Confessioni di un Italiano di Ippolito Nievo pagina 16

Testo di pubblico dominio

tanto a far la comica che a poco a poco non sapea nemmen discernere in se stessa il vero dall'immaginato. Io poi, costretto sovente a tenerle il sacco, lo teneva con tanto malgarbo che si scopriva tosto il marrone; ma mai ch'ella perciò mostrasse dispetto o rincrescimento: sembrava che fosse già disposta a non aspettarsi di meglio da me, o che si credesse tanto superiore da non doversi le sue asserzioni porre in dubbio per la contraria testimonianza di un terzo. Gli è vero che i castighi toccavano tutti a me; e che almeno per questo lato la sua imperturbabilità non aveva nulla di meritorio. Mi toccavano, pur troppo, frequenti e salati, perché i miei spassi giornalieri con lei erano una continua infrazione ai precetti della Contessa, e senza sindacare di chi fosse il torto, la colpa punita prima era la mia perché la più patente e recidiva. D'altronde nessuno avrebbe osato castigare la Contessina all'infuori di sua madre; e costei per solito non se ne dava pensiero più che d'una figliuola altrui. Per la Pisana c'era la donna dei ragazzi; e fino a che non l'avesse dieci anni la vigilanza materna si dovea limitare a pagar due ducati il mese alla Faustina. Dai dieci anni ai venti il convento, e da venti in su la Provvidenza, ecco la maniera d'educazione che secondo la Contessa dovea bastare per isdebitarla di ogni dovere verso la prole femminile. La Clara era uscita di convento ancor tenerella per far l'infermiera alla nonna; ma la stanza della nonna le tenea vece di monastero e la differenza non istava in altro che nei nomi. Quella cara contessa, abbandonata dalla gioventù e dalle passioni che pur le aveano dato sentore di qualche cosa che non fosse proprio lei, erasi talmente riconcentrata in se stessa e nella cura della propria salute temporale ed eterna, che fuori del rosario e d'una buona digestione non trovava altre occupazioni che le convenissero. Se agucchiava calze era per abitudine, o perché nessuno aveva la mano tanto leggera da far maglie abbastanza floscie per la sua pelle dilicata. In quanto alla sorveglianza casalinga, la ci batteva sodo, perché serrando gli occhi indovinava che avrebbe fatto star troppo allegra la famiglia; e l'allegria negli altri non le piaceva, quando ne aveva così poca lei. L'invidia è il peccato o il castigo delle anime grette; e io temo che la mia cuticagna dovesse i suoi cotidiani martirii alla rabbia della Contessa di sentirsi vecchia e di veder me ancora fanciullo. Per questo anche ella odiava monsignor Orlando al pari di me. Quel viso di cuor contento, e quelle mani incrocicchiate sulla pancia come a trattenere un soverchio di beatitudine, le davano la stizza: e non la poteva capir come si potesse diventar vecchi così allegramente. Caspita! la ragion della differenza c'era. Monsignor Orlando avea collocato ogni sua compiacenza nei contentamenti della gola, la quale è una passione che può sfogarsi, e meglio forse, anche nell'età avanzata. Ed ella al contrario... cosa volete? non voglio dirne di più, ora che il suo scheletro sarà purificato da cinquant'anni di sepoltura. Intanto si diventava grandicelli, e i temperamenti si profilavano meglio, e i capricci prendevano già figura di passioni, e la mente si destava a ragionarvi sopra. Già l'orizzonte de' miei desiderii s'era allargato, poiché la cucina, il cortile, la fienaia, il ponte, e la piazza non mi tenevano più vece d'universo. Io voleva vedere cosa c'era più in là, e abbandonato a me stesso, ogni passo che arrischiava fuori della solita cerchia mi procurava quelle stesse gioie ch'ebbe a provar Colombo nella scoperta dell'America. La mattina mi alzava per tempissimo e mentre la Faustina era occupata nei fatti di casa o giù nelle camere della padrona, sguisciava via colla Pisana nell'orto o in riva alla peschiera. Quelle erano le ore nostre più beate, nelle quali la birboncella s'infastidiva meno e ricompensava più amichevolmente la mia servitù. Sovente poi ho notato che il tempo mattutino è