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Confessioni di un Italiano di Ippolito Nievo pagina 121le sue composizioni si stoglievano dalle solite; e taluna non mancava né di forza né di brio né quasi anche d'opportunità. La Pisana, nel vederlo tanto stimato e temuto, gli concedeva qualcheduna delle sue occhiate d'una volta, e a merito di queste egli sfidava gli atti villani, e perfino i rabbuffi della Contessa. Io poi, anch'io le era andato in uggia alla signora zia pei miei grilli democratici, ma le doble del signor padre me la tenevano buona; e spesso ella lavorava di gomito nelle coste alla figliuola perché mi usasse maggior cortesia. Queste gomitate e il mio svagamento continuo davano la stizza alla Pisana, e la allontanavano col pensiero da me: rimaneva però sempre qualche sguardo fuggitivo, qualche subito rossore, che ad osservarlo come andava osservato, mi avrebbe potuto lusingare. Giulio Del Ponte se ne accorgeva e ne diventava giallo di bile; ma cercava un compenso nella vanità, e correva a' suoi amici che lo incensavano mattina e sera come il Persio e il Giovenale o l'Aristofane del suo tempo. Soltanto il dottor Lucilio, benché simile d'opinioni, gli avea parlato chiaro dimostrandogli il pericolo di infervorarsi a un alto ministero civile non già per salda persuasione e per istudio del pubblico bene, ma per frivolezza e per albagia. — Che ne sapete voi? — gli rispondeva Giulio. — Posso ben avere anch'io come pretendete averla voi la vera virtù del cittadino!... Devo proprio prendere a prestito tutte le idee dall'orgoglio e dall'irrequietudine?... Lucilio squassava il capo vedendo quel cervellino gonfio di boria sfarfallare in tali gradassate; ma forse impietosiva entro sé a tante belle doti già appassite in una persona esile e diroccata. Il dottore ci vedeva a doppio nell'anima e nel corpo. Là in Giulio egli ebbe tantosto indovinato i segni d'una passione, ed erano segni fatali; di più s'accorgeva che la calma di quella passione non bastava a cancellarli; e perciò guai per lui s'ella risorgesse mai con tutta la sua misera violenza! — Il giovinotto invece non badava a tali paure: omai persuaso di valer qualche cosa, se la Pisana lo disdegnava egli s'arrischiava a punirla con un'ombra d'indifferenza. Poco dopo se ne pentiva, perché la banderuola era pronta a piegar altrove; e raddoppiava allora di premura e di brio per rendersele desiderabile e gradito. E sopratutto in mio confronto egli s'affaccendava a primeggiare, perché nelle maniere usate dalla Pisana verso di me aveva fiutato una vogliuzza non mai sazia, una rimembranza non ancora spenta d'amore. Io non mi rassegnava tanto facilmente a sparir dietro a lui, massime dopo le belle accoglienze ch'era usato a ricevere per tutta Venezia. E a poco a poco ne nacque un astio, una inimicizia scambievole che scoppiò molte volte perfino dinanzi alla Pisana stessa in rimbrotti e in improperi. Giulio cominciò a tacciarmi di aristocratico e di sammarchino; io presi dal canto mio a trascendere nei sentimenti di libertà e d'eguaglianza; la Pisana in tali dispute si scaldava anch'ella, e in breve ella diventò, al pari di noi, la più sfrenata e incorreggibile libertina. Credo che simili contese, nelle quali tutti andavamo d'accordo e ognuno anzi non faceva che correr innanzi al compagno nei disegni e nelle speranze, non possano rinnovarsi così di leggieri. I Francesi erano il tema prediletto de' nostri discorsi; e senza di essi non vedevamo salute. Giulio li cantava in versi, io li invocava in prosa, la Pisana ne sognava fuori tanti paladini della libertà colla fiamma dell'eroismo accesa sulla fronte. E sì, che giorni prima, praticando nel convento di sua sorella, essa era giunta a vincer le monache nel loro odio contro di essi. Un giorno capita la notizia dell'entrata dei Francesi in Verona, creduta fino allora la città più restìa a far novità. I villici armati s'eran dispersi, le truppe raccolte per ridurre Bergamo e Brescia, ritirate a Padova e a Vicenza. Fu una gran baldoria pei fautori di Francia. Alcuni giorni dopo succede lo spavento delle tremende Pasque Veronesi, e con tutte le atrocità sopra i Francesi che le contaminarono. Giungono le furiose proteste di Bonaparte, e l'intimazione di guerra in tutta regola. Senatori, Savi, Consiglieri, e tutti, cominciano a credere che quello che ha durato molto possa anche finire; essi di buon accordo