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Confessioni di un Italiano di Ippolito Nievo pagina 39ossequioso alla nobiltà per sentimento, non servile per dappocaggine. La sua famiglia avea camminato sempre per quella via, ed egli non pretendeva di cambiare l'usanza. Però quel suo ossequio, prestato ma non profuso, lo facea guardar dalla gente con occhio di rispetto; e così l'andava allora, che il non far pompa di vigliaccheria era riputato grande valore di animo. Pure con ciò non voglio dire ch'egli resistesse alla smoderatezza dei castellani vicini; solamente non le andava incontro colle offerte, ed era molto. Lamentava poi fra sé quelle soperchierie come un segno secondo lui che la vera nobiltà mista di grandezza e di cortesia precipitava a capitombolo: sorgevano le avarizie e le prepotenze nuove a confonderla colla sbirraglia. Ma mai che uno di questi lamenti sbucasse da quella sua bocca silenziosa e prudente; egli s'accontentava di tacere, e di chinar il capo; come fanno i contadini quando la Provvidenza manda loro la gragnuola. Il sole, la luna e le stelle egli e i suoi vecchi le avevano vedute sempre girare ad un modo, fosse l'anno umido, asciutto, o nevoso. Dopo un anno cattivo ne eran venuti molti di buoni, e dopo un buono molti di cattivi: e l'egual ragionamento egli adoperava nel considerare le cose del mondo. Giravano prospere od avverse sempre pel loro verso: a lui era toccato un brutto giro; ecco tutto. Ma aveva gran fede che le si sarebbero accomodate pei figli o pei nipoti; e bastava a lui averne procreati in buon dato perché la famiglia non andasse frodata nel futuro della sua parte di felicità. Soltanto il secondogenito della sua numerosa figliuolanza, a cui gli era piaciuto imporre il nome di Leopardo, gli dava qualche cagione di amarezza. Ma come si fa ad esser docili e mansueti, con un nome simile? — Il buon decano di Cordovado s'era diportato in tale faccenda con assai poco accorgimento. I nomi de' suoi figli erano tutti più o meno eroici e bestiali, lontani affatto dal persuadere la pratica di quelle virtù tolleranti, mute e compiacenti che egli sapeva convenir meglio agli uomini del suo ceto. Il primo si chiamava Leone, il secondo, come dissimo, Leopardo: gli altri via via Bruto, Bradamante, Grifone, Mastino ed Aquilina. Insomma un vero serraglio; e non capiva il signor Antonio che con cotali nomi alle spalle la solita dabbenaggine paesana diventava burlesca e impossibile. Se allora come ai tempi dei latini s'avesse osato adoperare il prenome di Bestia, certo il suo primogenito lo avrebbe ricevuto in regalo: tanto era egli frenetico per la zoologia. Ma nell'impossibilità di porre in opera il nome generico, lo avea supplito con quello forse più superbo e minaccioso del re degli animali, secondo Esopo. Leone peraltro non si mostrava meno pecora di quanto richiedessero i tempi, o almeno almeno gli esempi paterni. Egli era venuto su sopportando molto, e sospirando alquanto; e poi come suo padre s'era messo a prender moglie e a far figliuoli, e n'avea già una mezza dozzina, quando Leopardo cominciò a bazzicar colle donne. Ecco il punto donde cominciarono i dissapori famigliari fra il signor Antonio e quest'ultimo. Leopardo era un giovine di poche parole e di molti fatti; cioè anche di pochi fatti avrei dovuto dire, ma in quei pochi si ostinava a segno che non c'era verso da poternelo dissuadere. Quando lo si rampognava d'alcun che, egli non rispondeva quasi mai; ma si volgeva contro al predicatore con un certo rugghio giù nella strozza e due occhi così biechi che la predica di solito non procedeva oltre l'esordio. Del resto buono come il pane e servizievole come le cinque dita. Faceva a suo modo due ore per giorno e in quelle avrei sfidato il diavolo ad impiegarlo altrimenti; le altre ventidue potevano metterlo a spaccar legna, a piantar cavoli od anche a girar lo spiedo come faceva io, che non avrebbe dato segno di noia. Era in quelle occasioni il più docile Leopardo che vivesse mai. Così pure attentissimo ai proprii doveri, assiduo alle funzioni del rosario, buon cristiano insomma come si costumava esserlo a quei tempi; e per giunta letterato ed erudito oltre ad ogni usanza de' suoi coetanei. Ma in punto a logica, ho tutte le ragioni per credere che fosse un tantino cocciuto. Merito di razza forse; ma mentre la cocciutaggine degli altri si appiattava spesso nella coscienza e lasciava