più propizio alla serenità dello spirito, e che in esso anche le nature più artifiziose ritrovano qualche sospiro di semplicità e di rettitudine. Col crescer del giorno le abitudini e i rispetti umani ci signoreggiano sempre più; e verso sera e a notte inoltrata si osservano le smorfie più grottesche, i discorsi più bugiardi, e gli assalti più irresistibili delle passioni. Forse sarà anche per questo, che le ore del giorno si vivono più comunemente all'aria aperta, nella quale gli uomini si sentono meno schiavi di se stessi e più obbedienti alle leggi universali di natura che non sono mai pessime. Non dirò peraltro che la Pisana mutasse, anche standosi da sola con me, le sue maniere di moversi e di parlare. M'accorgeva benissimo che ella apprezzava più assai la mia ammirazione che l'amicizia o la confidenza; e che per quanto ristretto ed abituale, io non cessava di essere per le sue pantomime una specie di pubblico. Tuttavia doveva scrivere che me n'accorsi poi, non che me n'accorgeva allora. Allora io godeva di quei soavi intervalli, stimando anzi che quella Pisana così premurosa di essermi gradita, fosse la vera; e fossero effetto della trista compagnia i cambiamenti che succedevano nelle sue maniere durante la giornata. All'ora di messa (era monsignor Orlando che la celebrava nella cappella del castello) tutta la famiglia, padroni, servi, fattori, impiegati ed ospiti, si raccoglieva nei banchi destinati alla varia autorità delle persone. Il signor Conte occupava solo nel coro un genuflessorio rimpetto alla cattedra del celebrante; e là riceveva con molta gravità i saluti di Monsignore quando usciva o rientrava; nonché le tre profumate d'incenso se la messa era cantata. Nelle benedizioni solenni o negli Oremus il celebrante non si dimenticava mai di benedire e nominare con un profondo inchino l'Eccellentissimo e Potentissimo Signor Iuspatrono e Giurisdicente; e questi allora volgeva in tutta la chiesa un'occhiata a mezz'aria che sembrava quasi misurare l'eccelsa altezza che lo divideva dal gregge dei vassalli. Il Cancelliere, il fattore, il Capitano, il portinaio e persino le cameriere e la cuoca assorbivano quel tanto che veniva loro di quella occhiata; ed abbassavano altre simili occhiate sopra la gente che occupava nella cappella un posto inferiore al loro: il Capitano in quelle circostanze s'arricciava anche i mustacchi e poneva romorosamente la mano sopra l'elsa della spada. Finite le funzioni tutti restavano col capo basso in gran raccoglimento, ma volti verso l'altare del Rosario se la funzione era stata sull'altar maggiore, o viceversa; finché il signor Conte si alzava, si spartiva dinanzi un bel tratto d'aria con un gran segno di croce, e rimessi in tasca il libro d'orazione, il fazzoletto e la scatola, moveva grave e isteccato verso la pila dell'acqua santa. Là un nuovo segno di croce; e poi usciva dalla chiesa dopo aver salutato l'altar maggiore d'un lieve cenno del capo. Gli venivano dietro la Contessa colle figlie i parenti e gli ospiti che s'inchinavano un tantino più; indi i servi e gli officiali che piegavano un ginocchio, e poi i contadini e la gente del paese che li piegavano tutti e due. Adesso che il Signore ci sembra molto molto lontano, può anche sembrare ugualmente distante da tutti i ranghi sociali; come il sole che non riscalda certamente più la cima che la base di un campanile. Ma allora ch'esso era tenuto abitar più vicino d'assai, le maggiori o minori distanze erano facilmente osservabili; e un feudatario gli si stimava tanto più vicino di tutti gli altri, da potersi anco permettere verso di lui qualche maggior grado di confidenza. Di solito, mezz'ora innanzi la messa quotidiana, io era cercato per servirla a Monsignore, il quale intendeva darmi con ciò un segno della sua speciale deferenza, a scapito dei figliuoli di Fulgenzio. Ma io, che non mi sentiva gran fatto riconoscente di questa distinzione, sapeva prender le mie misure in modo che chi mi dava la caccia tornava il più delle

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