Confessioni di un Italiano di Ippolito Nievo pagina 83

Testo di pubblico dominio

l'imponenza di quella scena. Il signor Barone si mise una mano sul petto, e protesa l'altra innanzi, recitò meravigliosamente la sua parte. — A nome di mio nipote, l'Illustrissimo ed Eccellentissimo signor Alberto di Partistagno, barone di Dorsa, giurisdicente di Fratta, decano di San Mauro, etc., etc., io barone Durigo di Caporetto ho l'onore di chiedere la mano di sposa dell'Illustrissima ed Eccellentissima dama la contessa Clara di Fratta, figlia dell'Illustrissimo ed Eccellentissimo signor conte Giovanni di Fratta e della nobildonna Cleonice Navagero. Un mormorio di approvazione accolse queste parole, e le cameriere furono lì lì per battergli le mani. Pareva proprio di essere ai burattini. La Contessa si volse alla Clara che le aveva stretta la mano e sembrava esser più vicina a morire che a maritarsi. — Mia figlia — prese ella a rispondere — accoglie con gratitudine l'onorevole offerta e... — No, madre mia, — la interruppe la Clara con voce soffocata dai singhiozzi, ma nella quale la forza della volontà signoreggiava il tremore della commozione e del rispetto — no, madre mia, io non mi mariterò mai... io ringrazio il signor Barone ma... A questo punto le morì la voce, le si estinse sul volto ogni colore di vita, e le ginocchia accennavano di mancarle. Le cameriere, non pensando che così davano a divedere di essere state in ascolto, si precipitarono nella sala gridando: — La padroncina muore! la padroncina muore! — e la raccolsero fra le braccia. Dietro esse entrammo curiosamente io, la Pisana e quanti altri dietro di noi s'erano accalcati via via per goder lo spettacolo. La Contessa fremeva e stringeva i pugni, il Conte piegava di qua e di là come una banderuola che ha perduto l'equilibrio, il Cancelliere gli stava dietro quasi per puntellarlo se accennasse di cadere, Monsignore tratto di tasca il tovagliolo se ne asciugava la fronte, e il Barone solo restava imperterrito col suo braccio steso, come fosse stato lui che con quel magico gesto avesse prodotto quel general parapiglia. La Contessa s'adoperò un istante intorno alla figlia per farla rinvenire e comandarle il rispetto e l'ubbidienza; ma vedendo ch'ella appena tornata in sé accennava col capo di no e sveniva quasi di nuovo, si volse al Barone con voce soffocata dalla stizza. — Signore — gli disse — ella vede bene; un impreveduto accidente ha guastato la festa di questo giorno; ma io posso assicurarla a nome di mia figlia, che mai donzella non fu così onorata da offerta alcuna, come essa dalla domanda fattale in nome dell'Eccellentissimo Partistagno. Egli può contare d'aver fino d'ora una sposa ubbidiente e fedele. Soltanto lo prego di differire a momento più opportuno la sua prima visita di fidanzato. Le cameriere trascinarono allora fuori della sala la padroncina, la quale benché quasi esanime seguitava a diniegare colle mani e col capo. Ma il Barone non le badava più che a qualunque altro mobile della casa: così egli si accinse a recitare la seconda ed ultima parte della sua orazione. — Ringrazio — egli disse — a nome di mio nipote la nobile sposa e tutta l'eccellentissima sua famiglia dell'onore fattogli di accettarlo per isposo. Fatte le pubblicazioni di metodo si celebrerà il matrimonio nella cappella di questo castello giurisdizione di Fratta. Io, Barone di Caporetto, mi offro fin d'adesso per compare dell'anello, e che le benedizioni del cielo piovano benigne sul felicissimo innesto delle illustri ed antichissime case di Fratta e di Partistagno. Lì un triplice inchino, un giro sui tacchi, e il nobile barone Duringo andò giù per la scala con tutta la maestà con cui era salito. — E così? — disse il nipote apprestandosi a scender d'arcione. — Rimanti, nipote mio — rispose il Barone, trattenendolo dallo smontare e risalendo egli stesso sulla sua cavalcatura. — Per oggi ti dispensano dalla visita di fidanzato. Alla sposa è venuto male per la consolazione; io sono ancora tutto commosso. — Dice davvero? — soggiunse il Partistagno rosso di piacere. — Guarda! — ripigliò il