Confessioni di un Italiano di Ippolito Nievo pagina 104

Testo di pubblico dominio

torturare e uccidere spensatamente un'anima come la tua; vorrei purgarla da questa taccia, risparmiarle questo rimorso!... Poiché, sappilo, Giulio, e vedi se sono sincero, io so e sento di doverla amar sempre e sarebbe per me un dolore infinito quello di amare non una vanerella, non una spensierata, non una sirena, non una furia e un'assassina!... — Amala dunque, amala pure! — rispose egli con voce soffocata dai singhiozzi. — Non vedi che sono un'ombra? i tuoi scrupoli vengono tardi; ella mi ha già ucciso; e le sua labbra sono vermiglie dal sangue che mi ha succhiato. Talvolta m'illudo ancora; è superbia, è speranza di vendetta! Ma poi mi torna il coraggio della verità, e godo quasi di scongiurar fronte a fronte la furia che mi divora. Va', io mi vendico fin d'ora della felicità che attende te pure, e che s'aspetta a tutti quelli che aspetteranno pazientemente! Va', se vuoi amare una cosa abbietta, immonda, spregevole, senz'anima, senza cuore e senza ingegno; cerca la bambola istupidita dalla ubbriachezza dei sensi e accecata dall'orgoglio! nata donna nella crudeltà nella sciocchezza nella lascivia, e bambola eterna in tutto il resto, anche nella pietà che è la scusa delle donne e che a lei fu negata per un mostruoso prodigio della natura!... I tuoi diritti sono innegabili; nasceste insieme nella corruzione, potete amarvi senza vergogna alla vostra maniera, come si amano i rospi nel pantano, e i vermi nel cadavere!... La sua voce si era rianimata; egli parlava e camminava come un demente; sentiva scricchiolare i suoi denti come volessero arrotare la punta a quelle parole d'imprecazione e di sprezzo. Ma io era armato nel cuore contro a tali ferite, e lasciai sfogarsi quel suo impeto di furore e di sdegno, finché racquistò almeno la calma della stanchezza. Allora tentai un ultimo colpo, fidando nella rettitudine delle mie intenzioni che Dio sa se potevano essere più generose. — Giulio — gli bisbigliai gravemente all'orecchio — tu hai giudicato la Pisana!... Or guarda adunque se così come la conosci il tuo orgoglio ti permette d'amarla. — E tu l'ami pur tu? — rimbeccò egli con fare aspro e riciso. — Sì, io l'amo; — soggiunsi — perché mi vi usai fin dalla nascita, perché quell'amore non è un sentimento ma una parte dell'anima mia, perch'esso è nato in me prima della ragione, prima dell'orgoglio! — E in me dunque? — riprese egli quasi piangendo — credi tu che due anni non l'abbiano radicato in me così profondamente come in te dodici o quindici?... Credi tu ch'egli fosse un trastullo per me?... Non vedi che muoio solo perché esso mi è tolto? L'orgoglio, tu dici, l'orgoglio?... Sì, io sono superbo; mi duole di cedere altrui quello ch'io possedeva e di non poter nulla nulla per racquistarlo!... Oh se sapessi con quanti spasimi, con quante lagrime, con quante viltà comprerei ora un raggio fuggitivo di bellezza, un barlume momentaneo di spirito, un giorno un giorno solo della mia vita rigogliosa d'una volta!... Se sapessi quante lunghe ore sto dinanzi allo specchio contemplando con rabbiosa impotenza lo smarrimento delle mie sembianze, gli occhi pesti e annebbiati, le carni ingiallite e rugose!... Sono orribile, Carlo, orribile davvero! Fo raccapriccio a me stesso; fossi una donna da trivio non concederei un bacio al disgraziato che mi somigliasse. Uno scheletro ritto ancora, ma non vivo non animato! Almeno mi restasse l'energia spaventosa del fantasma! Mi vendicherei collo spavento, colle maledizioni! Ma l'anima si ritira da me, come l'acqua del fiume dalla sponda inaridita: tutto appassisce, tutto manca, tutto muore! Mi restano solo memorie e desiderii; un popolo sconsolato di pensieri muti e rabbiosi che non sa nemmeno gridare per destar compassione. Allora solamente egli tacque, allora solamente io intravvidi con ribrezzo la profonda disperazione di quell'anima, e la pietà stessa rimase stupita e paralitica. Era un martire dell'orgoglio, più ancora che dell'amore: e tuttavia non so quale interna pressura mi traeva a tentare ogni