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Confessioni di un Italiano di Ippolito Nievo pagina 108capitale. Ella partì quindici giorni dopo; e soltanto nell'accomiatarsi parve che il dolore di doversi separare da me soverchiasse la contentezza di correre a una vita nuova piena di splendide lusinghe. Io le fui grato di quel dolore, e dell'averlo essa lasciato travedere senza alcuna superbia. Conobbi ancora una volta che il suo cuore non era cattivo; mi rassegnai e rimasi. La mia presenza a Fratta era proprio necessaria. Narrare la confusione che vi avvenne dopo la morte del Conte sarebbe discorso troppo lungo. Usurai, creditori, rivendicatori calavano da ogni parte. I beni messi all'asta, le derrate sequestrate, i livelli ipotecati: fu un vero saccheggio. Il fattore se la svignò dopo aver abbruciati i registri; restai io solo, povero pulcino, ad arrabattarmi in quella matassa. Per soprassello le istruzioni mi mancavano affatto e da Venezia capitavano solamente continue ed affamate richieste di danaro. I Frumier mi erano di pochissimo aiuto; e poi il padre Pendola credo ci soffiasse sotto contro di me, e mi guardavano allora piuttosto in cagnesco. Io peraltro risolsi di rispondere coi fatti: e sudai e lavorai e n'adoperai tanto, sempre col pensiero in testa di giovare alla Pisana e di esser utile a chi bene o male mi aveva allevato, che quando il contino Rinaldo capitò a prender le redini del governo, gli ottomila ducati di dote delle Contessine erano assicurati, i creditori pagati o acchetati, le entrate correvano libere, e i poderi, diminuiti di qualche appezzamento in qua ed in là, continuavano a formare un bel patrimonio. I guasti c'erano ancora purtroppo, ma di tal natura che davano tempo ad esser sanati. Peraltro io non fui l'ultimo a credere che per tal operazione un signorino di ventiquattr'anni uscito allora allora di collegio (la Contessa ve lo avrebbe lasciato fino a trenta senza la morte del marito) non era l'uomo più adatto. Basta! non sapeva che farci, e mi proposi solamente di tenerlo d'occhio per potergli giovare con qualche consiglio. Del resto mi ritirai nella cancelleria ove, sostenuti i miei esami, diventai poco dopo cancelliere in formis. Giulio Del Ponte, non potendo più reggere al tormento della lontananza, avea seguito la Pisana a Venezia. Io rimasi solo soletto a consolarmi del bene che aveva fatto, a farne ancora quando poteva, a vivere di memorie, a sperar di meglio dal futuro, e a leggere di tanto in tanto i ricordi di Martino. Quella vita, se non felice, era tranquilla utile occupata. Io aveva la virtù di contentarmene. CAPITOLO DECIMO Carlino cancelliere, ovvero l'Età dell'Oro. Come al principiare del 1796 si giudicasse al castello di Fratta il general Bonaparte. La Repubblica democratica a Portogruaro e al castello di Fratta. Mio mirabile dialogo col Gran Liberatore. Ho finalmente la certezza che mio padre non è né morto né turco. La Contessa m'invita da parte sua a raggiungerlo a Venezia. Il conte Rinaldo era un giovine studioso e concentrato che si dava pochissima cura delle cose proprie e meno ancora di spassarsi come voleva la sua età. Egli rimaneva a lungo rinchiuso nella sua camera; e con me in particolare non parlava quasi mai. Gli è vero che col Capitano e colla signora Veronica io partecipava tuttavia all'onore della sua mensa; ma egli mangiava poco e parlava meno. Salutava nell'entrare e nell'uscire lo zio monsignore e tutto si riduceva lì. Peraltro manieroso affabile giusto all'occorrenza; io non ebbi a lagnarmi di lui per cosa alcuna, e ascriveva quella sua salvatichezza o a malattia o a paura d'un qualche vizio organico; infatti l'era d'una tinta piuttosto infelice, come di coloro che patiscono nel fegato. Io del resto menava i miei giorni l'uno dopo l'altro sempre tranquilli sempre uguali come i grani d'un rosario. Di rado andava a Portogruaro a visitare i Frumier per paura del padre Pendola, massime dappoiché la diocesi avea cominciato a mormorare della sua mascherata prepotenza, e la Curia e il Capitolo e il Vescovo stesso a risentirsi dell'esser menati dolcemente pel naso. L'ottimo padre pativa le gran convulsioni, ed io non voleva assistere a sì doloroso spettacolo. Piuttosto praticava sovente a Cordovado in casa Provedoni, ove avea stretto grande amicizia coi giovani; e la Bradamante e l'Aquilina incalorivano la conversazione con quella donnesca magia che ne fa