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Confessioni di un Italiano di Ippolito Nievo pagina 206e riflessiva mi allontanasse dalla stranezza e dalla bizzarria. Ma la stravaganza era di chi mi conduceva pel naso; benché poi non possa dire se in quell'occasione adoperai male lasciandomi condurre, o se meglio avrei fatto di inspirarmi da me e di prendere qualche deliberazione contraria. Certo i miei sentimenti, lo dico senza adulazione, toccarono allora l'ultimo segno della generosità; e me ne maraviglio senza pentirmene. Pentirsi d'una azione buona e sublime, per quanto danno ce ne incolga, è sempre atto di gran codardia. Meglio è contarvela in poche parole. Per la Pasqua del milleottocentosette si stabilirono le nozze. La Pisana fu tanto accorta da farsi invitare dallo zio monsignore a starne presso di lui come governante. Io rimasi con Bruto e l'Aquilina e lo sposalizio fu celebrato mio malgrado e a richiesta della Pisana con grande solennità. L'Aquilina, poveretta, gongolava tutta e non toccava terra pel gran piacere, io mi sforzava di godere della sua gioia, e posso credere di non averla almeno guastata. Alle volte mi guardava indietro sorprendendomi di esser arrivato fin là, e non comprendendo né il perché né il come; ma la corrente mi trascinava; se fu tempo in cui credessi alla fatalità fu certamente allora. Io sposai l'Aquilina. Monsignore di Fratta benedisse il matrimonio; la Pisana fu matrina della sposa. Io mi sentiva entro una gran voglia di piangere, ma non era senza qualche dolcezza quella melanconia. Al pranzo di nozze non ci fu grande allegria; ma anco non rimasero sui piatti molti avanzi. Monsignore mangiava come avesse vent'anni; io, vicino a lui e un po' sbalordito dagli inopinati accidenti che m'intervenivano, lo domandai non so quante volte della sua salute durante il pranzo. Mi rispondeva fra un boccone e l'altro: — La salute andrebbe a meraviglia se non ci fosse questo benedetto scirocco! Una volta non era così. Te ne ricordi, Carlo?... Peraltro non pioveva da un mese; e fra tutti i popoli d'Italia Monsignore era il solo che sentisse lo scirocco. Alle mie nozze intervennero, ci s'intende, Donato colla moglie e i figliuoli, il Capitano colla signora Veneranda, e il cappellano di Fratta. Un altro commensale di cui forse vi sarete dimenticati fu lo Spaccafumo; il quale in tanta confusione di governi e di avvenimenti che s'era succeduta, avea sempre continuato ad amministrare la giustizia a suo modo; ma ad ogni anno passava qualche mesetto in prigione e allora s'era fatto vecchio e ubbriacone. Le sue prodezze erano omai più di parole che di opere; e i monelli si trastullavano di stuzzicarlo e di fargli dire sui mercati le più strambe corbellerie. Egli viveva si può dire di elemosina, e per quanto Bruto lo invitasse a sedere alla mensa comune non ci fu verso di poterlo stanare dalla cucina, ove godette delle nozze coi gatti coi cani e colle guattere. La sera gran festa da ballo: allora si pensò più che agli sposi a darsi bel tempo, e la giocondità fu piena e spontanea. Marchetto, sagrestano che pareva il diavolo vestito da prete, grattava il contrabbasso, e in onta all'età con una tal furia da cavallante che le gambe duravano fatica a tenergli dietro. La Pisana cercò di scomparir quella sera alla muta; ma io m'accorsi del momento di sua partenza: i nostri occhi s'incontrarono, e si scambiarono, credo, un ultimo bacio. L'Aquilina parlava allora colla Bradamante ma rimase un momento svagata. — Cos'hai? — le chiese la sorella. — Nulla, nulla — rispose tramortita la novella sposa. — Non ti pare che qua dentro si affoghi dal caldo?... Io udii quelle parole benché pronunciate a bassissima voce; e non pensai più che a compiere i nuovi doveri che mi era imposto. Fui gentile, amoroso coll'Aquilina fino al finir della festa. E poi?... E poi m'accorsi che in certi sacrifizi la Provvidenza, forse per retribuirne il merito, sa mettere qualche discreta dose di piacere. L'innocenza, la leggiadria di mia moglie vinsero affatto la causa; e feci assoluto proponimento di mostrarmele sempre buon marito. “Quello che è fatto è fatto” pensai “il da farsi facciamolo bene...”