Confessioni di un Italiano di Ippolito Nievo pagina 233

Testo di pubblico dominio

pensassi al male ch'io le aveva già fatto, senza avvelenarle la vita coi miei rimproveri. Io la compativa pel tanto che aveva sofferto, e cercava di tacere, benché forse pensassi che meglio era la morte d'una vita disonorata dall'impostura, e gonfia di vanagloria. Peraltro non guardava quei difettucci coll'occhio del bue, e sperava che i miei figliuoletti se ne sarebbero corretti a tempo. Tuttavia un giorno che non so a qual proposito ella mi citava il dottor Ormenta come il vero esemplare del cristiano e dell'onesto cittadino, io non potei ristare dall'opporle come mai quel perfetto cristiano e quell'onesto cittadino lasciasse morire suo padre si poteva dire d'inedia. — È una nefanda falsità! — si mise a gridar l'Aquilina — il vecchio Ormenta ha dal governo una grassa pensione e potrebbe camparsela molto agiatamente senza viziacci che lo dissanguano. — E se io vi dicessi — soggiunsi — che gli interessi dei debiti contratti per assecondare l'ambizione del figlio gli divorano d'anno in anno buona parte del suo soldo, e che il dottore sel sa e non si dà il benché minimo pensiero di soccorrerlo? — Oh fosse anche! — sclamò l'Aquilina — e non gli darei torto! Suo padre fu un tal birbaccione che merita una punizione esemplare, e tal sia di tutti i tristi, come di lui. — Brava! — ripresi io. — Tu sei scrupolosa cristiana e deferisci agli uomini quel supremo ministero di giustizia che Dio ha riserbato a se stesso!... I figliuoli poi non so da qual legge di carità sieno messi in grado di giudicare e punire le colpe dei padri! — Non dico questo, — mormorò l'Aquilina — ma Dio può ben permettere che il dottor Ormenta ignori le strettezze di suo padre, perché questi sia castigato anche durante il pellegrinaggio terreno delle sue ribalderie!... — Benissimo! — ripigliai — ma io certo non vorrei avere sulla coscienza quest'ignoranza! — Infatti il vecchio Ormenta morì pochi giorni dopo accompagnato dalla generale esecrazione; ma se vi fu sentimento che vincesse in veemenza e in universalità quell'odio postumo contro di lui, esso fu certamente quello che sorse nel cuore di tutti contro l'ingratitudine e l'empietà di suo figlio che contrattò egli stesso le spese del funerale, adì l'eredità col benefizio dell'inventario, e rifiutò la mercede al medico perché il passivo fu trovato maggiore dell'attivo. Nonostante i diverbi fra me e mia moglie su questo od altri argomenti consimili si ripetevano sempre più spessi e finirono col guastare d'assai la nostra pace. Se io non m'avessi ridotto a mente le ultime raccomandazioni della Pisana, forse saremmo venuti a qualche grosso guaio; ma tirava innanzi con pazienza e forse con maggior indulgenza che non convenisse alla mia qualità di padre, perché della soverchia balìa lasciata in allora all'Aquilina sopra i figliuoli, dovetti pentirmi in appresso e indurarne rimorsi tanto più acuti quanto più vani e tardivi. La piccola Pisana pigliava su quelle maniere solite dei torcicolli che rendono sospette e spiacevoli perfino le virtù, e Giulio accarezzato e vezzeggiato dai maestri cresceva sempre in superbia, ed era oggimai tanto presuntuoso da non si sapere come persuaderlo ch'egli avesse fallato. Io capiva benissimo dove lo potevano condurre quei difettacci; ché adulandolo e lusingandolo un pochino ognuno lo avrebbe piegato a qualunque porcheria, ed egli avrebbe sempre creduto di essere dalla parte della ragione. Ma quanto al correggere queste male pieghe io la mandava dall'oggi in domane; anche perché non voleva angustiare la loro madre, e sperava che da un giorno all'altro ella avrebbe aperto gli occhi sul loro conto. Per esempio a me non sapeva bene che ogni loro moralità si appoggiasse ciecamente all'autorità, dicendo che a quel modo dovevano fare perché così era comandato. Avrei voluto aggiungere che così era comandato, perché appunto la ragione l'ordine sociale e la coscienza inducevano la necessità di quei comandamenti; desiderava insomma che la volontà di Dio fosse loro dimostrata, oltreché nella parola della