Confessioni di un Italiano di Ippolito Nievo pagina 217

Testo di pubblico dominio

mille sgarberie che era stato un mero capriccio quasi una burla. — Povero Carlo! — diceva ella talvolta. — Cosa sarebbe stato di te se la compassione non mi persuadeva di farti un po' di assistenza! Anche fu fortuna che la seccaggine di quel mio vecchio marito mi invogliasse di partire da Venezia; così ti ho procacciato qualche utile e tu avrai presto il bene di rabbracciare i tuoi cari. Ella non m'aveva parlato mai con tale crudezza; e dava ben pochi indizi di generosità col noverarmi quasi la lista dei beneficii ch'io doveva unicamente alla sua compassione. Ne patii acerbamente; ma mi persuasi vieppiù che nessuna traccia d'amore le era rimasta nell'anima, e che l'eroismo stesso della sua pietà era un capriccio una vera bizzarria. Finalmente potei stringere al seno i miei figli; baciare quelle loro guance fresche e rotonde, rinfrescarmi l'anima nei puri sentimenti di quei cuori giovanili. La buona Aquilina, che tanto amorevole quanto animosa madre s'era dimostrata nell'educarli, ebbe la sua parte delle mie carezze, e corrisposi con effusione agli amichevoli abbracciamenti di Bruto. Oh ma le loro sembianze non poteva vederle!... Allora per la prima volta ebbi entro un movimento di stolida rabbia contro il destino, e mi pareva che il fuoco della volontà dovesse bastare a raccendermi le pupille, tanto era intenso ed ardente. Lucilio mise un po' di balsamo sulla piaga assicurandomi che dopo un breve tempo avrebbe tentato l'operazione; e così riserbandomi per allora i piaceri della vista mi diedi subito a godere di tutti gli altri che m'erano concessi dalla mia condizione infelice. Furono, per tutto il resto di quel giorno e pel seguente continue inchieste, domande, commemorazioni di questa e di quella persona, delle cose più minute, dei fatti più fuggevoli e inconcludenti. Di Alfonso Frumier sapevano nulla, di Agostino avevano detto a Venezia che era affamato di fettucce e di croci e ne aveva intorno un altarino: così pure gli abbondavano i figliuoli, ad uno dei quali assegnava pel futuro la carica di ministro, all'altro quella di generale, di patriarca, di papa. Sua Eccellenza Navagero stava al solito né morto né vivo; sempre colla Clara al capezzale quand'ella non aveva da recitare le Ore e le Compiete: allora, morisse anche, non voleva saperne. Il vecchio Venchieredo era morto finalmente ed avea lasciato a suo figlio una sostanza così imbrogliata che non avea speranza di cavarsene con quella sua testa balzana e spensierata; bisbigliavano che Raimondo si potesse sposare colla primogenita di Alfonso Frumier il quale peraltro stentava a largheggiar nella dote. Del resto le cose al solito; il paese indifferente, taluni svagati dai divertimenti, altri allettati dalle paghe; nessun commercio, nessuna vita. I processi politici avevano messo gran malumore nelle famiglie senzaché la comune della gente se ne avvedesse; solamente questa seguitava a lamentarsi della coscrizione; ma son malanni tolti appoco appoco dall'abitudine, massime quando il farsi soldato vuol dire mangiare una buona minestra col lardo, e fumare degli ottimi cigarri alle spese di chi s'abborraccia di polenta e non fuma altro che cogli occhi lagrimosi sotto la cappa del camino. — E a Cordovado? — domandai io. A Cordovado ci aveano più scarse novità che in ogni altro sito, se si eccettui la pazzia dello Spaccafumo che diceva esser assalito dagli spiriti e li stornava sempre colla mano a destra e a sinistra. Questa preoccupazione lo menò poi a capitombolare nel Lemene dove un bel mattino lo trovarono annegato. Ma si credette che i troppi bicchierini d'acquavite ingollati ne avessero per lo meno tanta colpa quanto gli spiriti. Così terminò un uomo che sarebbe diventato un eroe se... Perdono! dopo questo “se”, bisognerebbe vi raccontassi tutti i perché della nostra storia dal Trecento in seguito. Val meglio troncar il periodo. Il conte Rinaldo avea fatto atterrare un altro pezzo del castello di Fratta; e Luciano e la Bradamante aveano seppellito senza grandi lagrime il signor