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Confessioni di un Italiano di Ippolito Nievo pagina 161più mettersi il cappello! — Fai ingiuria a tua cognata, Lucrezia! non dire di queste cose!... Lì successe un nuovo diverbio per l'improntitudine di questo scherzo in momenti tanto solenni. Le donne finirono coll'accapigliarsi, e le vicine a dar loro addosso perché si calmassero. Intervenne un caporale francese che col calcio del fucile mise ordine a tutto. Avea ben ragione quella che aveva affermato poco prima che anziché esserci nessuno c'erano i Cisalpini e per giunta anche i Francesi. Dei Francesi sopratutto non si potea dubitare che non ci fossero. A guardarci bene essi aveano ordinato il Governo, scelto il Direttorio, nominati i membri delle congregazioni, i segretari, i ministri; e s'aveano riserbato il diritto di eleggere a suo tempo i membri del Consiglio grande e di quello dei Seniori. Ma il popolo nuovo a quel fervore di vita aveva anche troppo che fare nell'eseguire. Dall'ubbidire pecorilmente e male all'ubbidire attivamente e bene s'avea fatto un gran salto; il resto verrebbe dopo, Buonaparte mallevadore. Confesso che allora anch'io partecipai generosamente alle illusioni comuni, né peraltro le chiamo illusioni se non pel tracollo che diedero poi. Del resto s'avevano grandissimi ed ottimi argomenti di sperare. Quel giorno infatti fu un gran giorno, e degno di essere onorato dai posteri italiani. Segnò il primo risorgimento della vita e del pensier nazionale: e Napoleone, in cui sperava allora e del quale mi sfidai poscia, avrà pur sempre qualche parte della mia gratitudine per averlo esso affrettato nei nostri annali. Venezia doveva cadere; egli ne accelerò e ne disonorò la caduta. Vergogna! Il gran sogno di Macchiavello dovea staccarsi quandocchesia dal mondo dei fantasmi per incombere attivamente sui fatti. Egli ne operò la metamorfosi. Fu vero merito, vera gloria. E se il caso gliela donò, s'egli cercolla allora per mire future d'ambizione, non resta men vero che il favore del caso e l'interesse della sua ambizione cospirarono un istante colla salute della nazione italiana, e le imposero il primo passo al risorgimento. Napoleone, colla sua superbia, coi suoi errori, colla sua tirannia, fu fatale alla vecchia Repubblica di Venezia, ma utile all'Italia. Mi strappo ora dal cuore le piccole ire, i piccoli odii, i piccoli affetti. Bugiardo ingiusto tiranno, egli fu il benvenuto. Se così infervorato era io, figuratevi poi l'Aglaura; la quale, senza ch'io vel dica, avrete già conosciuto che aveva una testa voltata affatto a quegli entusiasmi di repubblica e di libertà! A cotali sue preoccupazioni io ascrissi per quel giorno la poca cura ch'ella si avea dato del suo Emilio; ma la sera le ne mossi parola quando ci fummo allogati in due camerette d'un'umilissima locanda sul corso di Porta Romana. — Siete voi — mi rispose ella — a immaginarvi ch'io non me ne prenda cura! Invece stamattina non ho fatto altro che cercarlo cogli occhi, e se non m'è riescito di scoprirlo, non è mia colpa... Ma non avete voi qui a Milano molti amici veneziani de' quali vi proponete andar in traccia questa sera?... Or bene, uscite dunque e menateli; per mezzo loro saprò qualche cosa. Io mi aggiusterò intanto alla meglio queste vesti di donna che mi avete comperato. Grazie, sapete, amico mio! Vi giuro che ve ne sarò grata eternamente. Ma sopratutto se incontraste Spiro fate il gnorri sul conto mio. Non mi maraviglierei punto ch'egli ci avesse preceduto a Milano. Io le promisi di fare com'ella domandava, ma la pregai dal canto mio di mantenere la sua promessa e di dar contezza di sé ai genitori. Ella me lo promise, ed io n'andai per primo passo alla posta a vedere se ci erano lettere per me e per lei. Ve n'aveano quattro, tre delle quali per me; e due di queste della Pisana. Questa mi dava notizia nell'una di quanto era accaduto dopo la mia fuga; l'altra non recava che lamenti sospiri lagrime per la mia assenza, e smanie di riabbracciarsi presto. Rimasi strabiliato di quanto mi narrava. Sua Eccellenza Navagero aveva mandato fuori di casa sua la cugina contessa; e questa era tornata col figlio, che aveva racquistato il suo posto nella Ragioneria. Il Venchieredo padre avea strepitato assai per la mia fuga; e gridato e tempestato che avrebbe posto il sequestro sopra tutti i miei beni; ma siccome null'altro