pomaré. Ma il cuore che batteva sotto quell'assisa indescrivibile era sempre il suo; un cuore di fanciullo insieme e di soldato. Vedendolo, non potei far a meno di instituire in cuor mio un confronto fra lui e il Partistagno: ambidue presso a poco della stessa indole, avviati alla stessa carriera; ma ohimè quanto diversi nella fine! Tanto possono su quei temperamenti ingenui e pieghevoli i consigli, gli esempi, le compagnie, le circostanze: se ne foggiano a capriccio sgherri od eroi. — Carlino dilettissimo — mi diss'egli dopo avermi abbracciato sì strettamente che alcune delle sue croci mi si uncinarono negli occhielli del vestito — come vedi ho piantato lì tutto, il ducato l'esercito e l'America per tornare alla mia Venezia! — Oh non dubitava: — soggiunsi io — quante volte udendo salire per la scala una pedata insolita ho pensato fra me: che sia Alessandro? — Ora contami un poco; qual fu la tua vita di tutti questi anni, Carlino? Gli narrai così di sfuggita tutte le mie vicende e la conclusione fu di presentargli la mia figliuola che allora appunto entrava nella stanza. — Non lo nego; hai sofferto delle grandi sciagure, amico mio; ma ci hai qui delle consolazioni massicce — (e stringeva fra le nocca dell'indice e del medio le guance rotondette della Pisana). — Con tutta la mia duchea non son arrivato a fare altrettanto: eppure ti giuro che tutte le belle brasiliane mi volevano per marito. Amico mio, se hai figliuoli in istato di prender moglie, affidali a me: guarentisco loro delle belle cicciotte e qualche milioncino di reali. — Grazie, grazie; ma come vedi si pensa ad altro ora che a maritarsi. — Eh! ti pigli soggezione di queste frottole? son cose finite subito, credilo a me!... Noi in America si fa due rivoluzioni all'anno, e ci resta anco il tempo di goder la villeggiatura e di curar la gotta alla stagione dei bagni. La Pisana stava lì con tanto d'occhi ammirando quello stampo singolarissimo di duca e di maresciallo; ond'egli la prese ancora soldatescamente per un braccio soggiungendo che si compiaceva molto di fermar ancora l'attenzione delle signorine veneziane. — Eh! ai tempi nostri, eh, Carlino?... Ti ricordi la contessa Migliana?... — Me ne ricordo sì, Alessandro; ma la contessa è morta da dieci o dodici anni in odore di santità, e noi strasciniamo assai malamente pel mondo i nostri peccati. — Oh quanto a me poi, se non avessi quest'arpia di gotta che mi assassina le gambe, vorrei ballare la tarantella... Oh Bruto, fratello mio!... eccone qui un altro dei ballerini!... Capperi, come ti sei fatto nero... Giuro e sacramento che se non fosse per la tua gamba di legno non ti avrei riconosciuto. Queste esclamazioni furono provocate dalla comparsa di Bruto che nel suo arnese di cannoniere civico faceva un'assai strana figura, degna da contrapporsi alla macchietta americana del Duca Maresciallo. Egli dal canto suo non risparmiò né braccia né polmoni e la Pisana, vedendo quei due così abbracciati e bofonchianti, crepava dalle grandi risate. Peraltro se furono buffi in camera, si diportarono assai gravemente fuori; e porsero un bell'esempio di obbedienza militare a parecchi giovani che volevano esser nati ammiragli e generali. Alessandro in onta al ducato e al maresciallato si accontentò del grado di colonnello; e Bruto tornò al suo cannone come appunto lo avesse abbandonato il giorno prima. La sua andatura zoppicante, e l'umore sempre allegro e burliero anche fra i razzi e le bombe tenevano in susta il coraggio dei giovani commilitoni. Tutti a quel tempo si facevano soldati, perfino il conte Rinaldo che molte volte, e lo vidi io, montò la guardia dinanzi al Palazzo con tanta serietà che pareva proprio una di quelle sentinelle mute che adornano il fondo scenico di qualche ballo spettacoloso. Quello, poveretto, che non arrivò a tempo di montar la guardia, fu il cavalier Alfonso Frumier. Cascato di cielo in terra dopo la morte della sua dama, non avea più rappiccato il filo delle idee, e cercava cercava senza potervi mai riescire, quando un giorno entra il cameriere a raccontargli che in Piazza si grida: — Viva San Marco! — e che c'è la repubblica, e altre mille cose l'una più strana dell'altra. Il vecchio gentiluomo si diede una gran palmata nella fronte. “Ci sono!” parve ch'ei dicesse; indi cogli occhi fuori della testa, e le membra convulse e tremolanti: — Orsù, presto! — balbettò. — Portami la toga... dammi la parrucca... Viva San Marco!... La toga... la parrucca, ti dico! Presto!... che si faccia a tempo! Al cameriere sembrò che il padrone stentasse a proferire queste ultime parole, e che vacillasse sulle gambe; stese le braccia per sostenerlo; ed egli stramazzò al suolo, morto per un eccesso di consolazione. Mi ricordo ancora ch'io piansi all'udir raccontare quella scena commoventissima, la quale spiegava nobilmente il torpore semisecolare del buon cavaliere. Intanto anche noi, senza essere così Tag: dopo tempo due cuore figlio cose noi poco amico Argomenti: lungo tempo, guerra abruzzese, grottesco antenato, cannoniere civico, obbedienza militare Altri libri consultabili online del sito affini al contenuto della pagina: Decameron di Giovanni Boccaccio La divina commedia di Dante Alighieri Il colore del tempo di Federico De Roberto Storia di un'anima di Ambrogio Bazzero Fermo e Lucia di Alessandro Manzoni Articoli del sito affini al contenuto della pagina: Vacanze Natale Vienna Educazione e addestramento di un cane I Caraibi e la Giamaica per una vacanza economica Offerte Capodanno Les Deux Alpes Torre dell'Orso
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