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Confessioni di un Italiano di Ippolito Nievo pagina 153fecimo, ed ebbi campo a rallegrarmene, perché mossi cento passi mi scontrai ancora nel Venchieredo e nel Partistagno, che questa volta mi si misero alla calcagna e non m'abbandonarono più. I giri che feci loro fare per quegli inestricabili laberinti di Venezia non saprei ripeterli ora; ma io mi stancai prima di loro, perché mi doleva di lasciar sola tanto tempo la Pisana. Mi decisi dunque a volgermi verso casa, ma qual fu il mio stupore quando sulla porta mi scontrai nella Pisana, la quale doveva esser arrivata da un pezzo e pur si stava lì chiacchierando amichevolmente con quella tal Rosa, con quella cameriera che le faceva questuar l'elemosina dai suoi adoratori? Ella non parve turbata per nulla della mia presenza; salutò la Rosa di buonissimo garbo, invitandola a visitarla e si fece poi entro l'uscio insieme con me sgridandomi perché aveva tardato. Colla coda dell'occhi vidi Raimondo e il Partistagno che ci osservavano ancora da un canto vicino, onde chiusi con qualche impeto la porta e salii le scale un po' musonato. Di sopra che fui non sapeva da qual banda principiare per far accorta la Pisana della sconvenienza del suo procedere; mi decisi alla fine di affrontarla direttamente, tanto più che mi vi incitava anche un certo umore turbolento di stizza. Le dissi adunque che mi era stupito assai di vederla in istretto colloquio con una svergognata di quella natura, dalla quale avea ricevuto offese imperdonabili; e che non ci vedeva il perché la si fosse fermata a cinguettare sull'uscio di casa con tutto l'interesse che avevamo a non farci osservare. Ella mi rispose che si era fermata senza pensarci e che in quanto alla Rosa le avea fatto compassione il vederla coperta di cenci e intristita in viso per la miseria. Anzi l'avea pregata di venirla a trovare appunto per questo, che sperava in qualche modo di sollevarla, e del resto se l'era pentita de' suoi torti, ell'era obbligata a perdonarle; e le perdonava in fatti, anche perché dessa le avea protestato di non aver mai inteso di ingiuriarla, e che avea sempre adoperato a fin di bene e dietro istigazione della signora Contessa. La Pisana pareva tanto persuasa di quest'ultimo argomento, che le rimordeva quasi d'aver cacciato la Rosa, e pigliava sulla propria coscienza tutte le incommodità che costei diceva aver sofferto per la sua sdegnosa severità. Indarno io me le contrapposi dimostrandole che certi torti non si possono mai scusare, e che l'onore è forse la sola cosa che si abbia diritto e dovere di difendere anche a costo della vita propria e dell'altrui. La Pisana soggiunse che non la pensava così, che in cotali materie bisogna badare al sentimento, e che il sentimento suo le consigliava di riparare i mali involontariamente cagionati a quella poveretta. Pertanto mi pregò di darle mano in questa buona opera, concedendo per primo punto alla Rosa una camera della casa per abitarvi. Sopra questa domanda io mi diedi a gridare, ed essa a gridare ed a piangere. Si finì con questo accordo, che io avrei pagato la pigione della Rosa ove la dimorava allora, e soltanto dopo questa promessa la Pisana fu contenta di non tirarmela in casa. Fu quella la prima volta che si dimenticò l'amore, e tornarono i nostri temperamenti a trovarsi un po' ruvidi assieme. Mi coricai con molti cattivi presentimenti, ed anche quelle occhiate beffarde e curiose di Raimondo mi rimasero tutta notte traverso alla gola. Il mattino altra scaramuccia. La Pisana mi pregò che volessi uscire per disporre la celebrazione delle cento messe per conto di sua sorella. Figuratevi quanto mi andava a sangue questo bel grillo colla carestia di denari che cominciava a stringermi!... Per uno scrupolo evidente di delicatezza, io avea tralasciato di significarle come mio padre era partito con ogni sua ricchezza non altro lasciandomi che un moderatissimo peculio. Tra le spese occorrenti alla casa, il salario della serva, e qualche compera fatta dalla Pisana che si era ricoverata presso di me poco meno che in camicia, m'era già scivolato d'infra le dita buona parte di quello che dovea bastarmi per tutto l'anno. Tuttavia io stentava a discoprirle questa mia miseria, e studiavami d'impedire con altre cento ragioni quella generosità delle messe. La Pisana non mi voleva ascoltare