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Fermo e Lucia di Alessandro Manzoni pagina 97tavola il piatto, senza un segno: non faccia complimenti: che serve?» E come il Conte rifiutava, Perpetua gli si avvicinò all'orecchio, e gli disse a bassa voce: «Via, Signor Conte; che scrupoli son questi? so quello che posso fare: la padrona sono io qui.» Ma tutto fu inutile. Il Conte ringraziò di nuovo, e continuò a rodere ostinatamente il suo pane. Quando poi da quello che accadeva in cucina, s'avvide che erano cessati i cibi e levate le mense, fece chiedere udienza a Federigo, dal quale fu tosto fatto introdurre. «Monsignore,» diss'egli, quando gli fu in presenza, «questo è un giorno di festa singolare per questo paese e per voi, ma in questa allegrezza comune, io, io ho una parte ben diversa da tutti gli altri; il gaudio puro e sgombro della liberazione d'una innocente non è per colui che l'aveva vilmente oppressa, angariata. A me conviene dunque un contegno e un linguaggio particolare; lasciate ch'io faccia oggi la mia parte; approvate che io vada ad implorare un perdono da quella innocente, ch'io mi umilj dinanzi a lei, che le confessi il mio orribile torto, e che riceva dalla sua bocca innocente dei rimproveri che non saranno certo condegni alla mia iniquità, ma che serviranno in parte ad espiarla.» Federigo intese con gioja questa proposizione; e pel Conte a cui questo passo sarebbe un progresso nel bene e una consolazione nello stesso tempo; per Lucia, alla quale lo spettacolo della forza umiliata volontariamente sarebbe un conforto, un rincoramento dopo tanti terrori, e pel trionfo della pietà, e per l'edificazione dei buoni; e finalmente perchè una riparazione pubblica e clamorosa attirerebbe ancor più gli sguardi sopra Lucia, e sul suo pericolo, sarebbe una più aperta manifestazione del soccorso che Dio le aveva dato, la renderebbe come sacra, e così più sicura da ogni nuovo attentato dello sciarrato suo persecutore. Approvò egli adunque con vive e liete parole la proposizione, e aggiunse: «Dite: dite se l'offesa la più ardentemente bramata, la più lungamente meditata, la meglio riuscita reca mai tanta dolcezza quanto una umile e volontaria riparazione?» «Ah! la dolcezza sarebbe intera,» rispose il Conte, «se la riparazione potesse esserlo; se il pentimento, se l'espiazione la più operosa, la più laboriosa, potesse fare che il male non fosse fatto, che i dolori non fossero stati sentiti.» «Ma v'è ben Quegli,» rispose Federigo, «che può far di più; che può cavare il bene dal male, dare pei dolori sofferti il centuplo di gioja, fargli benedire a chi gli ha sofferti. E quando voi fate per Lui e con Lui, quel poco che v'è concesso di fare, Egli farà il resto: Egli farà che del male passato non resti a quella poveretta che un argomento di riconoscenza e di speranza, e a Voi di una afflizione umile e salutare.» Detto questo il Cardinale, chiamò il curato, e gl'impose che facesse avvisare Lucia del disegno del Conte, e le dicesse ch'egli stesso la pregava di accoglierlo. Partito il curato, Federigo richiese il Conte che aspettasse tanto che Lucia potesse essere avvertita. Dopo qualche momento il Conte uscì dalla casa di Don Abbondio e s'avviò a quella di Lucia tra una folla di spettatori, fra i quali era già corsa la notizia di ciò che si preparava. La forza che spontanea, non vinta, non strascinata, non minacciata si abbassa dinanzi alla giustizia, che riconosce nella innocenza debole un potere, e domanda grazia da essa, è un fenomeno tanto bello e tanto raro, che beato chi può ammirarlo una volta in sua vita. Quei buoni terrieri (in quel momento erano tutti buoni) non si saziavano di guardare il Conte, lo seguivano, lo circondavano in tumulto, lo colmavano di benedizioni. Tanta è la bellezza della giustizia: per tarda ch'ella sia, innamora sempre quando è volontaria: quelli che dopo aver fatti patir gli uomini si vendicano dell'odio loro che gli tormenta col fargli patire ancor più, non pensano che quell'odio è pronto a cangiarsi in favore, in riconoscenza, al momento che una risoluzione pietosa, un ravvedimento anche senza confessione faccia cessare i patimenti. Il Conte camminava ad occhi bassi e col volto infiammato, tutto compunto e tutto esaltato, che poteva sembrare un re condotto in catene al trionfo, o il capitano trionfatore. Don