Confessioni di un Italiano di Ippolito Nievo pagina 172

Testo di pubblico dominio

illuminate si separarono da quel governo servile d'un altro governo pazzo e capriccioso, e fra i diversi combattenti, fra i varii partiti stranieri, cominciarono non a fare ma a sperare da sé. Nell'esercito cisalpino furono molti di cotali uomini indipendenti; principali Lahoz, Pino e Teulliet. Noi subalterni e gregari secondavamo, come è solito, le opinioni dei capi; e un odio sordo una profonda diffidenza contro i Francesi preparava sventuratamente il terreno alla nuova invasione austro–russa. Quando Dio volle arrivò il Carafa da Firenze, ma irto ringhioso severo quanto mai. Egli si fregava sempre colla mano quella cicatrice che aveva sul sopracciglio ed era pessimo segno. Il peggio poi si fu che volendo egli, se non poteva assaltar Napoli, accostarsi almeno al confine napoletano, tolse la sua legione e me con essa da Castel Sant'Angelo e ci mandò a stanziare a Velletri, una cittaduzza campagnuola, quali se ne vedono tante nella campagna di Roma, pittoresca di fuori, orribile sozza puzzolente di dentro: piena il giorno d'aratri, di carri, e di mandre di buoi e di cavalli che vengono e vanno; la notte ricreata dal muggir delle vacche, dal canto dei galli, e dalle campanelle dei conventi. Un vero sito da ficcarvi un poveruomo per guarirlo dalla malattia dei bei paesi e dei larghi orizzonti. Il Carafa alloggiava fuori di città in un convento saccheggiato dai repubblicani francesi, dov'egli avea mandato innanzi da Roma quanto bisognava per renderlo, se non splendido, almeno commodo ed abitabile. Poche guardie lo difendevano; e un paio di cannoncelli da campagna tirati da muli. Nelle intime stanze nessuno poteva entrare fuori del suo cameriere, che nella legione aveva voce di mago. Del resto le pastorelle che giravano pei dintorni, e quelle che recavano il latte al convento, dicevano di aver veduto alla finestra una gran bella signora: e doveva essere l'amante del signor Ettore. Gli altri soldati più antichi di me al suo servizio, che l'avevano sempre veduto continente come uno che non ha tempo di pensare a simili freddure, non credevano a tali baie; e novellavano piuttosto che quella fosse una maga, o una qualche principessa napoletana ch'egli voleva mettere al posto della regina Carolina. I luoghi possono molto sull'immaginazione della gente: e i dintorni di Velletri inspirerebbero ad ogni sano intelletto stregonerie e fiabe, come i pascoli e le cascine del Lodigiano inspirano gli elogi del cacio e della pannera. Io solo forse mi serbava alieno da tali gotiche credenze, sapendo benissimo che si può durare un bel pezzo nella continenza, e sfrenarsi poi a farne una per colore con la ghiottornia di chi fu digiuno per un pezzo. Ad esempio vi recherò Amilcare, il quale raccontava di non aver assaggiato vino infino ai vent'anni; dai vent'anni in su, nessuno ne beveva tanto quanto lui. Lo stesso caso poteva esser succeduto al Carafa. Or dunque io credeva più ad un genuino e fiero innamoramento che a qualunque stregheria, e sopra ciò fra me ed i compagni correvano frequenti alterchi e perfino scommesse. Dopo la mia separazione da Lucilio mi era fatto così burbanzoso e intrattabile che poco ci voleva a farmi saltare la mosca al naso: diedi dei capi guasti e dei credenzoni a chi vedeva meraviglie e magie. Fui rimbrottato come uomo migliore a parole che a fatti; ed eccomi nella necessità di dimostrar loro che non era vero. D'altra parte il martello continuo che mi pestava di dentro e la noia di quella vitaccia poltra e bestiale mi rendevano incresciosa la quiete e mi congratulai d'aver trovato un appiglio a muovermi, a fare non foss'altro delle corbellerie. Il capitano aveva proibito, pena la vita, che ufficiali o soldati, fuor quelli di fazione, s'avvicinassero al convento, ove avea fermato il quartier generale. Quel luogo era vicinissimo al confine; il nuovo esercito napoletano, per formar il quale s'eran tassati perfino i preti e le monache, s'addensava ogni giorno più nei finitimi confini dell'Abruzzo; qualche avvisaglia poteva nascere, anzi era già nata, più per impazienza