Confessioni di un Italiano di Ippolito Nievo pagina 254

Testo di pubblico dominio

spirito di spiccar d'infra voi il suo volo pel cielo!... Benedetto peraltro Iddio che anche sugli ultimi confini del mondo seppe circondar la mia morte di affetti soavi. Tre angeli intorno al letto mi fanno fede, notte e giorno, della eterna beatitudine!... O padre mio, sento che la morte si avvicina, e che i miei patimenti terreni sono al loro termine! Tu, verso del quale io ebbi sì gran torti, perdona al mio spirito fuggitivo la sua ingratitudine, consola di qualche compianto la penitenza ch'egli si è imposta, rendi pura e onorata la mia memoria se non all'ossequio, alla compassion della patria, e raccogli fra le braccia questa vedova infelice questi innocenti orfanelli che la mano di Dio proteggerà guidandoli per mari e per terre fino alla soglia della tua casa!... Quand'essi picchieranno umilmente alla tua porta tremino di commozione i vostri cuori!... Che non ci sia neppur bisogno di pronunciare i vostri nomi!... Io vi farò conoscenti l'uno dell'altro, io vi spingerò l'uno all'altro fra le braccia! Ma il pensiero di Giulio aggiunga e non tolga dolcezza alle vostre lagrime!... Così finiva di scrivere il mio sventurato figliuolo, e morì il giorno appresso fra le braccia della moglie. Costei non sapeva decidersi a partire da quel continente malaugurato nel quale riposavano i suoi più cari. S'attardò a Saladilla per quanto gli insorgenti le permettessero di tornare a Buenos Aires per imbarcarsi: vi tornò finalmente nel giugno, ma la sua vitalità era già corrosa da un cancro immedicabile. I Martelli scrivevano di averla veduta piegarsi sulla tomba ogni giorno più colla rassegnazione d'una martire; soltanto piangeva di abbandonar i suoi figliuoli ma consolavasi col pensiero che affidati a tali amici essi sarebbero giunti a salvamento nella famiglia del padre loro. Le parole ch'ella aggiunse di suo proprio pugno sotto il giornale di Giulio furono e saranno sempre inondate dalle mie lagrime ogniqualvolta le leggerò. “Padre” diceva ella “mi rivolgo a voi, perché altro padre, né fratello, né parente io ho più sulla terra; soltanto due figliuoletti mi siedono ora sulle ginocchia, che domani giocheranno su una tomba. Padre mio, divisi da tanto mondo, pure l'affetto, o morti o vivi, ne congiungerà sempre. Io ho amato il vostro Giulio come lo amaste voi; ora egli mi chiama dall'alto dei cieli ed io per volontà di Dio son la prima a seguirlo. Oh perché non ho potuto bearmi almeno una volta delle vostre venerabili sembianze? Sconosciuti l'uno all'altra passammo per questa terra, ed eravamo tanto uniti quanto lo può essere a padre figliuola. Ma anche questa è un'arra che ci vedremo nel cielo. Dio non può dividere per sempre l'amore dall'amore; e gli spiriti traverso gli spazii dell'universo si trovano più facilmente che due amici in un piccolo paese. Oh padre mio, voi tarderete a seguirci, tarderete pel bene dei figli nostri. Lo so; c'invidierete, e il tardare vi sarà un tormento, ma, per carità, non abbandonateli orfani affatto sopra la terra! Io son donna, io son debole, eppur prego e scongiuro Iddio ch'essi imparino dal vostro esempio e dalla vostra bocca ad imitare il padre mio. A rivederci, a rivederci in cielo!...”. Così si volgeva a me quell'anima celeste dal suo letto di morte e posava la penna per posar insieme i dolori della sua vita mortale. Oh io mi ricordava suo padre, mi ricordava la fanciulletta che gli dava mano e attirava gli sguardi in piazza per la sua angelica bellezza! Cotale doveva trovarla!... figlia, fantasma e dolore!... Doveva perderla prima di sapere d'averla avuta!... Doveva cominciare ad amarla per piangere sopra due tombe invece che sopra a una! Doveva sollevare le mie speranze al cielo perché là mi si concedesse di rimeritarla presto dell'amore ch'ella aveva portato a mio figlio!... Il mio cuore ebbro di speranza, i miei occhi sono pieni di lagrime!... Ed ora vivo coi miei figli e coi figliuoli dei miei figli, contento di aver vissuto e contento di morire. Sono anche felice di poter far qualche bene a vantaggio degli altri. Raimondo