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Confessioni di un Italiano di Ippolito Nievo pagina 103smunto e consumato per lottare ancora per difendersi fino alla morte contro il facile e sereno predominio di Raimondo, venivan proprio agli occhi le lagrime. Il fuoco delle pupille, lo splendore dello spirito che un tempo gli trapelava dal volto era scomparso; con ciò ogni sua bellezza s'era spenta, perch'egli non ne aveva altra; fino la maestà del pallore pareva insozzata dalle macchie brune e verdastre di cui la chiazzava il sangue corrotto dalla bile. Pareva un malato di pellagra, e la vergogna del proprio aspetto toglieva ogni coraggio a' suoi sguardi, ogni sicurezza alle sue parole. Il brio, già attutito al soverchiar dell'amore, sforzava indarno il coperchio sepolcrale della disperazione. Brillava a tratti come un fuoco fatuo di cimitero; e lo sforzo di volontà, che lo accendeva momentaneamente, ricadeva poco stante in un peggiore abbattimento. Aveva piaciuto per esso; per esso era stato amato; senz'esso doveva perire; egli lo sapeva, e infuriava fra sé di non poterne avvivare almeno un funebre lampo colle ceneri dell'anima sua. Morire sfolgorando era ormai la sua unica speranza d'amore e di vendetta; ma più si ostinava, e meno gli ubbidiva l'ingegno affiocato dalla malattia e dalla passione. Io rimasi costernato dagli ultimi sforzi di un'anima moribonda che fra le rovine d'un corpo già fatto per lei simile a un sepolcro, anelava invidiosamente a quella parte di bene ch'era stata sua e che le veniva rapita da una forza giovane, arrogante e spensierata. Mi pareva di veder Lazzaro agonizzante di fame, che chiede agli epuloni le briciole della mensa e non ottiene che scherno e ripulse. Ma fosse almeno stato così! Giulio avrebbe trovato un'ultima gioia nello sfogo di un'ira giusta e magnanima; sarebbe morto colla fede che le sue parole a vendetta della sua sciagura avrebbero risonato eternamente nell'anima della spergiura. Nulla di ciò invece: la Pisana non aveva per lui né occhi né orecchi: egli moriva goccia a goccia, senza lusingarsi che il rantolo della sua maledizione avrebbe turbato un istante la felicità del suo sorriso! Durante quella lunga sera accumulai nel cuore tanta compassione per quel poveretto, che addussi al Conte qualche pretesto per rimanere a Portogruaro, e lo lasciai partire soletto colla Pisana, la quale si maravigliò non poco di cotal mia stravaganza. La attribuì forse a gelosia, e mi buttò un'occhiatina che potea essere di conforto o di gratitudine; ma io ne ebbi orrore, mi rivolsi precipitosamente, e lasciando il Venchieredo guardar la carrozza che si dileguava, presi a braccetto il Del Ponte, e lo trassi lunge da quella casa. Questi mi seguiva a malincuore, ansava come un naufrago che sta per perdere l'ultima tavola, e teneva la testa rivolta ostinatamente ad osservare la contentezza del fortunato rivale. — Giulio, che fai?... — gli dissi scotendolo. — Ritorna in te! abbracciami! non mi hai ancora salutato!... Mi guardò quasi trasognato, indi, poiché fummo nel buio d'una calle remota, mi mise le braccia intorno al collo senza parlare né piangere. Così non ci eravamo lasciati. Egli allora trionfante e felice non s'avvedeva di me misero ed avvilito; m'avea fatto della mano un cenno di commiato, quasi di protezione e di pietà; io non avea né voluto né potuto stringere la mano di chi mi rubava la ricchezza dell'anima mia. Oh quanto mutati ci ricongiungeva la fortuna! Io sotto il peso d'un doppio disinganno aveva il coraggio di compatire a lui più che a me stesso, a lui decaduto dalla ricca noncuranza del trionfo alla mendicità della sventura, a lui tanto crudele e nocivo contro di me un anno prima, quanto a lui stesso lo era allora Raimondo. — Giulio, che fai? — tornai ancora a dire sollevandogli la fronte. — Tu vuoi ammalarti e ci riesci a forza di esser crudo e spietato in te stesso. — Voglio ammalarmi?... No, no, Carlo, — rispose egli con voce fioca e straziante — voglio anzi guarire, voglio vivere! voglio che la giovinezza rifiorisca sul mio volto, che le allegre immagini si ricoloriscano alla mente, che l'anima si rigonfi come la gemma del rosaio al soffio primaverile, e che trabocchi fuori in lieti discorsi, in frizzi faceti, in cantici smaglianti d'amore di poesia! Voglio che la luce scacci dal mio volto le tenebre della melanconia, e