si danno attorno per provvedere di viveri la Serenissima Dominante; quanto alla difesa ci pensano poco, perché a dirla chiara, nessuno ci crede. Finalmente il generale Baraguay d'Hilliers cinge col suo campo l'estuario; le comunicazioni sono intercettate; Donà e Giustinian, inviati al general Bonaparte, svelano le intenzioni di questo che una nuova forma più libera e più larga sia introdotta nel Governo della Repubblica. Egli impone di più che l'Ammiraglio del Porto e gli Inquisitori di Stato siano consegnati nelle sue mani, come colpevoli di atti ostili contro una nave francese che voleva sforzare l'ingresso del porto di Lido. I signori Savi capirono l'avvertimento e si disposero umilmente a servire il generale di barba e di perrucca, come si dice a Venezia. Parve a loro che le deliberazioni del Maggior Consiglio fossero troppo lente alla stretta del bisogno, e improvvisarono una specie di magistratura funeraria, un collegio di becchini per la moribonda Repubblica, il quale si componeva di tutte le cariche componenti la Signoria, dei Savi di Consiglio, dei tre Capi del Consiglio dei Dieci e dei tre Avogadori del Comune; in tutto quarantuna persona, e il Serenissimo Doge a capo, col titolo comodissimo di Conferenza. Intanto si ciarlava per Venezia che sedicimila congiurati coi loro pugnali fossero già appostati in città per rinnovare su tutti i nobili la strage degli innocenti. Figurarsi che conforto per la Conferenza! — Mi ricordo che con modi da furbo io domandai Lucilio di quello ch'egli credesse esservi di vero in quella voce, e che il dottore mi rispose squassando le spalle: — Oh Carlino mio! credete che siano pazzi i Francesi ad assoldare sedicimila congiurati reali, mentre facendoli balenare affatto immaginari si ottiene lo stesso effetto?... Credetemi che in tuttociò non c'è di vero la punta d'un chiodo, eppure sarà come fosse vero, perché questi patrizi non è necessario ammazzarli! Sono già belli e morti! La Conferenza si radunò per la prima volta la sera del trenta aprile nelle camere private del Doge. Questi spifferò un esordio che principiava: “ La gravità e l'angustia delle presenti circostanze ”, ma le sciocchezze che vi si dissero poi, se designarono bassamente l'angustia, non corrisposero affatto all'accennata gravità delle circostanze. Si tornò a proporre di toccar il cuore del general Bonaparte per mezzo di certo Haller suo amicissimo. E il cavalier Dolfin fu ritrovatore d'un sì decisivo consiglio. Il Procuratore Antonio Cappello, da me conosciuto in casa Frumier, si levò a deriderne la puerilità; e con lui si strinse il Pesaro per far deliberare sulla costanza nella difesa e nulla più. Infatti le intenzioni dei Francesi non avean oggimai bisogno di esser chiarite, ed era inutile illudersi con vane chimere. Ma i Savi adoperarono in modo che si perdesse il filo di questo discorso; quando sul più bello giunse al Savio di settimana un piego dell'ammiraglio Tommaso Condulmer, che riferiva l'avanzarsi dei Francesi sulla laguna coll'aiuto di botti galleggianti. La costernazione fu subitanea e quasi generale; alcuni cercavano di cavarsela, altri proponevano si trattasse, o meglio si offrisse, la resa. Fu in quella circostanza che il Serenissimo Doge Lodovico Manin, passeggiando su e giù per la stanza e tirandosi la brachesse sul ventre, pronunciò quelle memorabili parole: “Sta notte no semo sicuri gnanca nel nostro letto ”. Il Procurator Cappello mi assicurava che la maggior parte dei consiglieri uguagliava Sua Serenità in altezza d'animo ed in coraggio. Fu deciso a rompicollo che si proporrebbe al Maggior Consiglio la parte, per cui ai due deputati fosse concesso di Tag: giulio consiglio maggior poco tutti generale doge conferenza vero Argomenti: serenissimo doge, svagamento continuo, alto ministero, ministero civile, persona esile Altri libri consultabili online del sito affini al contenuto della pagina: Il conte di Carmagnola di Alessandro Manzoni La vita comincia domani di Guido da Verona La divina commedia di Dante Alighieri Garibaldi di Francesco Crispi Il diavolo nell'ampolla di Adolfo Albertazzi Articoli del sito affini al contenuto della pagina: Offerta capodanno ad Atlanta (Georgia, USA) Mixed wrestling e wrestling Gli accessori dello sposo Come fare i massaggi ai gatti Tipi di prodotti di bellezza disponibili sul mercato
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