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Confessioni di un Italiano di Ippolito Nievo pagina 163aperta sul naso, corse giù per la scala in cerca dell'oste. “Fidatevi della probità repubblicana!” pensai brontolando come un vecchio. — M'era uscito di capo che, con una carta stampata, e una festa nel campo della Federazione, si può bensì avviare ma non compiere il rinnovamento dei costumi, e che d'altronde della gente cui va più a sangue il vino che far piacere al prossimo ne rimarrà sempre in tutte le repubbliche della terra. Finalmente trovai per un corritoio un altro soldatino azzimato, ben composto quasi elegante che corrispose al mio saluto con un inchino quasi cortigianesco, e mi diede del cittadino come quattro mesi prima mi avrebbe dato del conte e dell'eccellenza. Tanto era il bel garbo e la tornitezza della voce. Doveva essere qualche marchese, invasato dall'amore della libertà, che avea pensato farsi frate di cotal nuova religione ascrivendosi ai legionari cisalpini. Martiri eleganti e spensierati che abbondano in tutte le rivoluzioni, e dei quali chi dice male merita la scomunica, perché finiscono con un poco di pazienza a diventar eroi. E ne abbiamo parecchi e di fresca data nel nostro calendario; per esempio il Manara, milanese anche lui come l'anonimo marchesino che mi fece parlare. Costui insomma, per sbrigarmi, mi condusse con molta compitezza fino alla stanza del dottor Lucilio: e là tornammo a riverirci scambievolmente che sembravamo due primi ministri dopo una conferenza. Entrai. Non vi posso dire la sorpresa le congratulazioni gli abbracciamenti del dottore, e di Giulio che era con lui. Certo credo che per un fratello non avrebbero fatto maggiori feste e da ciò conobbi che mi volevano un briciolo di bene. Io sentii come un rimorso di stringermi Giulio sul cuore e di baciarlo. Si può dire ch'io aveva tuttora calde le labbra di quelle della Pisana, di colei ch'egli pure aveva amato e che forse colla sua spensieratezza colla sua civetteria gli aveva instillato nelle vene il fuoco febbrile che lo consumava. Ma d'altronde egli ci avea rinunciato per un amore più degno e fortunato; lo ritrovava pallido e scarno bensì ma non certo a peggior partito di quello che fosse a Venezia, ad onta della vita disagiata e soldatesca della caserma. Lucilio mi rassicurò sul suo conto assicurandomi che la malattia non avea fatto progressi; e che il buon umore, la occupazione moderata e continua, il cibo parco e regolare, avrebbero forse indotto alla lunga qualche miglioramento. Giulio sorrideva come chi crede forse ma non estima prezzo dell'opera lo sperare; s'era fatto soldato per morire non per guarire, e s'era tanto accostumato a quell'idea, che la menava innanzi allegramente, e come Anacreonte s'incoronava di rose coll'un piede nel sepolcro. Li domandai delle loro speranze, delle occupazioni, della vita. Tutto andava pel meglio. Speranze impazienti e grandissime per la rivoluzione che fremeva a Roma, a Genova, in Piemonte, a Napoli, pel movimento unitario che incominciava dalla prossima aggregazione di Bologna di Modena e perfino di Pesaro e di Rimini alla Cisalpina. — Toccheremo a Massa il Mediterraneo; — diceva Lucilio — come c'impediranno che si tocchi a Venezia l'Adriatico?... — E i Francesi? — gli domandai. — I Francesi ci aiutano bene, perché noi non saremmo in grado di aiutarci da noi. Sicuro che bisogna stare cogli occhi aperti, e non sorbire le frottole come da quello sciocco di Villetard: e sopratutto tener salde colle unghie e coi denti le nostre franchigie e non lasciarcele tôrre per oro al mondo. Erano presso a poco le mie idee; ma dal calore della voce, dalla vivacità del gesto capii di leggieri che la grandiosa solennità del mattino aveva riscaldato anche la guardinga immaginazione di Lucilio, e ch'egli non era in quella sera il medico spassionato di due mesi prima. Così mi piaceva di più; ma era meno infallibile e per quanto i suoi pronostici concordassero coi miei, non volli ancora fidarmene alla cieca. Gli mossi adunque un qualche dubbio sull'ignoranza e sull'inesperienza del popolo che mi pareva non atto alla sapiente civiltà degli ordinamenti repubblicani, e sull'insubordinazione che aveva osservato io stesso nelle milizie recentemente formate. — Sono due obiezioni cui si risponde con un solo ragionamento — soggiunse