il bel sole della vita vi rianimi queste fattezze smorte ed appassite! Sarà un miracolo; sarà un trionfo. Chi ha sul volto l'altera e grossolana bellezza della carne, una volta che l'abbia perduta deve aspettarne il ritorno dopo una lunga e incerta convalescenza; ma chi risplende nel viso per l'interna fiamma dello spirito può ritrovare in un momento la luce ammaliatrice d'una volta. L'anima non è soggetta alle lungherie della medicina; né la passione ha l'andamento greve e compassato della malattia; essa corrode e rimpolpa, essa uccide e risuscita! È veleno e balsamo ad un tempo. Io l'ho visto le cento volte, l'ho provato per esperienza, lo proverò ancora!... Egli parlava con enfasi febbrile, le parole gli si affollavano sulle labbra confuse e smozzicate; rivedeva nella mente un barlume dell'antico splendore e non voleva perderlo; ma gli venia meno la lena e il respiro convulso affannato s'agitava in mezzo a quel tumulto di pensieri, di speranze, di illusioni, come un guerriero ferito a morte tra fantasmi di gloria e delirii di comando. — Calmati, Giulio! — soggiunsi io non so se più impietosito o spaventato da quell'orgasmo — vedi che della vita ne hai nell'anima oltre il bisogno; appunto la soverchia vitalità ti opprime; bisogna rintuzzarla. Io conosco il tuo male, e ne conosco anche il rimedio. So che ami disperatamente, come si ama quella donna che è venuta incontro all'amor nostro e ci ha stregato la fantasia colle gioie più dolci che l'amor proprio e la voluttà sappiano ammannire, lavorando di conserva! Ora quando un cotal amore è divenuto un tormento, che si tratta di fare per guarire? Studiarne le origini, guardarne la fonte più in noi stessi che in altrui. Fu un inganno, fu un granchio preso; ecco tutto. Rialzati e ti si porgerà il destro di coglierlo un'altra volta, se sarai debole tanto da degnarti!... — Capisco — entrò egli a dire amaramente — capisco, amico mio, cosa mi domandi. Credi che io pure a mia volta non ti abbia conosciuto?... Ti ho perduto di vista in seguito, ma dapprincipio mi era accorto che tu pure amavi la Pisana. Figurarsi se doveva prendermi soggezione d'un fanciullo!... Ora poi che sei grande roseo tarchiato intendi accampare i tuoi diritti, e ti garba meglio accamparli contro un avversario che contro a due! Vieni a dirmi pietosamente: “Ritirati pel tuo meglio; me ne saprai grado: vedi le mie spalle? esse hanno speranza e forza di recarti al cataletto”. Non è vero che questo è il sugo del tuo ragionamento? — No, non è vero! — sclamai, compassionando in questi ingiusti sospetti la tormentosa diffidenza del malato. — Non è vero, Giulio, e tu lo sai ch'io non son capace d'una frode, e ch'io non m'abbasserò mai a pregar un rivale!... Ah, lo sapevi dunque?... Sì, io ho amato la Pisana quand'era fanciullo; non voglio nasconderti nulla, io la amo ancora; e per questo appunto mi duole di vederla inesorabile contro di te! — Inesorabile? lo credi dunque! — gridò egli afferrandomi convulsivamente la mano. — Inesorabile come chi non ricorda, come chi non vede — io soggiunsi. — Ma dunque tu vorresti persuadermi dell'impossibile! — riprese egli. — Vorresti darmi a credere che ti dia noia il veder la tua amante crudele verso un altro!... O impostore, o codardo, ecco qual vuoi comparirmi!... Ancora ancora io fui indulgente a crederti impostore. Se così non fosse io ti disprezzerei maggiormente, e avrei ribrezzo del tuo vile compianto! come d'un lenocinio pagato. — Taci, Giulio, taci! — sclamai trattenendo un impeto di sdegno e ponendogli una mano sulla bocca. — Sì, tu l'hai detto; io inorridisco di vedere non la mia amante, ma colei che amo più della vita, Tag: giulio voglio contro volta mano volto forza inesorabile anima Argomenti: sereno predominio, coperchio sepolcrale, fuoco fatuo, funebre lampo, doppio disinganno Altri libri consultabili online del sito affini al contenuto della pagina: Decameron di Giovanni Boccaccio Diario del primo amore di Giacomo Leopardi L'arte di prender marito di Paolo Mantegazza La spada di Federico II di Vincenzo Monti La sposa persiana di Carlo Goldoni Articoli del sito affini al contenuto della pagina: Lo chignon Vacanze in Nuova Zelanda: alla scoperta di Kaikoura Festa del Corpus Domini in Polonia Come abbinare i gioielli alla forma del viso Come scegliere gli orecchini
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