Confessioni di un Italiano di Ippolito Nievo pagina 140

Testo di pubblico dominio

d'un colpo fulminante, come appunto Leopardo avea definito alla portinaia il suo male. Ma qual non fu il mio stupore quando levando gli occhi in quel sacerdote riconobbi il padre Pendola!... Anche lui, il buon padre, diede un guizzo certo non minore del mio, e così rimasimo un istante, che la sorpresa ci vietava ogni altro movimento. Leopardo a quel silenzio alzò faticosamente uno sguardo e, appena fisatolo in volto a quel prete, saltò in piedi come morsicato nel cuore da un serpente. Il padre si tirò indietro due passi, e la portinaia per la paura si lasciò cader il lume di mano. — Non lo voglio! ch'egli vada via, che se ne vada tosto! — gridava Leopardo dibattendosi fra le mie braccia come un ossesso. Il reverendo aveva una voglia grandissima di accettare il consiglio; ma lo trattenne la vergogna della portinaia, e volle alla peggio salvare l'onore dell'abito. Questo gli riuscì più facile di quanto temeva, perché Leopardo s'era tosto acchetato da quella furia subitanea, e tornava già quieto come un agnellino. Il buon padre se gli avvicinò delicatamente con un sorriso angelico, e prese a confortargli l'anima con una vocerellina che partiva proprio dal cuore. — Padre reverendo, la prego di andar via! — gli bisbigliò nell'orecchio Leopardo con voce cupa e minacciosa. — Ma figliuolo dilettissimo, pensate all'anima, pensate che avete ancora pochi momenti, e che io, quantunque indegno ministro del Signore, posso... — Meglio nessuno che lei, padre — lo interruppe ricisamente Leopardo. La portinaia, pochissimo contenta di quello spettacolo, era tornata pe' fatti suoi, onde il prudentissimo padre non giudicò opportuno l'insistere. Ci diede la sua santa benedizione e se n'andò per dove era venuto. Leopardo lo fermò sull'uscio con una chiamata. — Dal limitare del sepolcro un ultimo ricordo, padre, un ultimo ricordo spirituale a lei che suole raccomandar l'anima agli altri. Ella vede come io muoio: tranquillo, ilare, sereno!... Or bene, per morire così bisogna vivere come ho vissuto io. Ella, vede, bramerà invano una tale fortuna; si ricorderà di me in sul gran punto, e passerà nell'altro mondo tremante spaventato, come chi si sente nelle polpe le unghiate del diavolo! Buona notte, padre; sull'alba io dormirò più tranquillo di lei. Il padre Pendola se l'avea già battuta facendo un gesto di raccapriccio e di compassione; scommetto che giù per la scala aggiunse molti altri gesti di sommo piacere per averla scapolata così a buon mercato. Leopardo non pensò più a lui e mi pregò immantinente ch'io n'andassi per un altro confessore. Infatti lo affidai per poco alla portinaia, e uscii e scampanellai tanto all'uscio del parroco che mi venne fatto di stanarlo di letto e di condurlo dal moribondo. Questi durante la mia assenza avea peggiorato tanto che vedendolo in altro luogo avrei stentato a riconoscerlo. Pure l'arrivo del parroco lo confortò alquanto e per poco li lasciai soli; e rientrando lo trovai bensì alle prese coll'ultima stretta dell'agonia, ma ancor più calmo e sereno del solito. — Dunque, figliuolo mio, siete proprio pentito del gravissimo peccato che avete commesso? — gli ripeté il confessore. — Consentite con me che avete disperato della Provvidenza, che avete voluto distruggere a forza l'opera di Dio, che ad una creatura non è concesso l'erigersi a giudice delle disposizioni divine? — Sì, sì, padre — rispose Leopardo con un lieve sapore d'ironia ch'egli non poté reprimere, e ch'io solo forse distinsi, poiché egli stesso il moribondo non se n'accorgeva. — E avete fatto quant'era in poter vostro per impedire gli effetti del vostro delitto? — domandò ancora il parroco. — Bisogna rassegnarsi... — soggiunse con un filo di voce l'agonizzante — non era più tempo... Padre, due grani di sublimato sono uno speditivo troppo potente!... — Bene, l'assoluzione ch'io v'ho impartito ve la confermi Iddio. — E si diede a recitare le preci degli agonizzanti. Allora le vene del moribondo cominciarono a inturgidire, le sue membra storcersi, le labbra a