Barone accennandogli due occhietti umidi e sanguigni che dicevano di esser soliti a vedere il fondo di molti bicchieri. — Credo di aver pianto! — Crede che basterà la collana di diamanti pel regalo di nozze? — gli domandò il nipote avviandosi di paro a lui fuori del castello. — In vista di questo nuovo incidente aggiungeremo il fermaglio di smeraldi — rispose il Barone. — I Partistagno devono farsi onore ed essere riconoscenti all'amore che sanno ispirare Così andarono fino a Lugugnana divisando lo splendore delle feste che si sarebbero celebrate nell'occasione delle nozze. Ma qual fu lo stupore d'ambidue, quando al giorno dopo ricevettero una lettera del Conte di Fratta che palesava loro il suo dispiacere per la volontà espressa dalla figlia di consacrare la sua verginità al Signore in un convento! Il giovine dubitava che mai donzella al mondo fosse capace di anteporre un convento a lui; ma di ciò dovette allora persuadersi e ne rimase un po' raumiliato. Peggio poi fu quando per le ciarle della gente venne a sapere che non la donzella voleva ritirarsi in monastero, ma che i suoi volevano cacciarvela in castigo dello aver rifiutato un bel partito come il suo e che Lucilio Vianello era il rivale che gli contrastava il cuore della Clara. Il Barone scappò fino a Caporetto per nascondervi la sua vergogna; il Partistagno rimase per gridare a tutti i canti della provincia che di Lucilio, della Clara e de' suoi parenti si sarebbe vendicato; e che guai a loro se monaca o smonacata non gli mandavano a casa la sposa! Egli continuava a dire che dell'amore di questa era certissimo; com'era anche certo che il malanimo de' suoi e le cattive arti del dottorino la impedivano dal manifestarglielo. A Portogruaro intanto vi fu gran consiglio di famiglia in casa Frumier su quello che dovesse farsi, e il caso era abbastanza nuovo, perché di donzelle allora che si opponessero con tanta pertinacia al voler dei parenti, non ve n'erano tante. Si voleva ricorrere al Vescovo, ma il padre Pendola scartò pel primo questo parere. Tutti furono tacitamente d'accordo, che pur troppo la voce della gente diceva il vero, e che Lucilio Vianello era la pietra dello scandalo. Allontanare lui non si poteva; si trattava dunque di allontanare la Clara. Il Frumier aveva vuoto il suo palazzo di Venezia, e la Contessa non parve malcontenta d'andare ad abitarlo. Dopo molte parole si decise adunque che si sarebbero trasferiti a Venezia. Ma per togliere ogni solennità e ogni occasione di grandi spese, solamente essa e la figlia si sarebbero accasate colà, e la famiglia avrebbe continuato a dimorare a Fratta. Ella si lusingava che i grilli sarebbero usciti di capo alla Clara, e se ciò non avveniva, c'erano conventi in buon numero a Venezia dove farle metter giudizio. Il Conte si lamentò un poco di restar relegato a Fratta perché aveva una discreta paura del Partistagno; ma il cognato lo assicurò che avrebbe vissuto sicuro e che egli ne faceva malleveria. In fin dei conti un mese dopo questi ragionamenti la Contessa colla Clara s'era già stabilita a Venezia nel palazzo Frumier presso i nipoti; ma finallora la dovea confessare di aver guadagnato ben poco sull'animo della figlia. A Fratta eravamo rimasti più contenti che mai, perché il gatto era partito e i sorci ballavano. Peraltro a sfrondar nel loro fiore le lusinghe della Contessa avvenne quello che non si sarebbe mai creduto. Lucilio, che l'avea tanto tirata in lungo colla sua laurea, si mise repentinamente in capo di volerla conseguire; e in onta alle opposizioni del dottor Sperandio partì per Padova, vi fu fatto dottore, e poi, anziché tornare a Fossalta, si fermò a Venezia, dove attese ad esercitare la medicina. A Portogruaro si seppe una tal novità quando già egli si avea procurata una clientela che lo scioglieva da ogni dipendenza famigliare. Figuratevi che imbroglio! Chi proponeva di farlo arrestare,

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Argomenti: magico gesto,    impreveduto accidente,    nobile sposa,    nobile barone,    tanto tirata

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