Capitano per le settecento lire di usufrutto che ne ereditarono. — Appunto, si conserva bene Donato? — chiese la Pisana. — Figuratevi, come un giovinotto; — rispose Bruto — non ha né un capello grigio né una ruga sul viso. Non par nemmeno uno speziale. — Oh gli era davvero il più bel giovane che si potesse vedere! — soggiunse l'altra. — A' miei tempi gli ho voluto bene anch'io più che ad ogni altro. Io troncai quel discorso perché non mi piaceva ed anche per chiedere più larghe informazioni intorno a mia sorella la quale mi avevano annunciato esser partita per la Grecia a raggiungervi Spiro il marito, ma non m'avevano detto di più. — A proposito di tua sorella; — soggiunse Bruto — non avesti una sua lettera ch'era per te a Venezia e che noi ti abbiamo spedita di colà? — Non l'ebbi — rispos'io; infatti non ne sapeva nulla. — Allora la si sarà smarrita per via; — riprese Bruto — ma dal carattere e da chi la portava, che era un mercante greco, io l'avea giudicata ed era dell'Aglaura. Un cotal incidente mi spiacque assaissimo; ma pochi giorni dopo quella lettera mi capitò un po' guasta nel suggello e negli angoli. Non avrò il coraggio né di darla a brani né di spremerne il succo. Eccola tal quale. “Carlo, fratel mio. “La Grecia mi voleva e m'ebbe finalmente; credetti appartenerle un tempo pel sangue de' miei genitori; ma poiché non era vero, la natura mi rilegò a lei per mezzo del marito e dei figliuoli. Ecco ch'io ho diviso il mio cuore fra le due patrie più grandi e sventurate che uomo mai possa sortire nascendo. Nulla ti dirò della mia salute che vacillò piucchemai dopo la partenza di Spiro e che si rimise allora soltanto quando pensai che rafforzata mi avrebbe servito a raggiungerlo. Appena dunque ho potuto m'imbarcai sopra una nave idriotta e veleggiammo verso le sacre onde dell'Egeo. Mi pareva essere la suora di carità che dopo aver assistito alle ultime ore d'un malato passa ad un altro capezzale dove la chiamano dolori più vivi sì ma forse al pari micidiali. Sai che io non sono una donna molto debole e dovresti ricordartelo per prova; ma ti confesserò che ho pianto molto durante il tragitto. A Corfù s'imbarcarono parecchi italiani fuggiti da Napoli e dal Piemonte che si proponevano di versar per la Grecia il sangue che non avean potuto spargere per la propria patria. Io piangeva, ti dico, come una buona veneziana; fu soltanto al toccare il suolo della Laconia che mi sentii ruggir nel cuore lo spirito delle antiche spartane. Qui le donne sono le compagne degli uomini non le ministre dei loro piaceri. La moglie e la sorella di Tzavellas precipitavano dalle rupi di Suli sassi e macigni sulle cervici dei Musulmani cantando inni di trionfo. Alla bandiera di Costanza Zacarias accorrono le donne di Sparta, armate d'aste e di spade. Maurogenia di Mirone corre i mari con un vascello, solleva l'Eubea e promette la mano di sposa a chi vendicherà sugli Ottomani il supplizio di suo padre. La moglie di Canaris a chi le disse che aveva per marito un prode, rispose: — Se non fosse, l'avrei sposato? — Così, o Carlo, le nazioni risorgono. “Giunta appena, trovai mio figlio Demetrio che tornava colle navi di Canaris dall'aver abbruciato a Tenedo la flotta turca. Colà le flotte cristiane d'Europa stavano contro di noi; la croce alleata della mezzaluna contro la croce! Dio disperda gli infedeli e i rinnegati prima di loro. Demetrio aveva abbrustolita una guancia e mezzo il petto dalla fiamma della pece; ma il mio cuore materno lo riconobbe; egli ebbe fra le mie braccia la ricompensa degli eroi, la gloria di veder insuperbire a diritto la madre. Spiro e Teodoro chiusi in Argo con Ipsilanti attendevano a frenare il torrente dei Turchi mentre Colocotroni e Niceta tagliavano loro la ritirata alle spalle coll'insurrezione dei montanari. “Oh Carlo! fu un bel giorno quello in cui tutti quattro ci riabbracciammo là sulle soglie quasi del

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Argomenti: breve tempo,    bel giovane,    cuore materno,    vecchio marito,    mero capriccio

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