disseccarsi; gli occhi gli si stravolgevano orribilmente, e tuttavia lo spirito regnava forte imperterrito su quella tempesta di morte che gli si agitava sotto. Parevano due esseri diversi, l'uno dei quali contemplasse i patimenti dell'altro colla impassibilità d'un inquisitore. Il parroco gli amministrò allora gli ultimi sacramenti, e Leopardo si compose alla aspettazione della morte colla grave pietà d'un vero cristiano. La quiete era tornata in tutta la sua persona; la quiete solenne che precede la morte: io potei ammirare quanto opera di grande la religione in un animo alto e virile; ed ebbi allora invidia per la prima volta di quelle sublimi convinzioni a me vietate per sempre. La morte della vecchia Contessa di Fratta me le aveva messe in discredito; quella di Leopardo me le rese ancora venerabili e sublimi. Gli è vero che la tempra di questo era tale, da far buona prova di sé colla fede e senza. Indi a poco egli sofferse un nuovo assalto di dolori acutissimi, ma fu l'ultimo; il respiro divenne sempre più fievole e frequente, gli occhi si socchiusero quasi alla contemplazione d'una visione incantevole, la sua mano si sollevava talvolta come per accarezzare taluno di quegli angeli che venivano incontro all'anima sua. Erano i fantasmi dorati della giovinezza che gli vagolavano dinanzi nel confuso crepuscolo del delirio; erano le sue speranze più belle, i più splendidi sogni che prendevano forme visibili e sembianze di realtà agli occhi del moribondo; era la ricompensa d'una vita virtuosa ed illibata o il presentimento del paradiso. A tratti egli s'affisava sorridendo in me e dava indizio di ravvisarmi; mi prendeva la mano fra le sue per avvicinarsela al cuore; a quel cuore che non batteva quasi più, eppure era così riboccante ancora di valore e d'affetto! Vi fu un momento ch'egli fece per alzarsi e mi sembrò quasi di vederlo sospeso da terra in un atteggiamento mirabile d'ispirazione e di profezia. Egli pronunciò fieramente il nome di Venezia; indi ricadde come stanco per tornare alle sue fantasie. Quando fu presso al gran punto lo vidi aprire le labbra a un sorriso, quale da un pezzo non brillava più su quel volto robusto e maestoso; si mise la mano in seno e ne trasse uno scapolare su cui affisse a più riprese le labbra. Ogni bacio era più lento e meno vibrato; se ne staccò sorridente per esalar l'anima a Dio, e il suo ultimo respiro gli uscì così pieno così sonoro dal petto, che parve significare: “Eccomi finalmente libero e felice!” — Quella reliquia cui aveva consacrato l'estremo alito di vita, cadde nella mia mano all'allentarsi della sua: io la ricevetti come un pegno, come una sacra eredità, e m'inginocchiai dinanzi a quel morto come al cospetto di Dio. Mai non mi venne veduta poi morte simile a quella; il parroco asperse d'acqua benedetta il cadavere e si partì asciugandosi gli occhi, e assicurandomi che gli verrebbe data sepoltura sacra per quanto forse i canoni lo vietassero. Ma la santità di quel passaggio comandava che non si badasse così strettamente alle regole. Allora rimasto solo io diedi uno sfogo al mio dolore: baciai e ribaciai quel santo volto di martire, lo cospersi di pianto, lo contemplai a lungo quasi innamorato della pace sovrumana che spirava. Appresi maggior virtù da un'ora di colloquio con un morto, che da tutta la mia convivenza coi vivi. La lucerna era agli ultimi crepiti; il primo luccichio del giorno traspariva dalle persiane, quando mi venne a mente che si stava a me di dar annunzio alla Doretta della morte del marito. Questo pensiero mi fece rabbrividire. Tuttavia mi accingeva a bussare alla porta quando udii avvicinarsi dietro ad essa un fruscio di passi; l'uscio s'aperse pian piano e mi comparve dinanzi la figura un po' pallida e sospettosa di Raimondo Venchieredo. Diedi un tal grido che destò tutti gli echi della casa e mi slanciai ad abbracciare Leopardo come per proteggerlo

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Argomenti: ultimo ricordo,    lieve sapore,    quiete solenne,    ultimo respiro,    guizzo certo

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