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Confessioni di un Italiano di Ippolito Nievo pagina 196mutrione. Il soldataccio se ne congratulò come d'un buon pronostico, e nel salir le scale mi esortava a mostrarmi pur gaio lesto arditello, ché alle donne di mezza età e che non hanno tempo da perdere, piacciono cotali maniere. Figuratevi! io era tanto gaio che fui per dar il naso sull'ultimo gradino: peraltro insieme a tali doti me se ne sviluppò un'altra, la sincerità, e questa al solito mi fece fare il primo marrone. Quando il portiere ci ebbe aperto e il colonnello mi ebbe introdotto nell'anticamera, io ballonzolava che non mi pareva di toccare il pavimento. — Chi s'immaginerebbe mai — dissi a voce altissima — chi s'immaginerebbe mai che così come sono sdilinquisco per la fame? Il portiere si volse meravigliato a guardarmi per quanto i canoni del suo mestiere glielo vietassero. Alessandro mi dié una gomitata nel fianco. — Eh matto! — diss'egli — sempre colle tue baie. — Eh ti giuro che non son baie, che... ahi, ahi, ahi!... Il colonnello mi diede un tale pizzicotto che non potei tirar innanzi nella contesa e dovetti interromperla con questa triplice interiezione. Il portiere si voltò a guardarmi e questa volta con tutto il diritto. — Nulla, nulla — soggiunse il colonnello — gli ho pestato un callo! Fu un bel trovato così di sbalzo; ed io non giudicai opportuno di difendere la verginità de' miei piedi perché appunto in quella eravamo entrati nella sala della signora. Il colonnello s'accorgeva allora del pericolo, ma si era in ballo e bisognava ballare; un veterano di Marengo doveva ignorar l'arte delle ritirate. In una luce morta e rossigna che pioveva da lampade appese al soffitto e affiocate da cortine di seta rossa, io vidi o mi parve vedere la dea. Era seduta sopra un fianco in una di quelle sedie curuli che il gusto parigino aveva dissotterrato dai costumi repubblicani di Roma e che perdurarono tanto sotto l'impero d'Augusto che sotto quello di Napoleone. La veste breve e succinta contornava forme non dirò quanto salde, ma certo molto ricche; una metà abbondante del petto rimaneva ignuda: io non mi fermai a guardare con troppo piacere, ma sentii piuttosto un solletico ai denti, una voglia di divorare. I fumi dell'anesone mi lasciavano travedere che quella era carne, e mi lasciavano soltanto quel barbaro barlume di buonsenso che resta ai cannibali. La signora parve soddisfattissima della buona impressione prodotta sopra di me, e chiese al colonnello se fossi io quel giovane che desiderava impiegarsi in qualche amministrazione. Il colonnello si affrettò a rispondere di sì, e s'ingegnava di stornare da me l'attenzione della signora. Sembrava invece che costei s'invaghisse sempre più del mio bel contegno perché non cessava dall'osservarmi e dal volgere il discorso a me, trascurando affatto il colonnello. — Carlo Altoviti, mi sembra — disse con gentilissimo sforzo di memoria la signora. Io m'inchinai diventando tanto rosso che mi sentiva scoppiare. Erano crampi di stomaco. — Sembrami — continuò ella — aver osservato questo nome se non isbaglio l'anno scorso nell'annuario della nostra alta magistratura. Io diedi una postuma gonfiata in memoria della mia intendenza, e mi tenni ritto e pettoruto mentre il colonnello rispondeva che infatti io era stato preposto alle Finanze di Bologna. — E c'intendiamo — soggiunse la signora a mezza voce inchinandosi verso di me — il nuovo governo... queste sue massime... insomma vi siete ritirato! — Già — risposi con molto sussiego, e senza aver nulla capito. Allora cominciarono ad entrar in sala conti, contesse, principi, abati, marchesi, i quali venivano mano a mano annunciati dalla voce stentorea del portiere: era un profluvio di don che mi tambussava le orecchie, e diciamolo imparzialmente, quel dialetto milanese raccorciato e nasale non è fatto per ischiarire le idee ad un ubbriaco. In buon punto il colonnello s'avvicinò alla padrona di casa per accomiatarsi; io non ne poteva più. Essa gli disse all'orecchio che tutto era già combinato e che ne andassi difilato il giorno appresso alla ragioneria ove mi avrebbero assegnato il mio compito e dettomi le condizioni del servigio. Io ringraziai inchinandomi e strisciando i piedi, sicché una dozzina di quei don muti e stecchiti si volse meravigliata a guardarmi; indi battendo fieramente