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Confessioni di un Italiano di Ippolito Nievo pagina 250se gli ufficiali non li trattenevano avrebbero rotte le ordinanze per abbracciarmi, e vidi dentro a molti occhi avvezzi a sostenere fieramente il fuoco delle archibugiate luccicar qualche lagrima. Ricompostosi l'ordine e fatto silenzio, il capitano, dopo essersi consultato col generale, riprese con voce commossa che la patria si gloriava d'un figliuolo che si vendicava degli insulti tanto nobilmente; che mi additava per esempio onde le discordie nostre ricadessero a peggior danno dei nemici, e che in premio della mia generosa costanza mi creava aiutante di campo del generale Garibaldi col titolo di capitano. Un nuovo applauso dei miei commilitoni approvò pienamente questa ricompensa; e poi fu sciolta la rassegna, e marciando verso la caserma io seguitai a piangere come un fanciullo e parecchi di quei prodi piansero con me. Indi a poco sopraggiunsero a intenerirmi piucchemai le proteste e le preghiere di quei giovani padovani che si disperavano di non avermi conosciuto prima e supplicavano di esser perdonati della loro diffidenza. Questo fu il premio più dolce che mi ebbi; e lo palesai loro abbracciandoli uno per uno. La festa di tutta la legione, l'ammirazione dei compagni, l'affetto dei superiori, le lodi d'una città intera mi provarono che non è mai chiuso il varco a riconquistare la pubblica stima colla costanza dei sacrifizi, e che le imprese veramente nobili e generose non ispirate né da furore né da superbia ammutoliscono l'invidia e trovano ossequio nel mondo. Oh sarebbe così dunque, se questa calunniata umanità fosse così vile così perversa come taluni ce la descrivono e come io la credeva? Costretto ad accettar la sua stima come ricompensa, io vergognai fra me di averla disprezzata senza cognizione di causa, e conobbi che la mia penitenza non era stata soverchia per un sì grave peccato. ROMA, 4 luglio 1849 Oh a che giovò mai la nostra perseveranza? Eccoci raminghi in un esiglio che non finirà forse mai più! La legione è partita per le Romagne e per la Toscana, sperando di colà riguadagnare Venezia o il Piemonte e la Svizzera; ma la ferita che mi si riaperse nelle fatiche di questi ultimi giorni m'impedisce di camminare. Il generale mi fornì di alcune lettere per l'America, ove guarito che fossi mi permettessero d'imbarcarmi e mi volgessi colà. Sì! io mi volgerò oltre l'Atlantico! Colombo vi cercava un nuovo mondo: io non domanderò altro che pazienza. Ma sento che l'onore della nostra nazione è affidato a noi poveretti, sbalestrati dalla sventura ai quattro capi della terra. Attività dunque e coraggio! Un popolo non consta altro che di anime; e finché la virtù affoca l'anima mia, la scintilla non è morta. Sempre sarò degno del nome che riconquistai e del paese dove son nato. Tu, padre mio, che ai giorni passati mi lusingava di rivedere e che oggi dispero di abbracciare mai più, abbiti l'ultimo sospiro del tuo figliuolo proscritto. L'amor mio d'or innanzi sarà senza sospiri e senza lagrime, come quello che si riposa solamente nelle eterne speranze. Penserò a mia madre e a mia sorella come a due angeli, che mi raddoppieranno quandochessia la beatitudine del cielo. IN MARE, settembre 1849 La fortuna mi diede compagna d'esiglio una famiglia romana; un padre ancora giovine, di quarant'anni al più, che sostenne cariche importantissime nelle provincie, il dottor Ciampoli di Spoleto, e due suoi figliuoli, la Gemma, credo di diciannove anni, e il Fabietto di dodici o quattordici. Al primo vederli mi risovvenne di un'incisione veduta alcuni anni sono, rappresentante una famigliuola di contadini raccolta ad aspettare e a pregare sotto una quercia, mentre infuria un gran temporale; tanto sono alieni dalla rabbia consueta dei profughi politici. Si consolano amandosi a vicenda, e, meno Roma, la loro vita è quella d'una volta. Avessi anch'io meco i miei genitori o i miei fratelli! Mi sembrerebbe di portar via una gran parte di patria. Ma sono illeciti questi desiderii di