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Confessioni di un Italiano di Ippolito Nievo pagina 190perché poteva riposarmi delle fatiche passate e preparar lena pel futuro. Se mai vi fu amante o marito che si affannasse per ben governar la sua donna senza farle sentire il peso delle redini, fui certo io in quel tempo vissuto a Ferrara. I galanti papallini, i lindi ufficialetti francesi andavano dicendo: — Che buona pasta d'uomo! — ma mi avrebbero forse voluto un po' più fuori dei piedi; e li pestassi anche e facessi il cattivo, non se l'avrebbero legata al dito. Ero, per dirla tutta, un buon incommodo; e qui stava il peggio, ché non potevano lagnarsene, né appormi la ridicolaggine d'un Otello finanziere. A rompere questo armeggio di schermi e di difese cascò in mezzo a noi la notizia d'una malattia della Contessa di Fratta. Era il conte Rinaldo che la partecipava alla Pisana senza aggiungere commenti: diceva soltanto che non potendo la reverenda Clara uscir di convento, sua madre rimaneva sola, affidata alle cure certo poco premurose d'una guattera: sapendo poi la Pisana a Ferrara, avea creduto dover suo trascendere ogni riguardo e farle nota questa grave disgrazia che li minacciava. La Pisana mi guardò in viso; io senza por tempo in mezzo dissi: — Bisogna che tu vada! — Ma vi assicuro che mi costò assai il dirlo; e fu un sacrifizio all'opinione pubblica, che altrimenti m'avrebbe tacciato di snaturare una figliuola ne' suoi più doverosi riguardi verso la madre. La Pisana invece la tolse pel cattivo verso; e benché io credo che se avessi taciuto io, ella avrebbe parlato come me, pure si diede a brontolare, che già ero stanco di lei, e che non cercavo nulla di meglio che un appiglio qualunque per levarmela d'attorno. Ne converrete che fu una ingiustizia solenne. Io risposi, scrollando le spalle, che ella invece a mio credere andava a caccia tutto il giorno de' più strani pretesti per rincrescermi, e che mi doveva anzi esser grata dell'esser stato il primo a proporle un viaggio a me per ogni conto spiacevole ed incommodo. Infatti, lasciando andare la solitudine nella quale restava, a quel tempo si stentava anche non poco in punto a quattrini. A me piacque sempre il ben vivere, la Pisana non ha mai saputo far un conto in sua vita, e non s'è presa mai il benché menomo pensiero né della sua borsa né di quella degli altri: insomma si spendeva a tutto andare ed anche si piantava qua e là per le botteghe qualche piccolo chiodarello. Tuttavia la voleva bisticciare con me e ci riescì. Non ho mai capito questo talento di martoriarmi appunto allora ch'eravamo in procinto di dividerci, col gran bene che la mi voleva; perché vi assicuro io che si sarebbe fatta a pezzi per me. Io m'immagino che il dispiacere di doversene andare le guastasse l'umore, e che colla sua solita sventatezza se ne sfogasse addosso a me. Qualche volta le venivano rossi gli occhi, mi veniva dietro per casa come una ragazzina dietro la mamma; e s'io poi le volgeva uno sguardo amorevole una parola di conforto, s'oscurava in viso come l'ora di notte, e si volgeva da un altro canto facendo forza di non badare a me. Insomma le vi parranno le solite ragazzate; ma bisogna ch'io ve le racconti per dimostrare il continuo sospetto in che io vissi dell'animo della Pisana inverso di me, ed anche perché la sua indole fu così straordinaria che merita una storia apposita. Adunque pochi giorni dopo, raggranellati i denari occorrenti al viaggio, io la condussi in calesse fino a Pontelagoscuro, e di colà in barca si avviò per Venezia. Quello, cioè, il Po, si era il confine fra le provincie venete occupate dai Tedeschi e la Repubblica Cisalpina; né io poteva accompagnarla oltre. Pertanto in capo ad una settimana ebbi notizia da lei che sua madre era affatto fuori di pericolo, ma che la convalescenza vorrebbe essere un po' lunga, e che perciò ci rassegnassimo a una separazione di qualche mese. Ciò mi diede noia non poco, ma in vista delle altre buone notizie che mi dava cercai consolarmene. L'Aglaura e Spiro vivevano in perfetta concordia con due bambinelli ch'era una delizia a vederli; i negozi loro prosperavano viemmeglio, e ci si profferivano a me ed a lei in ogni cosa che ne potesse occorrere. Il Conte suo fratello, in onta alla freddezza della lettera, l'avea poi trattata con ogni amorevolezza; un'altra novità c'era che poteva convenire non poco