Confessioni di un Italiano di Ippolito Nievo pagina 144

Testo di pubblico dominio

ricominciassero più violente che mai a proposito della sua gravidanza. L'accusato era un brioso fellah delle vicinanze; mia madre scriveva roba di fuoco intorno a questa ingiustizia del marito; sembra ch'ella sospettasse in lui un sistema premeditato per annoiarla di quella vita, per finirla affatto o per isforzarla a fuggire. Allora la sua superbia cominciò a raddrizzarsi: da quei lamenti da quelle disperazioni tornava a trapelare la nobildonna offesa nell'onore; l'animo suo s'esasperava sempre più in quelle noterelle buttate giù sulla carta giorno per giorno con mano rabbiosa; finalmente si giungeva ad una pagina vuota dove null'altro era scritto senonché queste parole: “Ho deciso!” Così terminavano quelle memorie; ma le completava una lettera scritta da essa medesima a mio padre, dappoiché la ebbe deciso. Non posso far a meno di riportar quelle poche righe le quali serviranno a profilar meglio l'indole di mia madre. Ahimè! perché non posso io parlarne più a lungo?... Perché l'amore di figlio non ebbe egli nella mia vita che un barlume lontano di confuse memorie, ove posarsi? Tale è la sorte degli orfani. Ad ottant'anni dura ancora il rammarico di non poter contemplare nel memore pensiero l'immagine della madre. Le labbra che non ricordano il sapore de' suoi baci inaridiscono più presto al fiato maligno dell'aria mondana. “Marito mio! (così cominciava la scritta ov'ella prendea commiato da mio padre per sempre) Io volli amarvi, io volli fidarmi a voi, io volli seguirvi fino in capo al mondo contro l'opinione de' miei parenti i quali mi vi dipingevano come un birbante senza cuore, e senza cervello. Ho avuto ragione o torto? Lo saprà la vostra coscienza. Io per me so che non debbo sopportare più a lungo sospetti che mi disonorano, e che la creatura di cui ho già fecondo il grembo non deve imporsi per forza ad un padre che la rifiuta. Io fui una donna frivola, e vanitosa; l'amor vostro mi fece pagar cari questi miei difetti. Io mi rassegno di buon grado a farne una più ampia penitenza. In tutta me non ho che venti ducati; farò il possibile di tornare a Venezia ove troverò per giunta la vergogna e il disprezzo. Ma consegnata la mia creatura ai suoi parenti che non avranno cuore di respingerla, Dio faccia pure di me quello che vuole! Voi starete assente otto giorni ancora; tornando non mi troverete più. Di questo sono sicura. Ogni altra cosa sta nelle mani di Dio!”. La lettera portava la data di Bagdad. Da Bagdad a Venezia per quattromila miglia di deserto e di mare, in una stagione soffocante, con poca conoscenza della lingua, colla persona affranta dall'inedia e dalla passione rividi col pensiero la poveretta mia madre. Partiva con venti ducati in tasca dalla casa d'un marito sospettoso e brutale; s'avviava attraverso un viaggio pieno di pericoli e di fatiche alle repulse alla vergogna che l'attendevano nella sua patria. Moglie affettuosa e sacrificata sarebbe confusa colle donne da partito, e buon per lei se taluno fosse tanto generoso tra' suoi parenti da raccogliere d'in sul lastrico il suo figliuolino!... Ohimè! ed era per cagion mia che ella avea sofferto tanto vitupero, sfidato tanti patimenti! Sentiva quasi il rimorso d'esser nato; sentiva che una lunghissima vita tutta consacrata a consolare, a far beata quell'anima santa avrebbe appena bastato ad appagar il mio cuore; ed io non aveva né contemplato il suo volto, né sorriso ai suoi sguardi, né succhiato un gocciolo solo del suo latte!... L'aveva menata colla mia nascita sulla via della perdizione; là l'aveva abbandonata senza aiuto, senza conforto. Io detestava quasi mio padre; ringraziava Dio ch'egli fosse partito e che un grande spazio di tempo dovesse trascorrere tra la lettura di quei fogli e il primo istante che l'avrei riveduto! Altrimenti non prevedeva qual potesse essere la fine nella battaglia de' miei affetti. Qualche bestemmia qualche maledizione mi sarebbe sfuggita dalle labbra. Oh se piansi quel giorno!... Oh come colsi premuroso quello sfogo non solo concesso ma sacro e generoso