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Confessioni di un Italiano di Ippolito Nievo pagina 171storte e confuse immaginazioni degli Italiani. Volete sapere se un cotal ordinamento politico, se quella cospirazione di civiltà e di progresso può reggere e portar buon frutto alla nazione nostra?... Nominate Roma; è la pietra di paragone che scernerà l'ottone dall'oro. Roma è la lupa che ci nutre delle sue mammelle; e chi non bevve di quel latte, non se ne intende. Né voglio negare che il mirar troppo a Roma abbia fatto trascurare talvolta scopi più vicini ed accessibili, dei quali avremmo potuto giovarci come di gradini a ulteriore salite; ma certo il mirar troppo non fu né tanto dannoso né così disonorevole come il mirar nulla; e nessun periodo di storia italiana fu confuso ed illogico al pari di quello che aggiunse mostruosamente all'Impero di Francia il Dipartimento del Tevere. Intanto, giunto che fui a Roma, successe del mio dolore quello che d'ogni piccola cosa al soverchiar d'una grande. Restò stupito, soffocato, dimenticato quasi. Che può essere infatti l'infelicità d'un uomo in cospetto dei lutti d'un'intera nazione?... Io ritrovava quasi una pace stanca, una mestizia senza amaritudine contemplando gli avanzi fulminati della gran caduta: sopra di essi mi parevano giuochi e freddure le pompe le minutaglie dei secoli cristiani. Solo nelle catacombe vagolava uno spirito di fede e di martirio che sublimava il cristianesimo sopra i grandiosi sepolcri pagani. Io mi curvava tremebondo sotto quelle sante memorie di sacrifizio e di sangue; e le torture e le flagellazioni e i vituperi e gli strazii e la morte lietamente sofferta per un'idea ch'io ammirava senza comprenderla, impiccolivano agli occhi miei quella soma d'affanni ch'io mi dava ad intendere di non poter trascinare. Nell'emulazione dei grandi sta la redenzione dei piccoli. Peraltro se il vivere nella Roma antica dei consoli e dei martiri mi dava qualche conforto, la Roma d'allora invece mi empieva di rammarico e quasi di spavento. Il Papa n'era andato senza scherni e senza plauso; perché avendo dovuto rimettere molto della pompa e della magnificenza colle quali era solito vivere, il popolo non si accorgeva più di lui. Dallo splendore della corte e delle cerimonie, più che dalla virtù e dalla santità della vita si misurava l'eccellenza del principe del cristianesimo. Una confusione di cose venerabili per religione e per età ladramente vituperate, di schifezze levate a cielo e splendidamente decorate, di stupidi superstiziosi e di vili rinnegati, di saccheggi e di carestie, di epuloni e di affamati, di frati cacciati dai conventi, di monache strappate ai loro ritiri, di cardinali inseguiti dai cavalleggieri, e di cavalleggieri scannati dai briganti; tutto andava a soqquadro, si rovesciava alla perdizione; giudice del bene o del male il talento annebbiato od illuso d'ognuno: un mescolarsi di resistenze pretesche, di arbitrii francesi, di licenze popolari e di assassinii privati; un mettersi avanti di grandi ed onesti nomi per coprire l'infamia dei piccoli; continui mutamenti senza fede senza sicurezza, cagionati dalla rapacità di chi amava pescare nel torbido. E Francesi che bestemmiavano ai traditori italiani e transteverini che insorgevano, gridando: — Viva Maria!... — Il sangue scorreva nei boschi, sulle maremme, nelle caverne; città e campagna s'armavano con egual furore; ma fin nei cunicoli del Culiseo, fin nei montani ricoveri, in braccio alla moglie, ai piedi dei vecchi genitori erano perseguitati i ribelli. Murat ammazzava fucilava impiccava; i superstiti andavano al remo, e chi li diceva martiri chi galeotti. Nessuna semente maggiore di discordia e di ribellione future che questa opinione dei popoli che cambia in altare il patibolo. Quattro commissari del Direttorio francese eran venuti a risuscitare le vecchie parole di consolato, senato, tribunato e questura; togliendo loro autorità coll'adoperarle a coprire cose affatto nuove e piuttosto che repubblicane, servili, pel precipizio con cui erano imposte. I cinque consoli si cambiavano ad ogni cambiar d'umore del generale francese; tuttavia la confederazione della Repubblica Romana (grave nome a portarsi) fu celebrata coll'egual solennità della Cisalpina. E fu coniata una medaglia che portava sulla doppia faccia le due scritte: Berthier restitutor urbis, e Gallia salus generis