dei gregari, che per deliberato volere dei capi; non voleva il Carafa che col disperdersi la legione da quella parte s'incontrasse qualche spiacevolezza affatto fuori di tempo. Ma questi dettami di prudenza sconcordavano assai dalla solita temerità, e il vero si era ch'egli non voleva occhi importuni intorno al convento. Io giurai ai miei compagni che sarei andato, che avrei veduto, nascesse quel che poteva nascere, e una sera di domenica fu scelta pel gran cimento. Il mio disegno era questo: di dar una voce d'allarme alla guarnigione del convento, e di girar le mura e penetrare nell'orto per la cinta ruinosa del medesimo mentre tutti avrebbero badato al luogo dove si aspettava il nemico. Quella sera, per esser festa, il grosso della truppa era sparpagliato per le bettole di Velletri; e grandi scompigli non potevano nascere. L'inganno si sarebbe scoperto, ed io avrei fornito il fatto mio prima che gli ufficiali avessero raccozzato le loro schiere. Il Carafa, uscito certamente per dar gli ordini, non poteva vedermi, le altre persone del convento, qualunque si fossero, certo non conoscevano me; e l'unico pericolo, abbastanza grande per verità, si era ch'io fossi scoperto nello scappar fuori del convento; ma la scusa non mancava di esser penetrato per salvarmi da una scorreria di cavalli napoletani. Credessero o no, non me ne importava; e dovessi anche pagare quel capriccio a prezzo di sangue, aveva promesso e voleva mantenere. Infatti verso il cader del sole, pigliando argomento da un gran polverio che si vedeva sorgere rimpetto al convento dalla parte della montagna (ed erano forse mandre che scendevano), io e alcuni de' miei compagni interessati alla scommessa, fingendoci sorpresi in una bettola vicina, corsimo fino alla prima scolta gridando che si avanzavano i Napoletani, e che dessero il segno mentre noi salivamo di gran fretta a Velletri ad ordinare il resto. In pochi momenti la piccola guarnigione fu pronta, perché il Carafa prevedendo simili casi aveva immaginato un'imboscata sul lato sinistro della strada, e non lasciò così che una sentinella o due intorno al monastero, divisando che l'era sempre a tempo a ritirarvisi, e che il grosso della legione scendendo intanto da Velletri avrebbe preso il nemico fra due fuochi. Mentr'egli disponeva così la sua piccola schiera in catena sopra certe colline coronate di cipressi e di lauri che fiancheggiavano la strada, e in mezzo ad essi attendeva a collocare i due cannoncelli colla solita antiveggenza ed operosità che non si riscontravano in altri che in lui, io e i miei compagni ridendo allegramente di quel parapiglia con un breve giro per la campagna ci ridussimo alla parte posteriore del convento dove l'orto combaciava quasi colla maremma. Essi stettero osservando; io scavalcai lievemente il muro; e via per mezzo all'orto dove i cavoli in semenza e il verziere abbruciato dal sole attestavano la non finita quaresima dei proscritti cappuccini. Quando fui giunto al fabbricato del convento, spiai le finestre e la porta per trovare un buco da entrarvi; ma era faccenda più disagevole di quanto m'avea figurato. Le finestre erano munite d'inferriate solidissime, e le porte d'imposte di acero che avrebbero resistito ad una catapulta. Mi trovava, come si dice, a Roma, e non potea veder il Papa. In quella vidi lì presso fra alcuni alberi una scala a piuoli che avea dovuto servire all'ortolano dei frati per dispiccar le pesche, e pensai che gli aditi del piano superiore non erano forse così gelosamente guardati come quelli del terreno. Adattai la scala e mi misi alla prova. Le imposte infatti della prima finestra che tentai, erano solamente accostate senza alcuna sicurtà di chiavacci e di sbarre. Le apersi pian piano, vidi ch'era una specie di guardaroba cambiata dal signor Ettore in armeria, e buttai dentro una gamba. Ma mentre stava per passar coll'altra, un romore uno scalpito un gridio udito poco lontano mi fece

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Argomenti: lato sinistro,    breve giro,    governo servile,    governo pazzo,    odio sordo

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