Abbondio camminava al suo fianco, e pareva... Don Abbondio. Giunti alla casetta di Lucia, il curato fece entrare il Conte, e con ambe le mani ritenne la folla, o almeno le comandò che si rattenesse, tanto che potè chiuder l'uscio, e lasciarla al di fuori. Lucia, tutta vergognosa condotta dalla madre si fece incontro al Conte, il quale, trattenendosi vicino alla porta nell'atteggiamento di un colpevole, le disse con voce sommessa: «Perdono: io son quello che v'ha offesa, tormentata: ho messe le mani sopra di voi, vilmente, a tradimento, senza pietà, senza un pretesto, perchè era un iniquo: ho sentite le vostre preghiere, e le ho rifiutate; ho vedute le vostre lagrime, e son partito da voi senza esaudirvi, vi ho fatta tremare senza che voi m'aveste offeso, perchè era più forte di voi, e scellerato. Perdonatemi quel viaggio, perdonatemi quel colloquio, perdonatemi quella notte; perdonatemi se potete.» «S'io le perdono!» rispose Lucia. «Dio s'è servito di lei per salvarmi. Io era nelle unghie di chi mi voleva perdere, e ne sono uscita col suo ajuto. Dal momento ch'ella m'è comparsa innanzi, che io ho potuto parlarle, ho cominciato a sperare: sentiva in cuore qualche cosa che mi diceva ch'ella mi avrebbe fatto del bene. Così Dio mi perdoni, come io le perdono.» «Brava figliuola!» disse Don Abbondio, «così si deve parlare: fate bene a perdonare, perchè Dio lo comanda; e già quando anche non voleste, che utile ve ne verrebbe? Voi non potete vendicarvi, e non fareste altro che rodervi inutilmente. Oh se tutti pensassero a questo modo, sarebbe un bel vivere a questo mondo!». «È vero,» disse Agnese, «che questa mia poveretta ha patito molto... ma bisogna poi anche dire che noi poveretti non siamo avvezzi a vedere i signori venirci a domandar perdono.» «Dio vi benedica,» disse il Conte, «e vi compensi con altrettanta e con più consolazione i mali che io vi ho fatti, tutti quelli che avete sofferti.» Indi soggiunse titubando: «Come sarei contento se potessi far qualche cosa per voi!» «Preghi per me,» disse Lucia, «ora ch'è divenuto santo.» «Quello ch'io sono stato, lo so pur troppo anch'io: quello ch'io ora sia, Dio solo lo sa!» rispose il Conte... «Ma voi, in questa vostra orribile sciagura... in questa mia scelleratezza... non avete avuto soltanto timori, e crepacuori... La vostra famiglia... una famiglia quieta e stabilita... i vostri lavori, l'avviamento... voi avete sofferti danni d'ogni genere... se osassi... se potessi parlare di compensar questi, io che v'ho fatto tanto male che non potrò compensar mai... ma Dio è ricco... frattanto: datemi questa prova di perdono... accettate», e qui cavò con peritanza quasi puerile, un rotolo di tasca... «accettate questa picciola restituzione... non mi umiliate con un rifiuto.» «No no,» disse Lucia: «Dio mi ha provveduta abbastanza: v'ha tanti poverelli che patiscono la fame: io non ho bisogno...» «Deh! non mi rifiutate...» replicò il Conte con umile istanza: «se sapeste! questa somma... questo numero... pesa tanto in mano mia... e sarei tanto sollevato se l'accettaste... Non mi farete questa grazia, per mostrarmi che m'avete perdonato?» e vedendo che il volto d'Agnese esprimeva il consenso che il volto e le parole di Lucia negavano, presentò alla madre il rotolo, implorando pur con lo sguardo il consenso di Lucia. «Grazie,» disse Agnese al Conte; «e tu», continuò rivolta a Lucia, «ora non parli bene. Questo signore lo fa pel bene dell'anima sua, e noi poveri non dobbiamo esser superbi.» Così dicendo svolse il rotolo, e sclamò: «Oro!» «Vostra madre ha ragione,» disse Don Abbondio: «accettate quello che Dio vi manda, e se vorrete farne del bene non Tag: conte lucia bene tanto dio don sarebbe fatto male Argomenti: festa singolare, gaudio puro, bocca innocente, afflizione umile, innocenza debole Altri libri consultabili online del sito affini al contenuto della pagina: Il benefattore di Luigi Capuana Le femmine puntigliose di Carlo Goldoni Libro proibito di Antonio Ghislanzoni Confessioni di un Italiano di Ippolito Nievo Corbaccio di Giovanni Boccaccio Articoli del sito affini al contenuto della pagina: Il disturbo della calvizie Vacanza Mauritius, l'Isola del Sorriso Il furetto a grandi linee Adottare criceti e roditori domestici L'abbigliamento giusto per il teatro
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