sacrifizio per cercar di salvarlo. Credo che amassi tanto la Pisana da credermi a parte perfino delle sue colpe e de' suoi doveri di riparazione; fors'anco mirava in altrui quello che io stesso avrei potuto diventare, e la paura mi eccitava alla carità. Mi ricordai di aver udito il Del Ponte opporsi talvolta alla satirica miscredenza di Lucilio e di qualche altro nel crocchio del Senatore; laonde mi parve utile tentare anche questo mezzo. — Giulio, tu almeno sei cristiano! — ripresi dopo un breve silenzio. — Puoi dunque chieder conforto a Dio e rassegnarti. — Sì, infatti son cristiano! — mi rispose egli — e mi rassegno, e ne do prova bastevole col non ammazzarmi. — No; dicon che non basta; bisogna seguitare la pratica delle altre virtù cristiane, oltre la rassegnazione; bisogna essere caritatevoli agli altri ed a sé. — Lo sono fin troppo; non ho ancora schiaffeggiato lei, non ho sbranato quel nobile liscio e cialtrone che mi opprime colla sua arroganza! Ti par poco?... — Bada, Giulio, che la passione ti fa essere parziale verso te ed ingiusto verso gli altri. La Pisana è colpevole, ma il Venchieredo, per quanto... — Non parlarmi di lui!... Per pietà non parlarmi di lui, perché mi dimentico alle volte perfino i comandamenti di Dio!... — Or dunque ti parlerò di me: vedi se la passione ti accieca sui tuoi doveri? Poco fa dovevi ringraziarmi e mi hai insultato!... — Ti ho insultato perché infatti tutto il tuo contegno di questa sera mi sembra ancora molto bizzarro; ma ora voglio crederti; ti ringrazio delle buone intenzioni. Sei contento? — Sarei più contento se volessi aiutarti de' miei consigli per vivere meno infelice! — Mi aiuterò invece de' miei per morire. Son cristiano, credo al paradiso, e tutto sarà finito. Dubito peraltro di poter morire perdonando!.. Oh sì, ne dubito assai; ma la malattia sarà lunga, mi fiaccherà, e sarò convertito se non da altro dalla debolezza. Dio voglia passarmela buona!... — No, per carità, Giulio, non finire di avvelenarti con questi tetri pensieri!... — Vedi anzi che ora son calmo, che sto meglio, che mi par di esser guarito. Hai fatto benissimo a farmi risovvenire di Dio. Questa notte, scommetto che dormirò, e sì che da due mesi non godo una tanta ventura. Ho piacere di doverla a te: guarda se sono ingiusto ora!... Mi perdoni, non è vero, Carlo? Io gli buttai le braccia al collo; quelle sue ultime parole, benché intinte ancora di qualche amarezza, mi toccarono il cuore più che le smanie di prima. Sentii il suo cuore battere sul mio precipitosamente, come quello d'un viaggiatore che ha fretta d'arrivare; baciai quel suo volto scarno, e madido tutto d'un sudore gelato; indi lo vidi entrare in casa, lo udii tossire a più riprese nel montar le scale e mi tolsi di là col malcontento di chi ha fatto una buona azione ma pur troppo inutile. Il giorno seguente me n'andai a Fratta prima dell'alba, giacché tutta la notte non avea fatto altro che volgere in capo i disegni più strani e le speranze più inverosimili. Stetti molte ore in cancelleria a ravviare le faccende d'uffizio, coll'aiuto di quel vecchio sornione di Fulgenzio; riverii poscia il Conte e Monsignore, questo sempre più morbido e paffuto, quello incartocciato come una vecchia cartapecora abbrustolita sulla bragiera. Ma mi tardava l'ora di sbrigarmi per parlare alla Pisana, e finalmente fui libero e la trovai che la scendeva dalla camera della nonna per andare a pigliar fresco nell'orto. La Faustina e la signora Veronica che le stavano alle coste scantonarono in cucina ghignando fra loro per lasciarla sola con me. Io mi sentii rivoltare lo stomaco e seguii la fanciulla con un'occhiata lunga e pietosa. — Finalmente ti si vede! — mi diss'ella la prima. — Come finalmente? — risposi io — ci siam veduti e salutati mi pare anche iersera. — Iersera sì! ma non eravamo soli, e la gente, a dirti il vero, comincia a darmi

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Argomenti: dolore infinito,    mostruoso prodigio,    raggio fuggitivo,    barlume momentaneo,    scheletro ritto

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