Confessioni di un Italiano di Ippolito Nievo pagina 44

Testo di pubblico dominio

sé che innamorata di Leopardo, godeva di quella guerra che le si accendeva intorno, e nulla certo faceva per sedarla. Gaetano soffiò tanto alle orecchie del suo padrone, e della petulanza del giovine Provedoni, e della sua poca reverenza alle persone d'alto grado e in particolare al signor giurisdicente, che questi finalmente dovette accontentarlo col guardar Leopardo con occhio più bieco assai che non guardasse la comune della gente. Quella guardatura voleva dire: “Statemi fuor dai piedi!”, e la intendevano tanto per dieci miglia all'intorno, che un'occhiata bieca del castellano di Venchieredo equivaleva ad una sentenza di bando almeno per due mesi. Leopardo invece fu guardato, guardò, e proseguì tranquillamente nel suo mestiero. Gaetano non chiedeva di più; e sapeva benissimo che quella tacita sfida avrebbe contato per cento delitti nell'opinione del prepotente castellano. Infatti costui si stizzì assaissimo di veder Leopardo far così basso conto delle sue occhiate; e dopo averlo incontrato due tre e quattro volte nel cortile del castello, una volta lo fermò colla voce per dirgli risentitamente che egli si stava troppo in ozio e che quel tanto passeggiare da Cordovado a Venchieredo potea dargli il mal delle reni. Leopardo s'inchinò, e non comprese o finse di non comprendere; ma seguitò a passeggiare come prima senza paura di ammalarne. Il signore principiò allora, come si dice, ad averlo proprio sulle corna, e vedendo di non cavarne nulla colle mezze misure, un bel dopopranzo lo fece chiamare a sé e gli cantò chiaramente che egli il suo castello non lo teneva per comodo dei signorini di Cordovado e che, se andava in amore, cercasse guarirsene con altre donzelle che con quelle di Venchieredo; se poi volesse arrischiar le spalle a qualche buona untata, capitasse la sera alla solita tresca e sarebbe stato servito a piacere. Leopardo si inchinò anche allora, e non rispose verbo; ma la sera stessa non mancò di andare dalla Doretta la quale, bisogna pur dirlo, superba di vederlo sfidare per lei una tanta burrasca, ne lo ricompensò con doppia tenerezza. Gaetano fremeva, il signorotto guardava bieco perfino i suoi cani, e tutto dava indizio che tramassero fra loro qualche brutto tiro. Infatti una bella notte (quella stessa in cui io ricevetti la visita notturna della Pisana, dopo esser tornato a Fratta in groppa al cavallo dello sconosciuto), mentre Leopardo si partiva dalla sua bella e scavalcava la siepe del casale per tornare a Cordovado, tre omacci scellerati gli si buttarono addosso coi manichi dei coltelli e cominciarono a dargli contro a tradimento che egli sopraffatto dall'improvviso assalto ne andò rotolone per terra e stava assai a mal partito. Ma in quel momento un'anima negra e disperata saltò fuori dalla siepe e cominciò a martellar col calcio del fucile i tre sicari e a pestarli tanto, che toccò ad essi difendersi, e Leopardo, riavutosi dalla prima sorpresa, si mise a tempestare a sua volta. — Ah cani! ve la darò io! — gridava quel nuovo arrivato inseguendo i tre manigoldi che correvano verso il ponte del castello. Ma costoro, schivati i colpi dei due indemoniati, correvano tanto leggieri che non venne lor fatto di raggiungerli che proprio sulla porta. Per fortuna che questa era serrata, onde, per quanto gridassero di aprir subito, ebbero commodamente il tempo di buscar qualche cosa. Appena però il guardiano ebbe socchiuso lo sportello vi si precipitarono entro che sembravano fuggiti alle mani del diavolo. — Va là! t'ho conosciuto! — disse allora volgendosi un di coloro che era proprio Gaetano. — Sei lo Spaccafumo, e me la pagherai salata questa soperchieria, di volerti immischiare in ciò che non t'appartiene. — Sì, sì, sono lo Spaccafumo! — urlò l'altro di fuori. — E non ho paura né di te, né del tuo malnato padrone, né di mille che ti somiglino! — Avete udito, avete udito! — riprese Gaetano mentre si rinchiudeva la porta a gran catenacci. — Come è vero Dio che il padrone lo farà impiccare! — Sì, ma