i tacchi al fianco del colonnello m'avviai fuori della sala. L'aria aperta mi fece bene; perché mi si rinfrescò d'un tratto il cervello, e fra i miei sentimenti si intromise un po' di vergogna dello stato in cui m'accorgeva essere, e della brutta figura che temeva aver sostenuto nella conversazione della Contessa. Peraltro mi durava ancora una buona dose di sincerità; e cominciai a lamentarmi della fame che avevo. — Non hai altro? — mi disse il colonnello. — Andiamo al Rebecchino e là te la caverai. — Non mi ricordo bene se dicesse il Rebecchino; ma mi pare di sì, e che in fin d'allora ci fosse a Milano questa mamma delle trattorie. Io mi lasciai condurre; me ne diedi una gran satolla senza trar fiato o pronunciar parola, e mano a mano che lo stomaco tornava in pace, anche il capo mi si riordinava. La vergogna mi venne crescendo sempre fino al momento di pagare; e allora stava proprio per rappresentare la commediola solita degli spiantati, di palpar cioè il taschino con molta sorpresa, e di rimproverarmi della mia maledetta sbadataggine per la borsa perduta o dimenticata; quando una più onesta vergogna mi trattenne da questa impostura. Arrossii di essere stato più sincero durante l'ubbriachezza che dopo, e confessai netta e schietta ad Alessandro la mia estrema povertà. Egli andò allora in collera che gliel'avessi nascosta in fino allora; volle consegnarmi a forza quei trenta scudi che aveva e che dopo pagato il conto non rimasero che ventotto; e si fece promettere che in ogni altro bisogno avrei ricorso a lui che di poco sì, ma con tutto il cuore m'avrebbe sovvenuto. — Intanto domani io devo partire senza remissione pel campo di Germania — egli soggiunse — ma parto colla lusinga che questi pochi scudi basteranno a farti aspettare senza incommodi la prima paga che ti verrà contata presto: forse anco dimani. Coraggio Carlino; e ricordati di me. Stasera devo abboccarmi coi capitani del mio reggimento per alcune istruzioni verbali; ma domattina prima di partire verrò a darti un bacio. Che dabbene d'un Alessandro! Era in lui un certo miscuglio di soldatesca rozzezza e di bontà femminile che mi commoveva: gli mancavano le così dette virtù civiche d'allora, le quali adesso non saprei come chiamarle, ma gliene sovrabbondavano tante altre che si poteva fare la grazia. La mattina all'alba egli fu a baciarmi ch'io dormiva ancora. Io piangeva per l'incertezza di non averlo forse a rivedere mai più, egli piangeva sulla mia cocciutaggine di volermi rimanere oscuro impiegatuccio in Milano, mentre poteva andar dietro a lui e diventar generale senza fatica. Di cuori simili al suo se ne trovano pochi: eppure egli augurava di gran cuore la morte di tutti i suoi colleghi per avere un grostone più alto sul cappello e trecento franchi di più al mese. Questa è la carità fraterna insegnata anzi imposta anche agli animi pietosi e dabbene dal governo napoleonico! Quando fu ora convenevole io mi vestii con tutta la cura possibile, e n'andai alla ragioneria della contessa Migliana. Un certo signore grasso tondo sbarbato con cera e modi affatto patriarcali m'accolse si può dire a braccia aperte: era il primo ragioniere, il segretario della padrona. Egli mi condusse per prima cerimonia alla cassa ove mi furono contati sessanta scudi fiammanti per onorario del primo trimestre. Indi mi condusse ad uno scrittoio ove erano molti librattoli unti e gualciti e in mezzo un librone più grande sul quale almeno si potevano posar le mani senza sporcarsele. Mi disse ch'io sarei stato per allora il maestro di casa il maggiordomo della signora Contessa, almeno finché restasse libero un posto più confacente agli alti miei Tag: colonnello signora portiere mano prima poteva fianco certo contessa Argomenti: certo miscuglio, bontà femminile, certo signore, gusto parigino, veste breve Altri libri consultabili online del sito affini al contenuto della pagina: Diario del primo amore di Giacomo Leopardi Il conte di Carmagnola di Alessandro Manzoni Il ponte del Paradiso di Anton Giulio Barrili L'arte di prender marito di Paolo Mantegazza La spada di Federico II di Vincenzo Monti Articoli del sito affini al contenuto della pagina: Offerta Capodanno a Los Angeles Offerta capodanno a Sidney Offerte capodanno a Londra Oktoberfest Come riconoscere i sintomi di una gravidanza
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