avea trovato che una grama casuccia, così s'era calmato da quella febbre di zelo, ed anche la casa se l'erano dimenticata e la Pisana continuava ad abitarvi. Sembra peraltro che le intercessioni di Raimondo avessero potuto molto a imporre qualche misura a cotali rappresaglie; perché il destro giovinotto non s'aveva scordato affatto le civetterie della Pisana, e allora anzi pareva che vi ripensasse sul grave. Almeno io ne sospettai qualche cosa per avermi dessa scritto che un giorno impensatamente aveva ricevuto una visita della Doretta. Certo era opera di Raimondo che per mezzo della ganza cercava introdursi; la Doretta lo serviva ciecamente, libero poi a lui buttar via lo strumento quando ne avesse ottenuto lo scopo. La dimestichezza di questa genia colla Pisana non mi garbava né punto né poco; e deliberai di scriverlene una paterna solenne perché badasse a tenersela lontana. Gli è vero ch'ella rideva e ci scherzava sopra, ma non si può preveder tutto; e con quel suo cervellino!... “Basta!” pensava “facciano presto i Francesi a raccendere la miccia, se no me la vedo proprio brutta. Quella pazzerella vuol essere amata molto e molto davvicino per continuar ad amare; e questo esperimento della lontananza non vorrei prolungarlo di troppo”. Altre due notizie molto mirabili erano il chiasso che menava ancora il Partistagno per la Clara, e l'insediamento del padre Pendola in un canonicato di San Marco. Il primo, fatto da poco capitano di cavalleria negli eserciti imperiali, credo mediante la protezione del famoso zio barone, sussurrava coi suoi sproni notte e giorno dinanzi il convento di Santa Teresa; tantoché la madre Redenta aveva chiesto una sentinella per rinforzare la difesa della portinaia. E la sentinella s'affacendava notte e giorno a presentar l'arma al terribile Partistagno che passava e ripassava continuamente. Gli aveano proprio fatto credere che la Contessa avesse sforzato la Clara a monacarsi per invidia ed odio che nutriva contro la famiglia di lui. Perciò s'era riscaldato ancora a volersene vendicare: e fra le altre avea messo in opera anche il mezzo pericolosissimo di comperare molti crediti ipotecari sui poderi di Fratta, e tempestare con petizioni e con precetti esecutivi sulle ultime reliquie di quello sfortunato patrimonio. Certo il Partistagno di per sé non era capace di astuzie così diaboliche; ma vi si travedeva sotto la zampa infernale del vecchio Venchieredo che dopo la sua condanna avea giurato un odio infinito alla famiglia del Conte di Fratta fino all'ultima generazione. Intanto fra le sue angherie, quelle del Partistagno, i rubamenti di Fulgenzio che lo secondavano, e l'incuria del conte Rinaldo che coronava l'opera, la sostanza di attiva s'era fatta passiva, e un fallimento poteva essere poco meno che una buona speculazione. Il castello abbandonato da tutti cadeva in rovina; e appena la camera di Monsignore aveva le imposte alle finestre ed agli usci. Nelle altre, fattori gastaldi e malandrini aveano fatto man bassa: chi vendeva i vetri, chi le serrature, chi i mattoni dei pavimenti, chi le travi del soffitto. Al povero Capitano aveano sconficcato la porta; per cui la signora Veronica soffriva peggio che mai di tossi e di raffreddori e a lui era cresciuta del cinquanta per uno la gravezza della croce maritale. Marchetto avea lasciato il castello, e di cavallante s'era mutato in sagrestano della parrocchia. Bizzarra mascherata!... Ma i buli non si usavano più e bisognava diventar santi. Quello che v'aveva di più terribile in tutto ciò si era che la Contessa, anziché ricavar danari dalle possessioni, non riceveva altro che cedole di crediti e minacce esecutive. Non la sapeva più da qual banda Tag: giorno fatto poco contessa tutto due opera gran bene Argomenti: nuovo diverbio, caporale francese, consiglio grande, popolo nuovo, famoso zio Altri libri consultabili online del sito affini al contenuto della pagina: Il fiore di Dante Alighieri Le smanie per la villeggiatura di Carlo Goldoni Libro proibito di Antonio Ghislanzoni Corbaccio di Giovanni Boccaccio Diario del primo amore di Giacomo Leopardi Articoli del sito affini al contenuto della pagina: Disneyland Paris: itinerari di visita Consigli per una dieta veloce ed efficace Dieta Dukan sì o no? Una buona tazzina di caffè Passaggio Pedonale di Breslavia
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