prima io appiccherò te! — gli gridò di rimando lo Spaccafumo allontanandosi con Leopardo che a malincuore si partiva da quella porta serratagli in faccia. E poi il contrabbandiere tornò dietro la siepe, vi tolse il suo puledro, e volle scortare il giovine fino a Cordovado. — Oh com'è che sei capitato così in buon punto? — gli chiese Leopardo che avea più vergogna che piacere di dovere all'altrui soccorso la propria salute. — Oh bella! io avea già avuto sentore di quello che doveva succedere, e stava lì alla posta! — riprese lo Spaccafumo. — Birbanti! manigoldi! traditori! — imprecava sbuffando il giovane. — Zitto! è il loro mestiero — riprese lo Spaccafumo. — Parliamo d'altro se ti piace. Oh che ti pare di vedermi oggi cavaliero? Saprai che da poco in qua ho deciso di dar riposo alle mie gambe che non son più tanto giovani, e mi valgo per turno dei puledri di razza che pascolano in laguna. Oggi toccava questo; e son venuto di sotto a Lugugnana a qui in meno di un'ora ed anco ho portato in groppa a Fratta un ragazzetto che si era smarrito nel palude. — Mi dirai poi come hai saputo la trama — lo interruppe Leopardo che ruminava sempre il brutto gioco che gli era toccato. — Anzi non ti dirò nulla; — rispose lo Spaccafumo — ed ora che sei all'uscio di tua casa ti saluto di cuore e ci rivedremo presto. — Come? non entri, non dormi in casa nostra? — No, no, non ci fa buon'aria qui pei miei polmoni. In ciò dire lo Spaccafumo col suo cavallo era già lunge ed io non vi saprei dire dove esso abbia passata quella nottata. Certo al mezzogiorno del dì appresso egli fu veduto entrare presso il cappellano di Fratta, che era il suo padre spirituale, e si diceva che lo accogliesse con molto rispetto per la gran paura che ne aveva. Ma più tardi capitarono a Fratta a chieder di lui quattro sgherani di Venchieredo; e saputo che l'era presso il Cappellano andarono franchi alla canonica. Picchia, ripicchia, chiama e richiama, finalmente il Cappellano tutto sonnacchioso venne ad aprire facendo il gnorri e domandando cosa chiedessero. — Ah cosa chiediamo! — rispose furiosamente Gaetano lanciandosi verso la campagna che s'apriva dietro alla canonica e nella quale si vedeva un uomo a cavallo che se la batteva di gran galoppo. — Eccolo chi cerchiamo! Venite, venite voi altri! Il signor Cappellano ce la pagherà in seguito! Il povero prete cascò sopra una seggiola sfinito dallo spavento e i quattro buli si diedero a correre traverso i solchi sperando che le piantate ed i fossi rallentassero la corsa del fuggitivo. Ma la gente era d'avviso che se lo Spaccafumo non si lasciava prendere correndo a piedi, meno che meno poi questa disgrazia gli sarebbe avvenuta allora che fuggiva a cavallo. I signori buli ci avrebbero rimesso il fiato per nulla. Queste cose si sapevano già nel castello di Fratta e se ne discorreva come di gravi e misteriosi avvenimenti, quando ci tornammo noi tre, la Pisana, il figliuolo dello speziale, ed io. Il Conte ed il Cancelliere correvano su e giù in cerca del Capitano e di Marchetto; Fulgenzio era volato al campanile e sonava a stormo come se il fienile avesse preso fuoco; monsignor Orlando sfregolandosi gli occhi domandava cos'era stato, e la Contessa si affacendava nell'ordinare che si sbarrassero porte e finestre e si ponesse insomma la fortezza in istato di difesa. Quando Dio volle il Capitano ebbe in pronto tre uomini i quali con due moschetti ed un trombone si schierarono nel cortile ad aspettar gli ordini di Sua Eccellenza. Sua Eccellenza comandò andassero in piazza a vedere se la quiete non era turbata, e a prestar man forte alle altre autorità contro tutti i malviventi, ed in ispecialità contro il nominato Spaccafumo. Germano calò brontolando il ponte levatoio, e la prode soldatesca uscì in campagna. Ma lo Spaccafumo non avea voglia per nulla di farsi vedere in quel giorno sulla piazza di Fratta; e per quanto il

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Argomenti: povero prete,    vero dio,    brutto gioco,    prode soldatesca

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