Confessioni di un Italiano di Ippolito Nievo pagina 53

Testo di pubblico dominio

o meglio dimentica il mondo intero, per vivere e farti vivere di se stesso, e che in un lampo solo schiude affratella e confonde le misteriose profondità di due spiriti in un unico desiderio d'amore e d'eternità, in un unico sentimento di beatitudine e di fede! — Il cielo che si aprisse pieno di visioni divine e d'ineffabili splendori agli occhi d'un santo, non sarebbe certo più incantevole di quella meteora di felicità che guizza raggiante e ahi spesso fugace nelle sembianze d'una donna. È una meteora; è un baleno; ma in quel baleno, più che in dieci anni di meditazioni e di studi l'anima travede i confusi orizzonti d'una vita futura. Oh quante volte all'oscurarsi di quelle sembianze s'annuvolò dentro di noi il bel sereno della speranza, e il pensiero precipitò bestemmiando nel gran vuoto del nulla, come Icaro sfortunato cui si fondevano le ali di cera! Quali sùbiti, dolorosi trabalzi dall'etere inane dove nuotano miriadi di spiriti in oceani di luce, al morto e gelido abisso che non vedrà mai raggio di sole, che mai non darà vita per volger di secoli a una larva pensata! E la scienza, erede di cento generazioni, e l'orgoglio, frutto di quattromill'anni di storia, fuggono come schiavi colti in fallo, al tempestar minaccioso d'un sentimento. Che siamo noi, dove andiamo noi, poveri pellegrini fuorviati? Qual è la guida che ci assicura d'un viaggio non infelice? Mille voci ne suonano dintorno; cento mani misteriose accennano a sentieri più misteriosi ancora; una forza segreta e fatale ci spinge a destra ed a sinistra; l'amore, alato fanciullo c'invita al paradiso; l'amore, demonio beffardo ci stritola nel niente. E solo la fede che il sacrifizio sarà contato a minor danno delle vittime sostenta i nostri pensieri nell'aria vitale. Ma Lucilio?... Oh Lucilio allora non pensava a ciò! I pensieri vengon dietro alle gioie, come la notte al tramonto, come il gelido verno all'autunno canoro e dorato. Egli amava da anni; da anni drizzava ogni suo consiglio, ogni sua arte, ogni sua parola a incalorire nel lontano futuro la beatitudine di quel momento; da anni camminava accorto paziente per vie tortuose e solitarie ma rischiarate qua e là da qualche barlume di speranza; camminava lento e instancabile verso quella cima fiorita, donde contemplava allora e teneva per sue tutte le gioie tutte le delizie tutte le ricchezze del mondo, come il monarca dell'universo. Era giunto a comporre una pietra filosofale; da una laboriosa miscela di sguardi di azioni di parole avea tratto l'oro purissimo della felicità e dell'amore. Alchimista vittorioso assaporava con tutti i sensi dell'anima le delizie del trionfo; artista entusiasta e passionato non finiva d'ammirare e godere l'opera propria in quel divino sorriso che spuntava come l'aurora d'un giorno più bello sul volto di Clara. Ad altri avrebbero tremato in cuore gratitudine, divozione, e paura; a lui la superbia ritemprò le fibre d'una gioia sfrenata e tirannica. Io forse e mille altri simili a me avremmo ringraziato colle lagrime agli occhi; egli ricompensò l'ubbidienza di Clara con un bacio di fuoco. — Sei mia! sei mia! — le disse alzando la destra di lei verso il cielo. E voleva significare: Ti merito, perché ti ho conquistata! Clara nulla rispose. Senza accorgersene e senza parlare avea amato in fino allora; e il momento in cui l'amore si fa conscio di sé non è quello per lui di diventar loquace. Solamente sentì per la prima volta di essere con tutta l'anima in potere d'un altro; e ciò non fece altro che cambiare il suo sorriso dal color della gioia in quello della speranza. A primo tratto avea goduto per sé; allora godeva per Lucilio, e questo contento fu più facile e caro a lei perché più pietoso e pudico. — Clara; — continuò Lucilio — l'ora si fa tarda e ci aspetteranno al castello! La giovinetta si destò come da un sogno; si stropicciò gli occhi colla mano e li sentì bagnati di lagrime. — Volete che andiamo? — rispose ella con una voce soave e dimessa che non pareva la sua. Lucilio senza