ad alcun patto. Essa aveva promesso, ci andava della quiete di sua sorella, e se le voleva bene nulla nulla, doveva soddisfarla. Allora le dichiarai netta e tonda la cosa come stava. — Non c'è altra difficoltà? — rispos'ella colla miglior cera del mondo. — È facile accomodarsi. Prima di tutto adempiremo agli obblighi assunti, e poi si digiunerà se non ne resta per noi. — Hai un bel dire col tuo digiunare! — soggiunsi io. — Vorrei un po' vederti al fatto come te la caveresti per non reggerti in piedi! — Cascherò se non potrò reggermi: ma non sarà mai detto che io m'ingrassi con quello che può servire al bene degli altri. — Pensa che dopo le cento messe poche lire mi resteranno! — Ah sì! è vero, Carlino! non è giusto ch'io sacrifichi te per un mio capriccio. È meglio ch'io me ne vada... andrò a stare colla Rosa... lavorerò di cucito e di ricamo... — Cosa ti salta ora? — gridai tutto sdegnato. — Piuttosto mi caverei anche la pelle che lasciarti così a mal partito!... — Allora, Carlino, siamo intesi. Fammi contenta di tutto quello che ti domando, e dopo pensi la Provvidenza, che tocca a lei. — Sai, Pisana, che mi fai proprio stupire! Io non ti vidi mai così rassegnata e fiduciosa nella Provvidenza come ora che la Provvidenza non sembra darsi il benché minimo pensiero di te. — Che sia vero? ne godrei molto che questa virtù mi crescesse a seconda del bisogno. Tuttavia ti dirò che se comincio ad aver fede nella Provvidenza, gli è che me ne sento il coraggio e la forza. In fondo al cuore di noi altre donne un po' di devozione ci resta sempre; or bene! io mi abbandono nelle braccia di Dio! Ti assicuro che se rimanessimo nudi di tutto, non troveresti due braccia che lavorassero più valorosamente delle mie a guadagnar la vita per tutti e due. Io scrollai il capo, ché non ebbi molta fede in quel coraggio lontano ancora dalla prova; ma per quanto ci credessi poco, dovetti pagare le cento messe e la pigione della Rosa, e finalmente la vidi contenta quando non ci restavano che venti ducati all'incirca per scongiurare il futuro. Ma c'era poco lontano gente che si prendeva gran cura dei fatti miei e lavorava sott'acqua per cavarmi d'impiccio: volevano precipitarmi dalla padella nelle bragie e ci riescirono. Il dover mio era di farmi abbrustolire già da un mese prima, e potrei anche ringraziarli del gran merito ch'essi acquistarono presso la mia coscienza. La scena della Pisana coll'ufficiale còrso avea fatto chiasso, come dissi, per tutta Venezia; la sua disparizione dalla casa del marito aggiungeva mistero all'avventura, e se ne contavano di così strane, di così grosse che a ripeterle sembrerebbero fole. Chi la vedeva vagare vestita di bianco sotto le Procuratie nella profondità della notte; chi affermava di averla incontrata in qualche calle deserta con un pugnale in mano e una face resinosa nell'altra, come la statua della discordia; i barcaiuoli narravano ch'ella errava tutta notte per le lagune, soletta sopra una gondola che avanzava senza remi e lasciava dietro di sé per le acque silenziose un solco fosforescente. Alcuni tonfi si udivano di tanto in tanto intorno alla misteriosa apparizione; erano i nemici di Venezia da lei strappati magicamente alla quiete del sonno e precipitati nei gorghi del canale. Queste chiacchiere immaginose, cui la credulità popolare aggiungeva ogni giorno alcun fiore poetico, garbavano poco o nulla al nuovo governo provvisorio stabilito dagli Imperiali dopo la partenza di Serrurier. Erano sintomi di poca simpatia, e conveniva guarire la gente di questo ticchio poetico. Perciò si davano attorno per iscoprire la dimora della Pisana; ma le indagini rimanevano senza effetto, e nessuno certo Tag: rosa casa tutto cento tanto nulla aver prima provvidenza Argomenti: tanto tempo, cento passi, nuovo governo, governo provvisorio, minimo pensiero Altri libri consultabili online del sito affini al contenuto della pagina: Corbaccio di Giovanni Boccaccio La via del rifugio di Guido Gozzano Le smanie per la villeggiatura di Carlo Goldoni Libro proibito di Antonio Ghislanzoni Diario del primo amore di Giacomo Leopardi Articoli del sito affini al contenuto della pagina: Come seccare i petali di rosa L'innesto della rosa Come essere un bravo casalingo Come fare il profumo in casa Aggressività e comportamento del furetto
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