Confessioni di un Italiano di Ippolito Nievo pagina 189

Testo di pubblico dominio

quelle deliberazioni. Infine le cose potevano andare assai meglio; ma io non do la mia povertà e nemmeno la mia gamba di legno per tutte le ricchezze per tutti gli agi e per la sfacciata salute d'un birbone. Dico bene, Carlino? So che siete del mio parere e perciò vi parlo col cuor in mano. Del resto le mie speranze non si fermano tutte sotto i coppi della mia casa, alcuna ne ho che viene in cerca di voi; altre che rifanno il cammino da me percorso e non vogliono starsi chete alla triste esperienza delle guerre passate. Il nostro Primo Console ha vinto a Marengo, ma dei bei campi di battaglia potremo offrirgliene anche noi, ed egli li conosce da un pezzo e gli furono fausti. Oh se ci potessimo vedere allora! Come farei ballare di gusto la mia gamba di legno... Come bacerei di cuore voi, la Pisana, il dottor Lucilio... A proposito, è vero che il dottore si è fermato a Milano?... Sappiate intanto che Sandro Giorgi fu mandato col suo reggimento alla guerra di Germania. Se le guerre continuano farà certo fortuna, ed io gliela auguro perché in mezzo a' suoi difettucci ha un cuore un cuore che si farebbe a fette per gli altri. Oh ma io non finirei più di chiacchierare con voi!... Amatemi dunque, scrivetemi, ricordatemi alla Pisana, e non dimenticatevi di far il possibile perché ci possiamo vedere”. Bell'anima d'amico! E si scusava di non saper scrivere! dove si sente il cuore, chi bada alle parole? Chi cerca lo stile quando l'anima ha toccato dolcemente l'anima nostra? — Non mi vergogno a dirvi ch'io piansi su quella lettera, non per le frasi in sé, che forse nessuno ci troverebbe da commoversi, ma appunto per quello studio gentile e pietoso di non commovere, per quella cura dilicata e faticosa di non iscoprire ai lontani tutte le nostre piaghe, acciocché il piacere di aver nuove dell'amico non sia troppo amareggiato dal dolore di saperlo infelice! La morte del padre, lo sperperamento della famiglia, il cattivo cuore dei fratelli; io m'immaginava che tutti questi colpi l'uno sopra l'altro avean dovuto ferire l'animo di Bruto più di quanto egli voleva mostrare. Me lo figurava vicino all'Aquilina, a quella cara e leggiadra ragazzetta così grave così amorosa e che nell'infanzia dimostrava il più soave e compassionevole cuore di donna che si potesse desiderare! Ella avrebbe lenito colla sua ingenuità coi suoi sorrisi celesti i dolori di Bruto, lo avrebbe compensato delle cure che si prendeva per lei; e n'era certo che quelle due creature riunite insieme dopo tante procelle avrebbero trovato nell'amicizia fraterna la felicità e la pace. La Pisana si univa meco in queste semplici speranze. Cervellino poetico anzitutto ella cercava i robusti contrapposti e la fiera agitazione della tragedia ma comprendeva la rosea innocenza e la pace pastorale dell'idillio. Posando fra Bruto e l'Aquilina le nostre fantasie rivedevano i tranquilli orizzonti delle praterie fra Cordovado e Fratta, le belle acque correnti in mezzo a campagne smaltate di fiori, i cespugli odorosi di madresilva e di ginepro, i bei contorni della fontana di Venchieredo cogli ombrosi sentieruoli e i freschi marginetti di musco! Speravamo per essi, e godevamo per noi. Peccato che quella gamba di legno si attraversasse a tutti i bei romanzi che si potevano immaginare a benefizio di Bruto! Nei paesi un cotal difetto non si perdona, e un eroe zoppo vale assai meno d'un mascalzone ben piantato. Le donne di città son talora più indulgenti; benché anche in questa indulgenza c'entri forse per poco assai l'adorazione dell'eroismo. Ma pure se Bruto non avesse avuto quella gamba di legno sarebbe egli tornato a Cordovado? — Dov'era Amilcare, dov'erano Giulio del Ponte, Lucilio, Alessandro Giorgi, e dov'era finalmente io, benché meno di essi trasportato da furore di indole a imprese arrischiate? Profughi, esuli, morti, vaganti qua e là, come servi cacciati a lavorare sopra campi non nostri, senza tetto certo, senza famiglia, senza patria sulla terra stessa della patria! — Poiché chi poteva assicurare che una patria concessa dal