Venchieredo, che è morto qui in campagna durante la rivoluzione, ha avuto l'idea molto onorevole per me di raccomandarmi la sua prole. Io ho scordato l'inimicizia d'un tempo, e allargo la mia paternità sopra quest'altra famiglia: così potessi beneficare tutti gli uomini e che la potenza corrispondesse alla buona volontà!... Luciano mi lusinga d'un'altra visita per questa primavera, e i piccoli sono lieti di avere per compagno di viaggio il loro zio Teodoro, che non si è mai ammogliato ed è la loro delizia. Demetrio, poveretto, datosi anima e corpo alla Russia, s'arrolò per colonnello nella Legione Moldava, e morì sui campi di Oltenizza, portando in cielo la speranza dell'impero greco di Bisanzio. Ma la forza delle idee non si spegne; e le anime dai loro misteriosi recessi seguitano a premere questo mondo riottoso e battagliero. Da ultimo ho ripreso fra mano la famosa opera del conte Rinaldo; e fra un mese ne sarà pubblicato il secondo fascicolo; la somma occorrente è già depositata presso il tipografo, e la stampa non soffrirà interruzioni. Spero che se ne gioverà assai la patria letteratura, e che gli studi critici sul commercio veneto e sulle istituzioni commerciali dei Veneziani durante il Medio Evo serviranno di splendido commento alla storia che va compilando con sì profonda dottrina il nostro Romanin. Gli Italiani impareranno a conoscere un altro ingegno sterminato e modesto che si consumò oscuramente nella polvere delle biblioteche e fra le cifre d'una ragioneria; io sarò contento di aver eseguito appuntino gli ultimi desiderii d'un uomo che meritava più assai di quanto non cercò mai di ottenere. Le domeniche quando colla carrozza (ohimè! sento anch'io lo scirocco di Monsignore!) conduco la Pisana, mio genero e i quattro nipotini o alla fontana di Venchieredo od a Fratta, mi passa sulla fronte una nuvola di melanconia; ma la cancello tosto colla mano e riprendo la solita ilarità. Enrico si maraviglia di trovarmi così sereno ed allegro dopo tante disgrazie, nell'età non tanto allegra di ottantatré anni. Io gli rispondo: — Figliuolo mio, i peccati affliggono più delle disgrazie; ma quei pochi che aveva io, credo averli scontati abbastanza, e non me ne spauro. Quanto alle disgrazie, non danno più gran fastidio sul limitare della tomba: e senza creder nulla senza pretender nulla mi basta esser sicuro che al di là né mi attende sorte peggiore né castigo veruno! Bada a procacciarti una tal sicurezza, e morirai sorridendo! Sì, morire sorridendo! Ecco non lo scopo, ma la prova che la vita non fu spesa inutilmente, ch'essa non fu un male né per noi né per gli altri. Ed ora che avete stretto dimestichezza con me, o amici lettori, ora che avete ascoltato pazientemente le lunghe confessioni di Carlo Altoviti, vorrete voi darmi l'assoluzione? Spero di sì. Certo presi a scriverle con questa lusinga, e non vorrete negare qualche compassione ad un povero vecchio, poiché gli foste cortesi di sì lunga ed indulgente compagnia. Benedite, se non altro, al tempo nel quale ho vissuto. Voi vedeste come io trovai i vecchi ed i giovani nella mia puerizia, e come li lascio ora. È un mondo nuovo affatto, un rimescolio di sentimenti di affetti inusitati che si agita sotto la vernice uniforme della moderna società; ci pèrdono forse la caricatura e il romanzo, ma ci guadagna la storia. Oh, se come dissi un'altra volta, noi non pretendessimo misurare col nostro tempo il tempo delle nazioni, se ci accontentassimo di raccogliere il bene che si è potuto per noi, come il mietitore che posa contento la sera sui covoni falciati nella giornata, se fossimo umili e discreti di cedere la continuazione del lavoro ai figliuoli ed ai nipoti, a queste anime nostre ringiovanite, che giorno per giorno si arricchiscono di quello che si fiacca si perde si scolora nelle vecchie, se ci educassero a confidare nella nostra bontà e nell'eterna giustizia, no, non

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Argomenti: medio evo,    spirito fuggitivo,    continente malaugurato,    cuore ebbro,    commercio veneto

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