ad ambedue. Sua Eccellenza Navagero colpito da una paralisi generale e da completa imbecillità giaceva in letto da un mese: ella mi comunicava le tristi condizioni del marito colle parole più compassionevoli del mondo, ma la cura presa di descriverle appunto tristissime e disperate dinotava una facile rassegnazione all'ultimo colpo che si aspettava di giorno in giorno. Perciò io mi adattai con minor uggia al mio isolamento; e mi cacciai intanto a tutt'uomo nelle cure d'ufficio per sentirne meno i fastidi. In quella s'era adunata la Consulta di Lione pel riordinamento della Cisalpina, la quale ne uscì col battesimo d'Italiana, ma riordinata per bene, cioè secondo i nuovi disegni di Bonaparte Primo Console, che ne fu eletto Presidente per dieci anni. Il Vice–presidente, che ebbe poi a governare in persona, fu Francesco Melzi, uomo invero liberale e di sentimenti grandi e patriottici, ma che per la sua magnificenza e per la nobiltà dell'origine non collimava coi gusti dei democratici più ardenti. Lucilio mi avvisò da Milano di cotali mutamenti e con una certa livida rabbia che mi diceva assai più che non osasse scrivere: certo egli s'aspettava che io rinunziassi al mio posto e che rifiutassi di servire un governo dal quale erasi allontanato ogni vero repubblicano. Io in verità ne sentii qualche voglia, e non tanto per la repubblica in sé, quanto perché il fervore repubblicano era ormai il solo incentivo di quelle mie ostinate speranze sopra Venezia per le quali soltanto m'induceva a durare negli uffici della Cisalpina. Ma avvenne allora un caso che mi stornò da cotale idea. Ricevetti nientemeno che la nomina d'Intendente, vale a dire Prefetto delle Finanze, a Bologna. Fosse che il nuovo governo mi giudicasse proclive alle sue massime d'ordine e di moderazione, o che mi ricompensassero del lavoro assiduo e utilissimo di quegli ultimi mesi, il fatto sta che la nomina io la ebbi e con mia grande sorpresa. Forse anco si abbisognava per quel posto d'un uomo laborioso attento infaticabile, e a cotal uopo fu creduto atto più un giovane che un magistrato provetto. Io per me fui portato via da un tal delirio d'ambizione che per due o tre mesi non mi ricordai più né di Lucilio né quasi anche della Pisana. Mi pareva già che il Ministero delle Finanze mi sarebbe toccato alla prima occasione; e una volta là in alto, chi sa?... Il cambiar poltrona è impresa sì agevole quando si è tutti insieme in una stessa sala! Pensava alle antiche lusinghe di mio padre e non le trovava più né strane né irragionevoli; soltanto quella presidenza decennale di Bonaparte mi angustiava un poco, e per quanto fossi temerario non giunsi, lo confesso, nemmeno in sogno a spuntarla con lui. Mi pareva un pezzo troppo grosso da sollevare. Quanto agli altri avrei adoperato Prina come savio amministratore; e con Melzi ci saremmo intesi. Sapeva della sua crescente dissensione col Console per quel fare da sé e quello stare da sé che dipendeva dalla sua natura tutta italiana, e tendeva per opera sua a regolare gli andamenti del governo italiano appetto del francese. Di ciò mi sarei giovato con arte con furberia: fermo sempre che tutta la mia ambizione tutte le mie mire sarebbero volte ad allargare fino a Venezia la Repubblica Italiana. E questa fu la scusa della mia pazzia. Impiantato a Bologna con questi grandi propositi pel capo fui un intendente di Finanza molto facondo e munifico: voleva prepararmi la strada alle future grandezze: seppi al contrario in seguito che, per cotali gonfiamenti mi chiamavano, nel loro gergo maligno bolognese, l'intendente Soffia. Dopo qualche mese di boriosa beatitudine e di ostinato lavoro nella sana disposizione Tag: poco governo certo madre poteva tempo uomo andare intendente Argomenti: nuovo governo, menomo pensiero, sguardo amorevole, paralisi generale, facile rassegnazione Altri libri consultabili online del sito affini al contenuto della pagina: La divina commedia di Dante Alighieri Le sottilissime astuzie di Bertoldo di Giulio Cesare Croce Decameron di Giovanni Boccaccio Il colore del tempo di Federico De Roberto Il conte di Carmagnola di Alessandro Manzoni Articoli del sito affini al contenuto della pagina: La scuola e le gite scolastiche Offerta capodanno a Reggio Calabria Stili di vita ed alimentazione Vacanze Natale Vienna Offerta Capodanno a Los Angeles
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