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Confessioni di un Italiano di Ippolito Nievo pagina 192da lei, mi volsi all'Aglaura pregandola, se aveva viscere di carità fraterna, a volermi significare senza misteri senza palliativi quanto concerneva mia cugina. In fino allora mia sorella s'era schivata sempre di rispondere esplicitamente alle mie inchieste sopra tale proposito; e col credere o col non sapere se la cavava dai freschi. Ma quella volta, conoscendo dal tenor della lettera che veramente io era sgomentatissimo e in procinto di fare qualche pazzia, mi rispose subito che aveva sempre taciuto pregata di ciò dalla Pisana stessa, che allora peraltro voleva accontentarmi perché vedeva l'agitazione della mia vita; che sapessi dunque esser già da sei mesi la Pisana in casa di suo marito, occupatissima a fargli d'infermiera, e che non pareva disposta ad abbandonarlo. Mi dessi pace che ella mi amava sempre, e che la sua vita a Venezia era proprio quella d'un'infermiera. Oh se avessi allora avuto fra le unghie Sua Eccellenza Navagero!... Credo che non avrebbe abbisognato più a lungo di infermieri. Cosa gli saltava a quel putrido carcame di rubarmi la mia parte di vita?... C'era mo giustizia che una giovane come sua moglie... Mi fermai un poco su questa parola di moglie, perché mi balenò in capo che le promesse giurate appiè dell'altare potessero per avventura contar qualche cosa. Ma diedi di frego a questo scrupolo con somma premura. “Sì, sì” ripigliai “c'è giustizia che sua moglie resti appiccicata a lui, come un vivo a un cadavere?... Nemmeno per sogno!... Oh, per bacco, penserò io a distaccarli, a terminare questo mostruoso supplizio. Dopo tutto, anche non volendo dire che la carità principia da noi stessi, non è forse secondo le regole di natura ch'egli muoia piuttosto che me? Senza contare che io ne morrò davvero; ed egli sarà capace di tirar innanzi anni ed anni a questo modo, l'imbecille!...”. Afferrai la mia magnifica penna d'intendente e scrissi un tal letterone che avrebbe fatto onore ad un re in collera colla regina. Il succo era che se ella non veniva più che presto a rimettermi un po' di fiato in corpo, io, la mia gloria, la mia fortuna saremmo andati sotterra. Questa mia lettera rimase senza risposta un paio di settimane, in capo alle quali quand'appunto io pensava seriamente ad andarmene, non dirò sotterra, ma a Venezia, capitò inaspettata la Pisana. Aveva il broncio della donna che ha dovuto fare a modo altrui, e prima di ricevere né un bacio né un saluto, volle ch'io le promettessi di lasciarla ripartire a suo grado. Poi vedendo che questo discorso mi toglieva metà del piacere di sua venuta, mi saltò colle braccia al collo, e addio signor Intendente! — Io era impazientissimo di farle osservare tutti gli agi annessi alla mia nuova dignità; un sontuoso appartamento, portieri a bizzeffe, olio, legna, tabacco a spese dello Stato. Fumava come il povero mio padre per non lasciar indietro nessun privilegio, e mangiava d'olio tre giorni per settimana come un certosino; ma avea messo da un canto una bella sommetta per far figurar degnamente la Pisana nella società bolognese; era pel mio temperamento una tal prova d'amore che la doveva cadermi sbasita dinanzi. Invece non ci badò quasi; perché per intendere il merito di cotali sforzi bisogna esserne capaci, ed ella, benedetta, avea più buchi nelle tasche e nelle mani che non ne abbia nella giubba un accattone romagnuolo. Soltanto fece due occhioni tondi tondi sentendo nominare quattrocento scudi; pareva che da un pezzo ella avesse perduto l'abitudine di udir perfino nominare sì grossa somma di danaro. Al fatto per altro non fu tanto grossa come si credeva. Abiti, cappellini, smanigli, gite, rinfreschi mi misero perfettamente in corrente colla paga e gli scudi non mi si invecchiavano più di quindici giorni nel taschino. Svagata di qua di là la Pisana mi scoperse in breve un altro lato nuovissimo del suo temperamento. Diventò la più allegra e ciarliera donnetta di Bologna; ne teneva a bada quattro, sei, otto; non si musonava né si stancava mai; non si sprofondava né in un'osservazione né in un pensiero né in una sbadataggine a segno di dimenticarsi degli altri; anzi sapeva così bene distribuire parolette e sorrisi, che n'era un poco per tutti e troppo per nessuno. Poteva fidarmi di lei, ed erano finite le tormentose fatiche