Confessioni di un Italiano di Ippolito Nievo pagina 247

Testo di pubblico dominio

compagni di trastulli; ma io non rispondeva loro, e ritraevami invece soletto e beato a giocolare colla Pisana sul margine della peschiera. Oh con qual religiosa mestizia, con quanto dilicato tremore mi accostava a questa memoria che pur palpitava in tutte le altre, e cresceva ad esse soavità e melanconia!... Oh Pisana, Pisana! quanto piansi quel giorno; e benedico te, e benedico Iddio che le lagrime dell'ottuagenario non furono tutte di dolore. Mi ritrassi a notte fatta da quelle rovine; le passerette sui pioppi vicini cinguettavano ancora prima di addormentarsi come nelle sere della mia infanzia. Cinguettavano ancora; ma quante generazioni si erano succedute da allora anche in quella semplice famiglia di augelli!... Gli uomini vedono la natura sempre uguale, perché non si degnano di guardarla minutamente; ma tutto cangia insieme a noi; e mentre i nostri capelli di neri si fanno canuti, milioni e milioni d'esistenze hanno compiuto il loro giro. Uscii dal mondo vecchio per tornare nel nuovo; e vi rimisi il piede sospirando; ma il bocchino sorridente e le mani carezzevoli della Carolina mi pacificarono anche con esso. Il passato è dolce per me; ma il presente è più grande per me e per tutti. L'anno dopo fu triste assai per la notizia che ricevetti della morte di Giulio; ma a quel dolore ineffabile veniva compagno un conforto, in due figliuoletti ch'egli mi lasciava. Sua moglie era morta anch'essa prima ch'io sapessi d'averla per nuora. Il general Urquiza, nell'adempiere alla volontà del defunto col mandare a me i due orfanelli e tutte le sue carte, mi scrisse una bella lettera nella quale testimoniava la gran perdita che la Repubblica Argentina avea fatto per la morte del colonnello Altoviti. La Pisana diventò madre amorosa de' suoi due nipotini, a' quali un dilicato pensiero di Giulio aveva imposto i nomi di Luciano e di Donato: i miei due figliuoli uno assente e l'altro morto, rivivevano in quelle due care creaturine e la Pisana stessa s'incaricò di risuscitare il terzo, generando un fratello alla Carolina che fu chiamato Giulio. Allora io compresi appieno quanta cagione di dolcezza e di speranza sia in quel rigoglio di vita nuova e giovanile che circonda gli anni cadenti della vecchiaia. Non è tutta immaginazione quella somiglianza di piaceri tra la gioventù vissuta per sé e amata e protetta negli altri. La famiglia forma di tutte le anime che la compongono quasi un'anima collettiva; e che altro infatti son mai le anime nostre se non memoria, affetto, pensiero e speranza? — E quando cotali sentimenti sono comuni in tutto od in parte, non si può dir veramente che si vive l'uno nell'altro? Così l'umanità s'eterna e si dilata come un solo spirito in quei principii immutabili che la fanno pietosa, socievole e pensante. La Pisana avea dato ragione al mio pronostico, e s'era fatta una così buona ed amorosa madre, che invero mi pareva un sogno quel colloquio avuto con lei dieci anni prima a proposito delle letterine profumate. Il merito di cotal conversione era in gran parte suo; ma le dure circostanze per le quali eravamo passati, e l'indole robusta ed assennata del marito non ci furono per nulla. Guardate se io dovea rendere un omaggio sì giusto a quell'Enrico che mi sembrava proprio per l'addietro un capo da galera! Non malediciamo a nulla, figliuoli miei, neppure alle disgrazie. Dicono i Francesi che a qualche cosa sono buone anch'esse, e piucché a tutto, a procurare quella felicità certa e duratura che s'insalda sulla fortezza dell'animo. Fra le carte di Giulio mandatemi dall'America era anche il suo giornale indirizzato a me, e che può essere una prova di quanto ora vi ho detto. Io ci piansi sopra assai su quelle pagine; ma figuratevi! sono suo padre. Per voi basterà che impariate ad amarlo e lo rimeritiate con un postumo suffragio dell'ingiustizia che vivo egli ha saputo così nobilmente sopportare. Eccovelo trascritto, che non vi tolgo né vi aggiungo sillaba. CAPITOLO VENTESIMOTERZO Nel quale si contiene il giornale di mio figlio Giulio, dalla sua fuga da Venezia nel 