libero il resto di compiacere fin troppo, egli invece era, come si dice, mulo dentro e fuori, e avrebbe scalciato nel muso, io credo, anche al Serenissimo Doge, se questo si fosse sognato di contraddirlo nelle sue idee fisse. Operoso e veemente che era nel suo fare, spostato da quello diventava inerte e plumbeo davvero; come la ruota d'un opificio cui si tagliasse la coreggia. La sua coreggia era il convincimento, senza del quale non l'andava più innanzi d'un passo di formica; e quanto al lasciarsi convincere Leopardo aveva tutta l'arrendevolezza d'un Turco fanatico. Ma di cotanta tenacità era forse ragione bastevole l'essersi egli maturato nella solitudine e nel silenzio: i pensieri nel suo cervello non s'insaldavano colla fragile commettitura d'un innesto ma colle mille barbe d'una radice quercina, cresciuta lentamente prima di germogliare o di dar frutto. Ora, sopra un innesto sfruttato attecchisce un altro innesto; ma le radici o non si spiantano, o spiantate disseccano: e Leopardo aveva la testa informata a modo che non la potea reggere sul collo che ad un magnanimo o ad un pazzo. O così o nulla. Ecco il significato formale e il motto araldico della sua indole. Leopardo visse beatamente fino a ventitré anni senza fare o soffrire interrogazioni da chicchessia. I precetti dei genitori e dei maestri collimavano così finitamente colle sue viste che né a lui era mestier domandare a loro, né ad essi domandar nulla a lui. Ma l'origine di tutti i guai fu la fontana di Venchieredo. Dopo che egli prese a bere l'acqua di quella fontana, cominciò da parte di suo padre il martello delle interrogazioni dei consigli e dei rimbrotti. Siccome poi tutti questi discorsi non secondavano per nulla i pensieri di Leopardo, così egli si diede per parte sua a ruggire ed a guardare in cagnesco. Allora, direbbe Sterne, l'influsso bestiale del suo nome prese il disopra; e se è così, al signor Antonio dovrebbe esser costata piuttosto cara la sua passione per le bestie. Mettiamo ora un po' in chiaro questo indovinello. — Tra Cordovado e Venchieredo, a un miglio dei due paesi, v'è una grande e limpida fontana che ha anche voce di contenere nella sua acqua molte qualità refrigeranti e salutari. Ma la ninfa della fontana non credette fidarsi unicamente alle virtù dell'acqua per adescare i devoti e si è recinta d'un così bell'orizzonte di prati di boschi e di cielo, e d'una ombra così ospitale di ontani e di saliceti che è in verità un recesso degno del pennello di Virgilio questo ove le piacque di porre sua stanza. Sentieruoli nascosti e serpeggianti, sussurrio di rigagnoli, chine dolci e muscose, nulla le manca tutto all'intorno. È proprio lo specchio d'una maga, quell'acqua tersa cilestrina che zampillando insensibilmente da un fondo di minuta ghiaiuolina s'è alzata a raddoppiar nel suo grembo l'immagine d'una scena così pittoresca e pastorale. Son luoghi che fanno pensare agli abitatori dell'Eden prima del peccato; ed anche ci fanno pensare senza ribrezzo al peccato ora che non siamo più abitatori dell'Eden. Colà dunque intorno a quella fontana, le vaghe fanciulle di Cordovado, di Venchieredo e perfino di Teglio, di Fratta, di Morsano, di Cintello e di Bagnarola, e d'altri villaggi circonvicini, costumano adunarsi da tempo immemorabile le sere festive. E vi stanno a lungo in canti in risa in conversari in merende finché la mamma l'amante e la luna le riconducano a casa. Non ho nemmeno voluto dirvi che colle fanciulle vi concorrono anche i giovinotti, perché già era cosa da immaginarsi. Ma quello che intendo notare si è che, fatti i conti a fin d'anno, io credo ed affermo che alla fontana di Venchieredo si venga più Tag: leopardo fontana nulla nome tempi tutti secondo anno innesto Argomenti: due ore, tempo immemorabile, grande valore, segno secondo, anno cattivo Altri libri consultabili online del sito affini al contenuto della pagina: Storia di un'anima di Ambrogio Bazzero Garibaldi di Francesco Crispi I nuovi tartufi di Francesco Domenico Guerrazzi Il conte di Carmagnola di Alessandro Manzoni Il diavolo nell'ampolla di Adolfo Albertazzi Articoli del sito affini al contenuto della pagina: Offerte Capodanno Copenaghen Offerta capodanno ad Augusta Festa di San Nicola in Polonia Pet therapy: cos'è e quali cani vengono impiegati Lo Sphynx: bellezza particolare e carattere meraviglioso
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