umani . Alla prima seppimo quanto credere: la seconda, Dio lo voglia! In un cotanto disordine anzi smembramento e tracollo della cosa pubblica quali potessero essere argomenti da rendere ai Romani assetto di nazione civilmente e secondo i proprii bisogni ordinata, io certo non lo so. Per questo non mi dà il cuore di biasimare davvantaggio quegli uomini che vi accudirono allora, e con effetto impari certo ai disegni. V'hanno certi dissesti morali ed economici nella vita d'un popolo, originati da lunghi secoli di corruzione di ozio e di servitù, per riparar ai quali non basta l'accorgimento e la tolleranza del paziente stesso, come per guarire non basta all'infermo sapersi malato e desiderar salute. Medici arditi e sapienti si vogliono che operino coraggiosamente e impongano al malato la quiete la fiducia la pazienza. Per sanare i guasti d'un dispotismo cancrenoso e immorale, nulla di meglio che una dittatura vigorosa e leale. S'anche taluni torcessero il naso a questa opinione, la storia risponde loro trionfalmente coi suoi argomenti veramente filosofici e invitti, che si chiamano necessità. Odiar le dittature si può, ma bisogna sopportarle; bisogna, come castigo ed espiazione. I legislatori del secolo passato, che dopo il trafugamento di Pio VI si tolsero di dare una costituzione alle Romagne, ebbero sulle spalle a mio credere il peso più imponente che dorso politico abbia mai tentato di sollevare. S'accasciarono sotto; ma chi sarebbe stato ritto?... Cesare forse con trenta legioni, senz'altri amminicoli legali. Dopo il sollevamento generale del contado, l'esercito quasi tutto raccolto in Roma fu sperperato a pattuglie a guarnigioni a rinforzi nelle varie cittaduzze e altri luoghi murati delle Romagne. Fummo assieme pochi giorni con Lucilio con Amilcare con Giulio, e con essi visitai le belle cose di Roma e dei dintorni; ma quando avvenne il frastagliamento dell'occupazione militare, Giulio ed Amilcare furono mandati a Spoleto, io e Lucilio restammo nel Castel Sant'Angelo. La mia legione aspettava sempre il suo capitano che tardava a giungere da Firenze; ma forse non si dava fretta perché la pochezza delle forze francesi e le grandi fortificazioni interne di re Ferdinando non lasciavano lusinga per allora d'una guerra napoletana. Per poltrire in un seggiolone, com'è il destino del soldato in tempo di pace, tanto valeva un caffè di Firenze come quelli tutti di Roma. Almeno io spiegava così la tardanza del Carafa. Intanto continuava con Lucilio a godermi le belle antichità di Roma e a studiarmi la storia coll'aiuto dei monumenti. Era l'unico svagamento che mi restasse contro lo sconforto che mi aggravava sempre più per le mancanti notizie di Venezia. Mia sorella e il cognato scrivevano; perfino mio padre scrissemi per mezzo loro da Costantinopoli che attendessi a sperare e a prepararmi; erano scarsi aiuti, nessuno sapeva darmi contezza della Pisana neppur per sospetto o per conghiettura. Udiva anzi che a Venezia si trattava di ventilare la sua eredità, segno che la credevano o la speravano morta; e questa faccenda nella quale ravvisai la crudele avidità della Contessa non vi so dire in qual furore mi mise. A questo s'aggiungevano i disinganni politici che cominciavano a tempestare. Le mutazioni imposte agli Statuti cisalpini da Trouvé, ambasciatore di Francia coll'aiuto delle baionette francesi, davano a divedere di qual lega fosse la libertà concessa alle repubbliche italiane. Securi contro l'Austria per la pace già stabilita, vollero stringer il freno, per aver più pronta la direzione delle cose. Si tornava a mutare per cambiar poi di nuovo, soldatescamente tirannicamente sempre. Tantoché le menti più forti ed Tag: cose nazione storia pace certo sempre grandi malato vita Argomenti: direttorio francese, semente maggiore, cotanto disordine, effetto impari, dispotismo cancrenoso Altri libri consultabili online del sito affini al contenuto della pagina: I nuovi tartufi di Francesco Domenico Guerrazzi Il colore del tempo di Federico De Roberto Il conte di Carmagnola di Alessandro Manzoni Intrichi d'amore di Torquato Tasso L'Olimpia di Giambattista Della Porta Articoli del sito affini al contenuto della pagina: Offerta capodanno a Minsk Aruba la spiaggia bianca come la neve Alla scoperta di San Francisco Come applicare l'acqua di colonia Vacanze in Europa
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