. Non credo che l'Aquilina s'accorgesse nemmeno durante i primi giorni dello sforzo indurato per dimostrarle quell'ardenza d'amore che infatti io non sentiva. Ma a poco a poco m'abituai a volerle bene in quel nuovo modo che doveva; non durai più tanti sforzi; e se sospirava ripensando al passato, trovava che anche senza molta filosofia si poteva accontentarsi del presente. Le opere buone sono una gran distrazione. Quella di far felice mia moglie mi occupò tutto, e mi vidi dopo un solo mese più buon marito di quanto non avrei mai osato sperare. La Pisana fu testimone di questo mio interno mutamento. Persuaso che quel suo grande ma troppo facile sacrifizio a favore della Aquilina non potesse spiegarsi che con un sensibile raffreddamento del suo amore per me, non mi diedi briga per nasconderle l'agevolezza ch'io trovava maggiore d'ogni speranza nel rassegnarmi a portare la mia parte di sacrifizio. Sperava che vedendomi meno malcontento avrebbe avuto minor rimorso della tirannia con cui aveva fatto violenza alla mia volontà. Sulle prime ella la capì per questo verso; ma i giorni passavano e nelle frequenti visite che ne faceva andava sempre più oscurandosi in viso; e quelle congratulazioni che recava negli occhi della mia bravura si cambiarono a poco a poco in sospetti ed in stizza. Io credeva non mi trovasse abbastanza premuroso presso l'Aquilina e raddoppiava di zelo e di buona volontà; ella invece s'ostinava nel suo broncio, ed anche con mia moglie non si mostrava più tanto affettuosa come dapprincipio. Un mattino capitò a casa nostra tutta scalmanata che Bruto e l'Aquilina erano fuori per non so qual motivo. Senza aspettare neppure ch'io la salutassi mi chiuse la bocca con un gesto. — Tacete — mi disse — ho fretta di sbrigarmi. Voi adesso vi amate: non avete più bisogno di me. Torno a Venezia. Io non voleva rispondere, ma ella non me ne lasciò il tempo. Mi gridò nell'uscire che salutassi mia moglie e il cognato: indi rimontò nel calessino col quale era venuta accompagnata dal cappellano di Fratta, e per correre che facessi non mi venne fatto di raggiungerla. Un'ora dopo, quand'io capitai al castello era già partita né si sapeva se per la strada di Portogruaro o di Pordenone colla carrettella dell'ortolano. Fui imbrogliatissimo di dar ragione all'Aquilina e a Bruto d'una sì precipitosa partenza, ma ebbi la felice idea d'inventar la favola d'una malattia improvvisa della signora Contessa; e fui creduto senza fatica. Allora non felice né immemore ma tranquillo e rassegnato mi rimisi alla mia vita di organista e di marito. L'Aglaura e Spiro scrivevano sempre più maravigliati di quella mia improvvisa conversione; io rispondeva celiando che Dio m'avea toccato il cuore: ma sovente si scrive quello che non si sente. I mesi correvano via semplici, laboriosi; sereni come quei cieli d'autunno nei quali il sole abbellisce la natura senza scaldarla. L'Aquilina, tutta mia, si rivestiva ogni giorno di nuove grazie di nuovi pregi per piacermi; la riconoscenza per un amore così nobilmente dimostrato m'inchinava sempre più verso di lei, e rendeva sempre più rari i rimpianti del passato. Il cuore volava ancora talvolta; ma quando la mente instituiva confronti le conveniva confessare che l'Aquilina era la più amabile e la più perfetta fra quante donne io m'avessi mai conosciuto. A lungo andare i giudizi della mente hanno qualche influenza sugli affetti d'un uomo di trentaquattr'anni. Quando poi m'avvidi ch'ella era incinta, quando mi strinsi fra le braccia il fantolino più robusto e più roseo che m'avessi mai veduto e sentii commoversi le mie viscere di padre, e di questa consolazione dovetti confessarmi debitore a lei, allora non seppi più chi mi fossi; ringraziai quasi la Pisana di avermi sforzato a quello strambo spropositato matrimonio. Peraltro la mia memoria non era né morta né ingrata. Io voleva avere sovente notizie Tag: sempre fatto moglie gran bruto monsignore nozze poco felice Argomenti: mensa comune, sensibile raffreddamento, felice idea Altri libri consultabili online del sito affini al contenuto della pagina: Diario del primo amore di Giacomo Leopardi L'Olimpia di Giambattista Della Porta L'amore che torna di Guido da Verona La divina commedia di Dante Alighieri I nuovi tartufi di Francesco Domenico Guerrazzi Articoli del sito affini al contenuto della pagina: Dove andare per il viaggio di nozze Gli accessori dello sposo Offerta capodanno ad Amsterdam Offerta capodanno ad Atlanta (Georgia, USA) Il coniglio Ariete Nano: il più noto e amato
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