dell'affetto filiale per alleggerire colle lagrime il peso infinito de' miei dolori!... Come si univano misteriosamente nell'angoscia che mi riboccava dal cuore in urli e in singhiozzi, e la patria venduta, e l'amico volontariamente morto, e l'amante infedele e spergiura, e l'ombra della madre impressa ancora il volto dei patimenti della sua vita!... Oh come mi scagliava furibondo e terribile contro coloro che avevano cercato d'infamare la memoria di questa benedetta e allontanarmi dal rispetto della buona anima sua con sacrileghe calunnie!... Sì, io voleva che fossero calunnie ad ogni costo: son sempre calunnie le accuse ai poveri morti, le accuse senza esame e senza pudore scagliate contro una tomba. Chi credeva vogliosamente, e aggravava pur anco le colpe di mia madre, sapeva egli i suoi sacrifizi, le torture, le lagrime, il lungo martirio che avea forse estenuato le sue forze, e travolta la ragione?... Io mi straziava il petto colle unghie, e mi strappava i capelli per non poter sorgere a vendetta di quei codardi improperi; il silenzio da me tenuto durante l'infanzia appetto a quei furtivi detrattori mi rimordeva come un delitto. Perché non m'era io alzato a svergognarli con tutto il coraggio dell'innocenza e la veemenza d'un figlio che si sente insultato nella memoria della madre? Perché i miei piccoli occhi non aveano lampeggiato di sdegno, e il cuore non avea rifuggito dall'accettare la compassione di coloro che mi faceano pagare a prezzo d'infamia un tozzo di pane ed un cantuccio d'ospitalità? — Mi salivano al volto le fiamme della vergogna; avrei dato tutto il mio sangue tutta la mia vita per riavere uno di quei giorni, e vendicarmi di una sì disonorevole servitù. Ma non era più tempo. Mi avevano instillato, si può dire col latte, la pazienza, il timore e aggiungerei quasi l'impostura, i tre peccati capitali degli accattoni. Era cresciuto buono buono buono; il mio temperamento rammollito dalla soggezione non cercava che pretesti per piegarsi e padroni per obbedire. Allora conobbi tutti i pericoli di quel lasciarsi correre a seconda delle opinioni, e degli affetti altrui; mi proposi per la prima volta di esser io, null'altro che io. Ci son riuscito in un cotale proponimento? A volte sì, ma più spesso anche no. La ragione non è lì sempre apparecchiata a tirare in senso contrario all'istinto; talvolta complice ignara, talaltra anche maliziosamente ella usa mettersi dal lato del più forte: allora ci crediamo forti e commettiamo delle viltà, tanto più spregevoli quanto più ignorate e sicure dalla disistima del mondo. Non c'è scampo, o speranza. Nell'indole del fanciulletto sta racchiuso il compendio il tema della vita intera: onde io non mi stancherò mai di ripetere: “O anime rettrici dei popoli, o menti fiduciose nel futuro, o cuori accesi d'amore di fede di speranza, volgetevi all'innocenza, abbiate cura dei fanciulli!” — Lì stanno la fede, l'umanità, la patria. L'inventario dell'eredità materna era bell'e terminato. Ma tra l'ultima lettera di mia madre e il cartone della busta trovai un foglio con alcune righe scritte, a vederle, di fresco. Infatti portavano la data di due giorni prima, ed erano di mano di mio padre. Non vi posso nascondere che le guardai quasi con ribrezzo e pareva che m'abbruciassero le dita. Peraltro quando mi fui calmato lessi quanto segue: “Figliuolo mio. Tutto ciò che hai letto di tua madre io poteva celartelo per sempre; ringraziami di averla rialzata nella tua stima a scapito anche di quella che io avessi potuto inspirarti. Ho veduto che hai bisogno di conforto e ho voluto lasciartene uno a costo di pagarne salate le spese. Io ho sposato tua madre per amore; questo non posso negarlo; ma io credo che non fossi fatto per questa sorta di passioni, e così l'amore mi svampò troppo presto dal capo. La mia partenza pel Levante, le mie fatiche, i miei viaggi colà miravano a un altissimo scopo; in poche parole

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Argomenti: grande spazio,    marito sospettoso,    lungo martirio,    senso contrario,    brioso fellah

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