1848, fino alla sua morte in America nel 1855. Dopo tanti errori, tante gioie, tante disgrazie, la pace della coscienza mi rende dolce la vecchiaia; e fra i miei figli e i miei nipotini, benedico l'eterna giustizia che m'ha fatto testimone ed attore d'un bel capitolo di storia, e mi conduce lentamente alla morte come ad un riposo ad una speranza. Il mio spirito, che si sente immortale, si solleva oltre il sepolcro all'eternità dell'amore. Chiudo queste Confessioni nel nome della Pisana come le ho cominciate; e ringrazio fin d'ora i lettori della loro pazienza. TONALE, giugno 1848 La superbia fu giudicata il capitale dei peccati capitali. Chi diede questa sentenza conobbe per certo l'umana natura. Ma vi sono castighi che sorpassano in terribilità qualunque gravezza di colpa. Quello che soffersi io non ha paragone in qualunque genere di pena: i tiranni della Sicilia non ne seppero inventare di più atroci. È vero; fui orgoglioso. Disprezzai chi non era forse né meno veggente né meno coraggioso di me; m'aggirai fra essi colla testa ritta e colla frusta in mano come fra uno sciame di conigli; diedi ragione se non al diritto certo alla forza dei padroni, e risi di vederli calpestati perché non li credeva possibili ad una riscossa. Povero vanerello, che pretendeva conoscere il vigore dei muscoli dalla morbidezza della pelle, e giudicava di cavalli nella stalla! Sorse il giorno che il derisore fu lo scherno dei derisi; e dovette chinar il capo sotto la punizione più tremenda che possa affliggere il cuore d'un uomo, sotto un oltraggio immeritato, ma giusto. È assurdo, lo veggo; ma lo toccai con mano, e bisogna rassegnarsi. Felice me che non m'ingroppai nei legami insolubili dell'orgoglio, ma rispettai la giustizia nella stessa ingiustizia, preferendo di nutrirmi col pane del pentimento piuttostoché col sangue dei fratelli!... Traditore e spia! Queste orrende parole mi rintronano ancora le orecchie!... Oh era allora il momento di sollevare ai numi il voto infernale di Nerone. Che tutto il genere umano avesse un sol capo per reciderlo: che un silenzio pieno di rovine di tenebre di strage succedesse a quell'accusa nefanda; che io potessi sorgere Nemesi implacabile a cantar l'inno della vendetta e dello sterminio! Ma i numi non ascoltano i voti del superbo; essi versano l'ambrosia nei calici eterni per immortalare gli eroi, e stringono nella destra il fulmine infallace, divorator dei Titani. Una voce divina, che mi parlava in cuore ma non sorgeva certo dal cuore briaco d'ira e d'orgoglio, mi riscosse le intime fibre dell'anima. Sì! io fui traditore che conculcai la cervice degli oppressi, e uccisi la fede per mettere in suo luogo lo scherno e il disprezzo! Fui traditore che risi della debolezza degli uomini, anziché piangere con essi e aiutarli a francarsi! Fui lo spione codardo che denunzia delitti immaginari, e viltà sognate, per non vergognar di se stesso dinanzi a coloro ch'egli accusa!... Coraggio! Il capo nella polvere, superbo! Adora quelli stessi che ieri hai vituperato!... Accetta umilmente il vitupero che si paga oggi degli oltraggi ieri sofferti! Vendicati se puoi, imitandoli grandemente!... Queste furono le parole che volsi fremendo a me stesso; e mentre tumultuavano sitibondi di sangue i consigli dell'ira, l'umiltà del pentimento volse i miei passi alla fuga. Oh io ti benedico e ti ringrazio, santa divina improvvisa umiltà! Io non dispero più dell'umanità che sa armarsi di un così subito valore contro le proprie passioni. Ti benedico, o soave dolore dell'espiazione, o sublime sacrifizio che mi abbassasti la fronte per risollevare l'animo mio!... Non ho più famiglia, né nome. Sono uno schiavo della penitenza che ricomprerà i proprii diritti d'uomo di cittadino di figlio a prezzo della sua vita. E quando i fratelli leggeranno in lettere di sangue le virtù del fratello, allora s'apriranno le braccia, e sorgeranno mille voci a festeggiare il

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Argomenti: silenzio pieno,    semplice famiglia,    dolore ineffabile,    postumo suffragio,    voto infernale

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