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Fermo e Lucia di Alessandro Manzoni pagina 146sosteneva alquanto il vigore delle sue membra, sospendeva il senso del male, e teneva in sesto la sua mente. Tutto ad un tratto intese egli uno squillo acuto, continuo, che si avvicinava: erano le campanelle che i monatti portavano legate ai piedi a foggia di sproni. Un orrendo sospetto corse al suo pensiero; si levò egli a sedere in furia; e in quel momento sentì la chiave girar nella toppa, e vide aprirsi, entrare i monatti, col Griso. «Ah traditore! via canaglia!» urlò Don Rodrigo; e tosto si gettò dall'altra parte per afferrare le pistole che teneva appese a fianco del letto. Ma un monatto gli fu sopra, lo fece raccosciare sul covile, gli tenne le mani, e gridò con un orribile ghigno di collera: «Ah! birbone! contra i ministri del tribunale!» «Tienlo ben saldo,» disse il compagno, «finchè lo portiamo via: egli è frenetico.» Lo sventurato Rodrigo lo divenne: si divincolava, mandava urli, lanciava bestemmie contra i monatti, e più contra il Griso, ch'egli vedeva frugare insieme con quel compagno nei cassettoni, spezzar le serrature dello scrigno, cavarne il danaro, e far le parti; mentre colui che teneva il padrone dava un'occhiata a questo per tenerlo bene, e una occhiata a quegli altri, dicendo: «fate le cose da galantuomini, altrimenti...» Il corpo e la mente di Don Rodrigo, già dissestati dal male, non ressero allo sforzo, al dibattimento, e a tanta passione: il meschino cadde tutto ad un tratto come sfinito e stupido; guardava però come un incantato; e di tratto in tratto dava qualche scossa, o usciva in qualche imprecazione. Fatte le parti, i monatti lo posero nella bussola, e lo portarono al lazzeretto. Il Griso rimase a scegliere quel di più che poteva essere il caso suo; fece un fardello, e sfrattò. Ma in quella furia del frugare, egli aveva presi presso al letto i panni del padrone, e scossigli per vedere se vi fosse denaro; nè in quel momento aveva badato a quello che si facesse. Se ne accorse però il giorno dopo, che preso dagli stessi accidenti che, con occhio così spietato, aveva mirati nell'infelice suo padrone, cadde infermo in una osteria, dove era andato a gozzovigliare; abbandonato da tutti, fu spogliato dai monatti anch'egli, trattato come aveva trattato altrui, e strascinato sur un carro al lazzeretto, dove finì. Lasciando ora Don Rodrigo nel suo tristo ricovero, ci conviene andare in cerca d'un personaggio separato da lui per condizione, per abitudini, e per inclinazioni, e la storia del quale non sarebbe mai stata immischiata alla sua, se egli non lo avesse voluto a forza. Fermo, del quale intendiamo parlare, aveva campucchiato quell'anno della carestia, parte col suo lavoro, parte coi soccorsi di quel suo buon parente; alla fine per non essergli troppo a carico, intaccò i cento scudi di Lucia, ma col proposito di restituire, se mai Lucia non fosse più quella per lui. Il passaggio della soldatesca interruppe quelle scarse, e imbrogliate comunicazioni di pensieri e di notizie che passavano tra lui ed Agnese. Dietro la soldatesca venne la peste, ai primi avvisi della quale i magistrati di Bergamo interdissero il commercio col territorio milanese finittimo, mandarono commissarj ad invigilare al confine, fecero por guardie e cancelli. Pure, come era accaduto nel milanese, la disobbedienza fu più attenta, più destra, più ingegnosa che la vigilanza; gli abitanti del confine bergamasco non credevano nè pur essi molto alla peste, e trattavano di soppiatto coi loro vicini: e con molta fatica e con molto pericolo ottennero di potere avere anch'essi la peste in casa. Entrata che fu, invase poco a poco il contado, poi i sobborghi di Bergamo, poi la città. La peste di Bergamo, e nei modi con cui si propagò, e in tutti i suoi accidenti, presenta molti tratti di somiglianza notabile con quella del Milanese. Come in questo paese, così nel bergamasco, dopo scoverta la peste si trovò ch'ella si sarebbe dovuta prevedere per evidenti segni astrologici, e per inauditi portenti; v'ebbe pure la incredulità di molti abitanti, e la negligenza delle precauzioni, v'ebbero i dispareri fra i medici, l'inesecuzione degli ordini, e il rilasciamento nei magistrati stessi, nato da una falsa fiducia che il male fosse cessato. Quivi pure una processione contrastata con ragioni savie, e voluta con