di Ferrara. Tutti intanto parlavano chi della cugina chi della moglie chi dell'amante del signor Intendente; v'aveva chi volea sposarla, e chi pretendeva sedurla o rapirmela. Ella s'accorgeva di tutto, ne rideva garbatamente e se il brio lo dispensava ogni dove, l'amore poi lo serbava per me. Donne così fatte piacciono in breve anche alle donne, perché gli uomini si stancano di cascar morti per nulla e finiscono col corteggiarle per vezzo, tenendo poi saldi i loro amori in qualche altro luogo. Così dopo un mese la mia Pisana, adorata dagli uomini, festeggiata dalle donne, passava per le vie di Bologna come in trionfo, e perfino i birichini le correvano dietro gridando: — È la bella veneziana! è la sposa del signor Intendente! — Non voglio dire se ella ne invanisse di queste grandi fortune, ma certo sapeva farsene merito presso di me col miglior garbo della terra. E a me s'intende toccava amare, com'era giusto, in proporzione dei desiderii che le formicolavano intorno. Così, menando questa vita di continui piaceri, e di domestica felicità, non si parlava più di ripartire. Quando giungevano lettere da Venezia, appena era se vi metteva sopra gli occhi; ma se la scrittura voltava pagina, ella non la voltava di sicuro, e piantavala a mezzo. Io poi me le leggeva da capo a fondo, ma aveva cura di nasconderle tutta la premura che di tanto in tanto sua madre od il marito le facevano di tornare. Questi pareva non fosse più né tanto geloso né così prossimo a morire; parlava di me con vera effusione d'amicizia, come d'uno stretto e carissimo parente, e degli anni futuri come d'una cuccagna che non doveva finir mai. — Mostro d'un moribondo! — borbottava io. — Pur troppo è risuscitato! — E quasi quasi mi sentiva in grado io di far il geloso per tutto quel tempo che la Pisana aveva dimorato presso di lui. Ma ella sbellicava delle risa per queste ubbie: ed io ci rideva anch'io: però trafugava le lettere, e, buttate ch'ella le avesse da un canto, mi prendeva ogni briga perché non le capitassero più in mano. La sua smemorataggine mi serviva in ciò a cappello. Quanto alla sua lunga dimora a Venezia, ecco come stava la cosa; o meglio com'essa me l'ebbe a raccontare a pezzi a bocconi secondoché l'estro lo permetteva. Sua madre convalescente l'avea pregata almeno per convenienza di far una visita al marito moribondo, la quale, diceva lei, sarebbe riescita graditissima. Infatti la Pisana si era adattata; e poi lo stato del poveruomo, le sue strettezze finanziarie (a tanto ei si diceva scaduto dalla pristina opulenza), l'abbandono nel quale viveva, le aveano toccato il cuore e persuasala a rimanere presso di lui, com'egli ne mostrava desiderio. Era stata tutta bontà: ed io pur lamentandone i brutti effetti per me, non potei a meno di lodarnela in fondo al cuore, e di innamorarmene vieppiù. Peraltro potete credere che io andava molto cauto nello strapparle di bocca tali confidenze; e non vi insisteva mai che un attimo un lampo, perché col batterla troppo aveva una paura smisurata di ravvivarle in mente tutte quelle cagioni di pietà, e di metterla in voglia di partire. Io era abbastanza giusto per lodare, abbastanza egoista per impedire questi atti di eroica virtù; e per avventura, essendo la Pisana una creatura molto buona e pietosa ma ancor più sbadata a tre tanti, mi venne fatto di trattenerla in feste in canti in risa per quasi sei mesi. Tuttavia io vedeva crescere con ispavento il numero e l'eccitamento delle lettere; ma vedendo che non ne veniva alcun guaio, mi ci abituai, e credetti che quella beatitudine non dovesse finir più. Di ministro delle Finanze, e vice–presidente e presidente della Repubblica, Tag: tanto moglie vita intendente troppo marito tutti donne sei Argomenti: putrido carcame, tanto grossa, madre convalescente Altri libri consultabili online del sito affini al contenuto della pagina: Corbaccio di Giovanni Boccaccio Il diavolo nell'ampolla di Adolfo Albertazzi Le femmine puntigliose di Carlo Goldoni Le sottilissime astuzie di Bertoldo di Giulio Cesare Croce Marocco di Edmondo De Amicis Articoli del sito affini al contenuto della pagina: Maldive, immersi in paradiso Storia e carattere del criceto comune La farfalla monarca e la sua spettacolare migrazione Come scegliere gli orecchini La calopsite: un grande pappagallo poco conosciuto
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