mover parola si ravviò per la strada; e la fanciulla gli veniva del paro docile e mansueta come l'agnella al fianco della madre. Il giovine per quel giorno non chiedeva di più. Scoperto il tesoro, voleva goderne lungamente come l'avaro, non disperderlo all'impazzata in guisa dei prodighi per trovarsi poi misero peggio di prima e col sopraccollo delle memorie sfumate. — Mi amerai sempre? — le domandò egli dopo alcuni passi silenziosi. — Sempre! — rispose ella. La cetra d'un angelo non moverà mai un concento più soave di questa parola pronunciata da quelle labbra. L'amore ha il genio di Paganini; egli infonde nell'armonia le virtù dello spirito. — E quando la tua famiglia ti profferirà uno sposo? — soggiunse con voce dolorosa e stridente Lucilio. — Uno sposo!? — sclamò la giovinetta chinando il mento sul petto. — Sì; — riprese il giovane — vorranno sacrificarti all'ambizione, vorranno comandarti in nome della religione un amore che la religione ti proibirà in nome della natura! — Oh io non veggo che voi! — rispose Clara quasi parlando con se stessa. — Giuralo per quanto hai di più sacro! giuralo pel tuo Dio e per la vita di tua nonna! — soggiunse Lucilio. — Sì, lo giuro! — disse tranquillamente la Clara. Giurar quello che si sentiva costretta a fare da una forza irresistibile le parve cosa molto semplice e naturale. Allora si cominciavano a vedere fra il chiaroscuro della sera le prime case di Fratta: e Lucilio lasciò la mano della fanciulla per camminarle rispettosamente a fianco. Ma la catena era gittata; le loro due anime erano avvinte per sempre. La pertinacia e la freddezza da un lato, dall'altro la mansuetudine e la pietà s'erano confuse in un incendio d'amore. La volontà di Lucilio e l'abnegazione di Clara corrispondevano insieme, come quegli astri gemelli che s'avvicendano eternamente l'uno intorno all'altro negli spazi del cielo. Due uomini armati s'offersero loro incontro prima di entrar nel villaggio. Lucilio passava oltre avvisandoli per due guardiani campestri che aspettassero alcuno; ma uno di essi gli intimò di fermarsi, dicendo che per quella sera era vietato penetrar nel paese. Il giovine fu offeso e maravigliato d'una così strana tracotanza; e cominciò ad adoperare un mezzo che per molta esperienza conosceva infallibile in quegli incontri. Si mise ad alzar la voce e a strapazzarli. Indarno! I due buli lo fermarono pulitamente per le braccia rispondendo che così voleva il servizio della Serenissima Signoria, e che nessuno sarebbe entrato in Fratta, finché non fosse ultimata l'inchiesta d'alcuni contrabbandi che si cercavano. — M'immagino che non vorrete proibire l'ingresso in castello alla contessina Clara? — riprese Lucilio sbuffando ed additando la giovinetta, che egli proteggeva tenendosela stretta a braccio. Clara fece un moto come per trattenerlo dall'infuriar troppo; ma egli non le badò piucché tanto, e seguitò a minacciare e a voler proceder oltre. I due buli tornarono allora ad afferrarlo per le braccia, avvertendolo che l'ordine era preciso e che contro i renitenti avevano facoltà di adoperare la forza. — E questa facoltà di adoperare la forza io la ho sempre, e ne uso largamente contro i soperchiatori! — soggiunse con maggior calore Lucilio sciogliendosi con una scrollata dal pugno dei due sgherani. Ma in quella un altro moto di Clara lo avvisò del pericolo e della inopportunità di tali atti di violenza. Laonde si rimise in calma e domandò a quei due chi fossero e con qual autorità vietassero di entrare in castello alla figlia del giurisdicente. Gli scherani risposero che erano delle Cernide di Venchieredo, ma che l'inseguimento dei contrabbandieri li autorizzava ad agire anche fuori della loro giurisdizione; che i bandi dei signori Sindaci parlavano chiaro, e che del resto tale era l'ordine del loro Capo di Cento e che erano là non per altro che per farlo rispettare. Lucilio voleva

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Argomenti: forza irresistibile,    voce soave,    bel sereno,    cento mani,    unico desiderio

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