fanatismo, diffuse rapidamente il contagio nella città; quivi pure molte vite generosamente sagrificate in pro' del prossimo da cittadini, e particolarmente da ecclesiastici; quivi pure licenza, e avanie degli infermieri e becchini che ivi erano chiamati nettezzini come in Milano monatti; quivi pure preservativi e rimedii strani o superstiziosi. Quivi pure come in Milano subitanei spaventi per voci sparse di sorprese nemiche sognate dalla paura, o inventate dalla malizia; e finalmente, per non dir tutto, quivi pure all'udire che in Milano v'era gente che disseminava il contagio con unzioni, nacque un terrore che il simile non avvenisse, anzi parve di vedere unti i catenacci e i martelli delle porte, e le pile delle Chiese. Ma la cosa non andò oltre; e come in questo particolare, così nel resto gli accidenti tristi che abbiam toccati furono in Bergamo men gravi, meno portentosi: l'incredulità fu meno ostinata, men clamorosa, la trascuranza men crassa, la superstizione meno feroce, la violenza meno bestiale, e meno impunita. Di questa differenza v'era molte cagioni, alcune presenti, altre antiche, quale nelle persone, e quale nelle cose; la ricerca delle quali cagioni è fuori affatto del nostro argomento. Quello che ora importa di sapere si è che Fermo contrasse la peste, e la superò felicemente. Tornato alla vita, dopo d'averla disperata, dopo quell'abbandono e quell'abbattimento, sentì egli rinascere più che mai fresche e rigogliose le speranze, le cure e i desiderj della vita; cioè pensò più che mai a Lucia, alle antiche affezioni, agli antichi disegni, alla incertezza in cui era da tanto tempo dei pensieri di essa, e alla nuova terribile incertezza della salute, della vita di lei in quel tempo dove il vivere e l'esser sano era come una eccezione alla regola. Tutte queste passioni crescevano nell'animo di Fermo di pari passo che il vigore nelle sue membra; e quando queste furono ben riconfortate, egli con la risolutezza d'un giovane convalescente, disse in se stesso: – andrò, e vedrò io come stanno le cose –. Il pericolo della cattura gli dava poca molestia; da quello che si passava in Bergamo, egli vedeva che la peste assorbiva o affogava tutte le sollecitudini, ch'ella era come un'obblivione o un giubileo generale per tutte le cose passate; vedeva che i magistrati avevano ben poca forza e poca voglia d'agire contra i delitti della giornata, e tanto meno contra reati ormai rancidi; e sapeva per la voce pubblica che in Milano il rilasciamento d'ogni disciplina buona e cattiva era ancor più grande. Oltre di che, egli si proponeva di cangiar nome, di procedere con cautela, e di scoprir paese, e prender voce nel suo paesetto natale, prima che avventurarsi in Milano. Con questo disegno, egli lasciò in deposito presso un buon prete (quel suo fidato parente era morto di peste) gran parte degli scudi che gli rimanevano, ne prese pochetti con sè, si tolse un pajo di pani, un po' di companatico e un fiaschetto di vino pel viaggio, e si mosse da Bergamo sul finire di Luglio, pochi giorni da poi che Don Rodrigo era stato portato al lazzeretto. I pochi che erano guariti dalla peste, si trovavano in mezzo all'altra popolazione, come una razza privilegiata. Una grandissima parte della gente languiva inferma, moriva, e quegli che non avevano contratto il male ne vivevano in un continuo terrore; come ogni oggetto poteva col tocco esser cagione di morte, così di tutto si guardavano; i passi erano misurati e sospettosi, i movimenti ritrosi, irresoluti, fretta ed esitazione in un tempo, un allarme incessante, una disposizione a fuggire; e con tutto questo il pensiero sempre vivo che forse tante precauzioni erano inutili, Tag: peste quivi tutto parte contra tratto male cose dopo Argomenti: tanto tempo, territorio milanese, terribile incertezza, orribile ghigno, confine bergamasco Altri libri consultabili online del sito affini al contenuto della pagina: Rinaldo di Torquato Tasso Corbaccio di Giovanni Boccaccio Decameron di Giovanni Boccaccio I nuovi tartufi di Francesco Domenico Guerrazzi Il colore del tempo di Federico De Roberto Articoli del sito affini al contenuto della pagina: Offerta capodanno a Zurigo Lisbona, città da vedere e da sentire Come fare il profumo in casa Kos, l'antica patria dei giganti I Caraibi e la Giamaica per una vacanza economica
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