Fermo e Lucia di Alessandro Manzoni pagina 114

Testo di pubblico dominio

guidatore a fargli compagnia, e si pose a mangiare con un appetito, che si fece sentire molto grande quando la prima sete fu ammorzata. A tutte quelle tavole si gridava: quindi la conversazione era divenuta come generale: perchè molti discorsi, facendosi sentire dall'una tavola all'altra, provocavano risposte, le quali facevano poi nascere dei dialoghi continuati. Come poi il soggetto di tutti quei colloquj separati era un solo, le vicende di quel giorno, così in poco tempo anche il colloquio divenne comune a tutti quelli che ivi si trovavano riuniti a caso. Fermo parlò assai, perchè come abbiam detto era giunto quivi con una gran sete, e il vino non mancava. Lo sconosciuto aveva già intese dalla bocca di Fermo, e registrate attentamente nella memoria molte cose che erano per lui tesori; ma gli mancava una notizia importante, e pensò a procacciarsela. Disse dunque a Fermo: «converrà che voi avvisiate l'oste che avete intenzione di dormir qui affinch'egli vi prepari la stanza». «È vero,» rispose Fermo, e chiamato l'oste: «avete», disse, «una buona stanza, un buon letto da darmi? da povero figliuolo, ma una cosa pulita.» «Starete da principe,» disse l'oste, e fattosi ad un armadietto che era appeso ad una parete ne tolse un pezzetto di carta, un picciolo calamajo, e una penna, quindi accostatosi a Fermo: «in grazia,» disse, «il vostro nome?» «Il mio nome?» rispose Fermo, a cui il vino sincero dell'oste aveva portate tutte le passioni ad un grado lirico. «Che cosa volete fare del mio nome? Avete paura ch'io non vi paghi? Se fossi un tiranno con dieci bravi al mio servizio potreste dubitare, ma sono un povero figliuolo, e non son uomo da dare un canto in pagamento a nessuno.» «Boh! non dico per questo,» rispose l'oste: «ma v'è una grida14 molto severa che «ordina ed espressamente comanda» sono parole della grida, e la so a memoria: «comanda» dice «a tutti gli osti e tavernaj, camere locande etc. che ogni notte,» dice «giorno per giorno, dia notizia e relazione di tutte le persone che alloggeranno etc. specificando» dice «il giorno dell'arrivo di ciascuno, nome e cognome, e di che nazione sarà, a che negozio viene,» dice... «Questa è bella,» interruppe Fermo: «ecco se non è per sapere i negozj degli altri. Vengo per un negozio briccone, senza mia volontà, vengo per un negozio che a raccontarlo ci vorrebbe una sera; ma colui che mi ha fatto venire, si è tessuto il capestro, e presto presto desidererà di non essersi mai impacciato nei fatti miei.» «Onde, non per mia curiosità, ma per cagione della grida,» continuava l'oste; ma Fermo l'interruppe ancora dicendo: «Questa è una grida che non conta, perchè non è mica buona, è fatta contra la povera gente, per sapere i fatti dei galantuomini, ed è una di quelle che s'hanno a disfare: dunque non ne parliamo più, e vi assolvo io. Riempitemi invece un'altra volta questo boccale, che il vino lo trovo a mio genio, e lo riconosco per galantuomo senza domandargli il nome.» «Ma io sono obbligato...» ricominciò l'oste, dando allo sconosciuto un'occhiata che voleva dire: – siatemi testimonio ch'io faccio il mio dovere. – «Via, via,» gridarono in un punto molte voci: «quel giovane ha ragione: sono tutti balzelli, angherie, legge nuova, legge nuova oggi!» L'oste si strinse nelle spalle, e guardò ancora allo sconosciuto, il quale disse pure: «via non vedete che è un galantuomo? andate a preparargli la stanza». «Bravo compagno! bravi amici!» sclamò Fermo, «adesso vedo proprio che i galantuomini si danno la mano e si sostengono.» Partito l'oste, si parlò della grida e delle gride, e poi ancora del pane e dei tiranni. Lo sconosciuto che fino allora non aveva presa gran parte alla conversazione, uscì in campo anch'egli con le sue riflessioni, e con le sue proposte. «Per me,» diss'egli, «se dovessi comandare io, troverei tosto il mezzo di fare stare gli ammassatori, e i fornaj, e di far trovare pane per tutti. Ecco come vorrei fare. Vorrei che si pensasse alla povera gente che non ha frumento