rivelazione, anche nelle leggi e nelle necessità morali che regolano la coscienza degli individui e la pubblica giustizia. Così, se anche una contraria educazione li privava dei sostegni della fede, essi restavano sempre uomini soggetti ad una legge ragionevole ed umana; mentre una volta che fossero alieni dalla religione, così com'erano sudditi a' suoi precetti unicamente per paura, la loro coscienza rimaneva senza alcun lume, e nullo affatto il valor morale dell'animo. L'Aquilina non voleva sentire da quest'orecchio. Secondo lei era un sacrilegio solo il Supporre che i suoi figliuoli potessero apostatar col pensiero dalla religione in cui li educava; e se erano tanto tristi e sfortunati da cadere nell'abisso dell'incredulità, non valeva la pena di arrestarli a metà strada. Perdute le loro anime, non le importava nulla che la società avesse dalle loro azioni giovamento o danno. Era egoista non solamente in sé, ma anche a nome loro. A mio credere invece, anche nel giusto giudizio dei credenti, questo era un cattivo sistema e alieno affatto dai divini precetti. Prima di tutto la natura, interprete di Dio, ci pose nell'animo di preferire il minor male al più grande, e poi l'istinto della compassione ci obbliga ad ogni accorgimento perché la felicità dei nostri simili sia tutelata piucché è possibile contro le soperchierie dei malvagi. Ora il nuocere insieme all'anima propria colla miscredenza, e alla sorte altrui colle azioni, è certo cosa assai peggiore e dannosa all'ordine sociale che non il mantenersi ligi colle opere alle leggi morali e solamente peccare in difetto d'opinioni religiose. Preparar dunque gli animi dei fanciulli in modo che, anche provvisti di queste credenze, debbano ubbidire per intimo sentimento alla regola universale di giustizia che illumina le coscienze, sarà non solamente opera di prudente educator sociale, ma anche cura lodevole e consentanea alla natura pietosa di Dio! Quanto al poter supporre questo pervertimento nelle opinioni di color che si istituiscono, gli uomini son sempre uomini, perciò mutabili sempre, né ci veggo né ci vedrò mai sacrilegio di sorta. Bensì è un tradimento del proprio ministero la trascuranza di quei maestri che pur vedendo rinnovarsi tutto giorno migliaia di questi casi in cui esseri umani forniti di qualità pregevolissime cessando di esser devoti diventano bestie, tuttavia si ostinano ad appoggiare soltanto al precetto religioso la moralità dei discepoli mettendo così a grave repentaglio l'economia morale della società. Non dite che viviamo in tempi di tiepidezza religiosa e di miscredenza? Adunque adoperatevi per difender almeno la felicità dei terzi e l'ordine sociale con miglior riparo che non sia l'adempimento dei doveri appoggiato unicamente a quella fede di cui lamentate l'insufficienza. Non vi dico che cessiate dall'inculcare e dal predicar questa, se lo portano le vostre convinzioni; dico soltanto che aggiungiate un'altra caparra, perché la società possa fidarsi della vostra educazione, che così come la intendete voi e nei secoli di sùbite conversioni e di scarsi sacrifizi in cui viviamo, è affatto manchevole di sicurezza. Io, vedete, se avessi rilevato ogni mia regola morale dalla Dottrina, sarei rimasto un gran birbaccione; e se cito me non è né per ammenda né per orgoglio; è per recare in mezzo un fatto del quale non possiate dubitare. Letta poi che abbiate questa vita, e qualunque sieno le vostre opinioni, dovete confessare che se non ho fatto molto bene, poteva certo operare molto maggior male. Ora del male che non operai, tutto il merito ne viene a quel freno invincibile della coscienza che mi trattenne anche dopoché cessai di credermi obbligato a certe formule. Il fatto era che non credeva più ma sentiva sempre di dover fare a quel modo; e poco cristiano alle parole, lo era poi scrupolosamente nei fatti in tutte quelle infinite circostanze nelle

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Argomenti: minimo pensiero,    giusto giudizio,    supremo ministero,    pellegrinaggio terreno,    legge ragionevole

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