Lucilio. — Che si vuole ad educare dei soldati disciplinati?... La disciplina. Che si vuole a formare dei veri virtuosi integri repubblicani?... La repubblica. Né soldati né repubblicani nascono spontaneamente: tutti nasciamo uomini, cioè esseri da educare o bene o male, futuri servi, futuri Catoni secondoché capitiamo in mani scellerate od oneste. Mi consentirai del resto che se la repubblica non varrà a formare i perfetti repubblicani, di poco sarà più destra o volonterosa la tirannia a prepararli! — Chi sa! — io sclamai. — La Roma di Bruto sorse dalla Roma di Tarquinio! — Eh! statti pure in pace, Carlino, su questo punto; ché de' Tarquinii non ne mancarono a noi in quattro o cinque secoli di pazzie e di servitù!... Dovremmo essere educati abbastanza. Dimmi piuttosto qualche cosa di te. Oh perché ti sei attardato fino ad ora a Venezia? Come t'ingegnavi a poter vivere colà? Io recai ancora innanzi per iscusa la morte di Leopardo, i negozi lasciati sospesi da mio padre, e finalmente mi diedi coraggio, mandai un'occhiata di soppiatto a Giulio, e nominai la Pisana. Allora ambidue mi chiesero a gara com'era stato quel tramestio con un ufficiale francese di cui qualche cosa s'avea buccinato fino a Milano. Io esposi la cosa per filo; e come gli incommodi e i pericoli che n'erano derivati alla Pisana avessero costretto me a trattenermi colà per difenderla e consolarla in qualche maniera. Mi diffusi soprattutto nella descrizione della mia fuga per far risaltare ai loro occhi il rischio ch'io sfidava rimanendo a Venezia, e che certo non avrei voluto espormivi se una grave necessità non mi sforzava. In poche parole mi confessava colpevole entro di me di quell'indolente tardanza, ma non voleva che altri potesse raccoglier argomenti da formulare un'accusa. Per non fermarmi poi troppo sopra questo punto che mi scottava in mano, discorsi delle condizioni provvisorie di Venezia, degli ultimi spogli del Serrurier, del nuovo governo stabilitosi nel quale il Venchieredo mi pareva avere qualche influenza. — Caspita! non lo sai? — soggiunse Lucilio. — L'era il corriere fra gli Imperiali di Gorizia e il Direttorio di Parigi!... — O piuttosto il Bonaparte di Milano — corresse Giulio. — Sia anche: già è lo stesso. Buonaparte non potea disfare quello che il Direttorio aveva già ordito. Il fatto sta che il Venchieredo fu pagato bene, ma temo o spero che gli andrà alla peggio, perché serve sempre male ed ha il danno e le beffe chi serve troppo. — A proposito — chiesi io — e di Sandro di Fratta che ne dite?... L'ho veduto stamattina alla festa con tante costellazioni intorno che pareva il Zodiaco! — Adesso si chiama il capitano Alessandro Giorgi dei Cacciatori a piedi — mi rispose Lucilio. — Si è fatto grande onore nel reprimere i moti sediziosi del contadiname del Genovesato. Ora si va innanzi. L'han fatto tenente e poi capitano in un mese; ma della sua compagnia, tra le schioppettate, gli assassinamenti, e le grandi fatiche credo ne siano rimasti quattro soli di vivi. Uno per forza doveva diventar capitano: gli altri erano due ciabattini e un mandriano. Fu scelto, com'era di dovere, il mugnaio!... Lo troverai; e vedrai come gonfia! È un bravo e buon figliuolo che offre la sua protezione a quanti incontra e non si starà dall'offrirla anche a te. — Grazie — risposi io — l'accetterò al bisogno. — Non per ora — replicò Lucilio — ché il tuo posto è con noi e con Amilcare. Mi dissero allora di quest'ultimo com'era più fiero e sgangherato che mai, e si manteneva l'anima della loro brigata coi ripieghi che sapeva trovare ai peggiori frangenti. Ridotti a vivere della paga, si può immaginare che sovente erano al verde; toccava Tag: fatto giulio due bene noi poco innanzi certo male Argomenti: grande onore, nuovo governo, certo credo, fuoco febbrile, movimento unitario Altri libri consultabili online del sito affini al contenuto della pagina: Il conte di Carmagnola di Alessandro Manzoni Libro proibito di Antonio Ghislanzoni Diario del primo amore di Giacomo Leopardi La divina commedia di Dante Alighieri Fermo e Lucia di Alessandro Manzoni Articoli del sito affini al contenuto della pagina: Consigli per una dieta veloce ed efficace Dieta Dukan sì o no? Eliminare la cellulite Fase REM del sonno e sogni Il disturbo della calvizie
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