e che deve provvedere pane di giorno in giorno, e che non ne avessero a mancar mai, che ognuno avesse la sua razione fissata. Vi dovrebbero essere dei galantuomini, dei signori, ma buoni, e caritatevoli, che tenessero conto di tutti, e stabilissero ad ognuno la sua porzione secondo il bisogno, e a prezzo fisso. Per esempio io andrei a farmi notare», e così parlando, preso un coltello rivolse la punta verso la tavola e la dimenava, come se scrivesse: «e si dovrebbe scrivere: – Ambrogio Fusotto: – di che professione? – Spadaio. – Maritato? – signor sì: – quanti figli? – quattro. – Tante libbre di pane al giorno, e darmi un buon viglietto, col quale io andrei tutti i giorni a prendere il mio pane da un fornajo, a prezzo fisso. Ma bisognerebbe fare le cose giuste, senza parzialità, e in proporzione della famiglia. A voi per esempio dovrebbero scrivere: tanto pane tutti i giorni per... il vostro nome?» «Fermo Spolino.» «Bravo: la professione?» «Lavoratore di seta.» «Benissimo; ma avete moglie?» «Non l'ho,» disse Fermo, «ma se Dio vuole...» «Dunque,» disse lo sconosciuto, «abbiate pazienza; ma voi dovete avere una porzione più picciola.» «È giusto,» rispose Fermo, «ma poi quando io pigliassi moglie, che sarà presto, come spero...» «Razione doppia,» disse lo sconosciuto. «Così va bene,» rispose Fermo. Lo sconosciuto aggiunse ancora poche parole, poi si avvisò tutto ad un tratto che la moglie e i quattro figli sarebbero stati in pensiero pel suo ritardo, e si levò per partire: tre volte era egli sorto in piedi, e tre volte Fermo presolo per le falde del mantello l'aveva fatto ripiombare sulla panca: ma alla quarta egli alzandosi saltò al di sopra della panca, e se ne andò tra le istanze, e i ringraziamenti, e i saluti, invero un po' affoltati del nostro povero Fermo. Questi, rimasto solo alla sua tavola, (ci duole raccontarlo, ma la cosa fu così) vuotò solo in varie riprese il fiasco che aveva fatto riempire di nuovo per due bevitori, lo vuotò, alternando i sorsi con le parole, e ponendoselo a bocca ogni volta che l'idea la quale s'era presentata splendida e risoluta alla sua mente si oscurava e fuggiva tutto ad un tratto, o la frase per vestirla non voleva lasciarsi trovare; a quel modo che uno scrittore, nelle stesse angustie, ricorre alla scatola, piglia una presa in furia, la porta al naso, chiude la scatola, la riapre, e ricomincia lo stesso giuoco. Pure, siccome allo scrittore infervorato nelle sue idee, vengono talvolta nel maggior calore della composizione certi lucidi intervalli, nei quali una voce interna dice ad un tratto: – e se fossero minchionerie? – così anche il nostro poveretto, in mezzo a quella baldanza di pensieri, in quella crescente esuberanza di forze, sentiva di tempo in tempo che a quelle forze mancava un certo fondamento, e che appunto nel momento della più grande intenzione parevano pronte a cadere. Quel po' di senno che gli era rimasto lo faceva accorgere che il più se n'era ito; a un dipresso come l'ultimo lumicino rimasto acceso dopo una grande illuminazione fa intravedere gli altri spenti. Sentiva Fermo un bisogno di trovarsi coricato, e di dormire, e qualche cosa nello stesso tempo lo avvertiva che gli sforzi necessarj per arrivare a quel punto di riposo divenivano più difficili di momento in momento. Fece dunque una risoluzione in uno di questi lucidi intervalli: appoggiò ambe le mani spalancate sulla tavola, si sollevò alquanto, diede un sospiro, tentennò alquanto, e finalmente fu in piedi. «Presto, presto oste,» diss'egli: «conducetemi alla mia stanza, perchè... io sono un buon figliuolo... e mi piace far le cose con giudizio... e gli stravizzj: ... quando il sole è andato a letto... tutti i galantuomini... mi diceva mio padre...» L'oste che desiderava questa risoluzione di Fermo, non si fece aspettare: staccò una di quelle lucerne, e tenendola alzata

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Argomenti: tanto pane,    vino sincero,    porzione secondo,    grande intenzione,    grande illuminazione

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