capriccio del conquistatore dal capriccio stesso non ci sarebbe ritolta?... Già in Francia si cominciava a bisbigliare d'un nuovo ordinamento di governo; e s'accorgevano che il Consolato non era una sedia curule, ma un gradino a soglio più eccelso. Bruto era omai escluso dall'agone ove noi andavamo giostrando alla cieca senza sapere qual sarebbe il premio di tanti tornei. Almeno avea ritrovato il focolare paterno, il nido della sua infanzia, una sorella da amare e da proteggere! Il suo destino gli stava scritto dinanzi agli occhi non glorioso forse né grande ma calmo, ricco di affetti e sicuro. Le sue speranze avrebbero sciolto il volo dietro alle nostre o sarebbero cadute con esse senza il rimorso di aver oziato per infingardaggine, senza lo sconforto di aver faticato indarno ad inseguire un fantasma. Così io veniva invidiando la sorte d'un giovine soldato che tornava al suo paese, storpio d'una gamba, e invece delle braccia di suo padre in cui gettarsi non trovava che una fossa da irrigare di pianto. Pure io non era de' più sfortunati. Moderato di voglie di speranze di passioni, quando i miei mezzi privati cominciavano a mancarmi, il soccorso pubblico mi era venuto incontro. Senza protezioni, senza brogli, in paese forestiero, ottenere a ventisei anni un posto di segretario in un ramo così importante e nuovo della pubblica amministrazione, com'erano allora le Finanze, non fu piccola né spregevole fortuna: e non me ne contentava. Tutti mi verranno addosso con baie e con rimbrotti. Ma io lo confesso senza vergognarmene: ebbi sempre gli istinti quieti della lumaca, ogniqualvolta il turbine non mi portò via con sé. Fare, lavorare sgobbare mi piaceva per prepararmi una famiglia una patria una felicità; quando poi questa meta della mia ambizione non mi sorrideva più né vicina né sicura, allora tornava naturalmente col desiderio al mio orticello, alla mia siepe, dove almeno il vento non tirava troppo impetuoso, e dove sarei vissuto preparando i miei figliuoli a tempi meglio operosi e fortunati. Io non aveva né la furia cieca e infrenabile d'Amilcare che slanciata una volta non poteva più indietreggiare, né l'instancabile pertinacia di Lucilio che respinto da una strada ne cercava un'altra, e attraversato in questa se ne apriva una di nuova sempre per tendere a uno scopo generoso sublime, ma alle volte dopo quattr'anni di sudori più incerto e lontano che non fosse dapprincipio. Per me vedeva quella gran via maestra del miglioramento morale, della concordia, e dell'educazione, alla quale si doveva piegare ogniqualvolta le scorciatoie ci avessero fuorviato. Mi sarei dunque messo in quella molto volentieri per uscirne soltanto quando un bisogno urgente mi chiamasse. Invece la sorte mi faceva battere la campagna a destra ed a mancina. L'anno prima bocca inutile a Genova, allora segretario a Ferrara; i geroglifici del mio pronostico si disegnavano con caratteri tanto varii che a volerne comporre una parola bisognava stiracchiare affatto il buon senso. Fortuna che la Pisana mi dava frequentissimi svagamenti da queste mie melensaggini. Le sue rappresaglie donnesche col capitano Minato, e le bizzarrie continue che davano a parlare per un mese alla già sordo–muta società di Ferrara mi tenevano occupato per quelle poche ore che mi restavano libere dal trebbiatoio dell'ufficio. Passare dalle somme, dalle sottrazioni e dalle operazioni scalari delle imposte agli accorgimenti strategici d'un amante geloso non era impresa da cavarsene come a sorbir un uovo. Anzi mi faceva mestieri tutta la ginnastica dello spirito, e tutta la prontezza acquistata in simili evoluzioni da quindici e più anni d'esercizio. Del resto v'aveano giorni che la Pisana s'occupava sempre di me, e di sorvegliarmi come un ragazzaccio che meditasse qualche scappata; allora, o fingeva di non m'accorgere di una cotal diffidenza, o ne metteva il broncio, ma davvero che ne aveva un gusto matto,

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Argomenti: nuovo ordinamento,    cattivo cuore,    bocca inutile,    triste esperienza,    studio gentile

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