noi uomini esser doppiamente vivi, doppiamente lesti e giocondi quando ci troviamo insieme a donne. Per me almeno fu sempre così; fuori dei colloqui obbligati a un prefisso argomento, quello che si chiama proprio il vero spontaneo brioso chiacchierio non ho mai potuto farmelo venire in bocca trattenendomi con uomini; fossero anche amici, più naturalmente taceva se avessi nulla a dire di nuovo o d'importante, sicché avrò anche fatto le mille volte la figura dello stupido. Ma fosse venuta a mettercisi di mezzo una donna! subito si aprivano le rosee porte della fantasia, e gli usci segreti dei sentimenti, e immagini e pensieri, e confidenze scherzose le correvano incontro ridendo, come ad una buona amica. Notate però ch'io non ebbi mai una eccessiva facilità d'innamorarmi; e non dirò che tutte le donne mi facessero questo effetto lusinghiero, ma lo provai da parecchie né giovani né belle. Bastava che un raggio di bontà o un barlume ideale splendesse loro sul viso; il resto lo faceva quella necessità che gli inferiori sentono di figurar bene dinanzi ai superiori per esserne favorevolmente giudicati. Le donne superiori a noi! Sì, fratellini miei; consentite questa strana sentenza in bocca d'un vecchio che ne ha vedute molte. Sono superiori a noi nella costanza dei sacrifizi, nella fede, nella rassegnazione; muoiono meglio di noi: ci son superiori insomma nella cosa più importante, nella scienza pratica della vita, che, come sapete, è un correre alla morte. Al di qua delle Alpi poi le donne ci son superiori anche perché gli uomini non ci fanno nulla senza ispirarsi da loro: un'occhiata alla nostra storia alla nostra letteratura vi persuada se dico il vero. E questo valga a lode e a conforto delle donne; ed anche a loro smacco in tutti quei secoli nei quali succede nulla di buono. La colpa originale è di esse soltanto. Se ne ravvedano a tempo, e l'Appennino mugolante partorirà non più sorci, ma eroi. Qualche volta mi spingeva fino a Venchieredo a trovar Leopardo sempre più istupidito dalla tirannia e dalla frivolezza della moglie. Mi ricorda averlo visto qualche domenica ai convegni vespertini intorno alla fontana. E dire che là gli avea balenato per la prima volta il sorriso della felicità e dell'amore! Allora invece l'andava col capo chino a braccio della Doretta; e tutti sogghignavano loro dietro; solito conforto dei mariti burlati. Ma aveva almeno la fortuna di non accorgersi di nulla, tanto quella vipera di donna gli teneva in servitù perfino l'intendimento. Oh! colei non era certamente l'esemplare d'una di quelle donne superiori a noi, che accennava poco fa! Guai se le femmina traligna! È vecchio il proverbio; la si cangia in diavolo. Raimondo veniva talvolta anche lui alla fontana. Se conversava o scherzava colla Doretta lo faceva senza alcun riserbo, e in modo quasi da mover lo stomaco; se poi non si curava di lei per badare ad altre forosette o civettuole dei dintorni, allora la sfacciata non si schivava dal perseguitarlo, sempre a rimorchio del marito. E dava in tali atti di malgarbo, di sdegno e di gelosia, che i capi ameni delle brigate ne facevano il gran baccano alle spalle del buon Leopardo. Gli altri Provedoni, che si trovavano presenti a caso, scantonavano per vergogna; ed io stesso doveva allontanarmi perché la vista d'una confidenza sì piena e sì indegnamente tradita mi moveva la nausea. Pur troppo peraltro è vero che lo spettacolo delle sventure altrui è conforto alle nostre: per questo avanzando nella vita sembriamo indurirci alle percosse del dolore, ma non è per abitudine, bensì perché l'occhio, allargandosi d'intorno, ci scopre ad ogni momento altri infelici oppressi e Tag: donne sempre noi vero dopo nulla vita tanto peraltro Argomenti: capo chino, grande amicizia, discorso troppo, capitolo decimo, decimo carlino Altri libri consultabili online del sito affini al contenuto della pagina: Il conte di Carmagnola di Alessandro Manzoni Intrichi d'amore di Torquato Tasso Corbaccio di Giovanni Boccaccio I nuovi tartufi di Francesco Domenico Guerrazzi Il ponte del Paradiso di Anton Giulio Barrili Articoli del sito affini al contenuto della pagina: Rischio infezione colera per i turisti a Cuba Educazione e addestramento di un cane Alla scoperta della città imperiale di Marrakech Blu di Russia: un pelo che incanta Indipendenza e opportunismo, leggende sui gatti
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