far comuni appunto ai nostri più cari le peggiori disgrazie. Come sopporterebbero mai due poveri vecchi una vita varia stentata angosciosa, senza nessuna certezza né di riposo né di sepolcro? Meglio così; e che il destino mi condanni a patir solo. D'altronde la lontananza della patria stringe i compaesani quasi con legami di famiglia; e m'accorgo già di amare il dottor Ciampoli quasi come padre, e la Gemma e il Fabietto come fratelli. Quella giovinetta è la più soave creatura che m'abbia mai conosciuto; non romana punto; ma donna in tutto, nella grazia nella gracilità nella compassione. Forse che delle donne io non ho cercato finora che le più abbiette, ma costei mi sembra un esemplare più sublime, un tipo quale forse lo avrei sognato se fossi pittore o poeta, ma non avrei creduto mai d'incontrarlo vivo nel mondo. Non è certo di quelle che innamorano; io almeno non oserei; ma hanno in sé quanto può assicurare la felicità d'una famiglia, e spose e madri passano per la vita come apparimenti celesti, tutte per gli altri nulla per sé. Il mal di mare non è guari né piacevole a vedersi né facile a sopportare; pure con quanta premura la buona fanciulla si ricordava del Fabietto anche durante gli sforzi più dolorosi! Si vedeva che non avea tempo di badare a sé; ed è la stessa che piangeva questa mattina perché un gatto che avevamo a bordo annegò in mare. Omai peraltro tutti ci siamo assuefatti alla vita marinaresca; e a non vedere altro che cielo ed acqua. Si ciarla, si gioca, si legge e di tratto in tratto anche si ride. La natura fu clemente di averci concesso il riso che se non rasserena l'anima, ristora almeno le forze: nelle ore che rimango solo, io salgo sul cassero e cerco nell'immensità che ne circonda il pensiero e l'immagine di Dio. Mi ricorda d'una nostra canzonetta popolare la quale benedice Iddio vestito di azzurro: infatti quella espressione non la riconosco vera che adesso. Nulla di meglio addita la nascosta presenza d'un Dio che questa immensità azzurra di cielo e di mare che par tutt'una e innalza la mente alla comprensione dell'eterno. Scommetto che quella canzone fu composta da un pescatore chiozzotto, mentre la bonaccia d'estate arrestava il suo burchio in mezzo all'Adriatico ed egli non vedeva altro che il mare, sua vita, e il cielo, sua speranza. Ho insegnato quella canzone alla Gemma; essa la canta sì perfettamente colla sua nobile pronuncia romana, che questi inarmonici marinai inglesi sospendono la manovra per ascoltarla. Credeva che il viaggio mi annoiasse, ma comincio appunto ora a pigliarci gusto. Spero che a terra non sarò meno fortunato; purché trovi da impiegarmi a Nuova York, ove sembra che il dottor Ciampoli voglia accasarsi. Sono ben fornito di danaro, e non mi lasceranno sprovvisto; ma né l'ozio né la monotonia della mercatura son fatti per me; e le commendatizie che porto per gli Stati Uniti sono tutte per negozianti. Nell'America meridionale è una cosa diversa: là s'incomincia a vivere ora ed il nome italiano vi è altamente benemerito ed onorato. Sarei pur felice che vi s'andasse colà! La stessa natura vergine rigogliosa tropicale m'invita. Qui invece, a Nuova York, m'aspetto di vedere un mercato d'Europei bastardi, e casse di zucchero e balle di cotone e numeri e numeri e numeri! Pare impossibile che chi ha traversato l'Atlantico possa ridursi a fare una somma!... NUOVA YORK, gennaio 1850 Quanto era stanco di pencolare col mio sigaro in bocca in mezzo a botteghieri e a sensali! Saranno ottima gente, ma mi par impossibile che siano pronipoti di Washington e di Franklin; non so, ma credo che questi grandi uomini morissero senza posterità. Ho fatto anche qualche gita nei dintorni, ma questa potente natura mi dà figura d'un leone in gabbia. È trattenuta spartita tagliuzzata; bisogna vederla da lontano assai, o nelle nebbie quasi britanniche che abbondano in questo paese, per aver un'idea dell'America raccontata dai viaggiatori. Per me stento a credere che la nebbia ci fosse ai tempi di Colombo. 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