Fermo e Lucia di Alessandro Manzoni pagina 14

Testo di pubblico dominio

nelle ruvide lane, diede un eterno addio al mondo ed al barbiere, e fu novizio. Il sospetto che la sua risoluzione fosse attribuita al timore lo afflisse un momento; ma tosto egli fu lieto di poter sofferire questa ingiustizia. Ognuno sa che quando uno si affigliava ad una regola, lasciava il nome di battesimo, e ne prendeva un altro; Ludovico assunse quello di Cristoforo. Appena Fra Cristoforo ebbe assunto l'abito, il guardiano gl'intimò che andrebbe a fare il noviziato a Modena, e partirebbe all'indomani. Il novizio gli si gettò allora ai piedi, e lo chiese d'una grazia. «Io parto», diss'egli, «da questa città dove ho sparso il sangue d'un uomo, e vi lascio i congiunti di esso e un fratello, quelli che io ho offesi, senza aver fatta una riparazione. Permettetemi che io quanto è da me ripari almeno col fratello l'ingiuria, e tolga se si può il rancore dal suo cuore.» Al guardiano parve che questo passo, fatto con tutte le precauzioni, riconcilierebbe al tutto il convento colla famiglia e gli disse che gli darebbe risposta, e andò difilato dal fratello dell'ucciso, esponendogli la richiesta di Fra Cristoforo. Dopo qualche sbruffo di collera, e qualche esitazione: «venga domani» diss'egli, e indicò l'ora. Il guardiano si assicurò che il novizio non arrischiava nulla, e gli diede la licenza desiderata. Il signore superbo pensò tosto che poteva dare molta solennità a questa riparazione, e soddisfare così in un punto la vendetta e l'orgoglio, e crescere la sua importanza presso tutta la parentela, e presso il pubblico: e fece avvertire in fretta tutti i parenti che all'indomani al mezzo giorno restassero serviti (così si diceva allora) di venire da lui per ricevere una soddisfazione comune. Al mezzogiorno la casa era piena di signori d'ogni età e d'ogni sesso, tutti in grande apparato, con grandi cappe e con durlindane infinite con... Il cortile e le anticamere e la strada formicolavano di servi, di paggi, e di bravi. Fra Cristoforo vide tutto l'apparato, ne indovinò il motivo, e dopo un picciolo contrasto fu contento che la riparazione fosse clamorosa. – L'ho ucciso in pubblico, diss'egli fra sè, alla presenza dei suoi nemici: quello fu lo scandalo; questa è riparazione –. Così con gli occhi bassi, col padre compagno al fianco, attraversò la folla che lo riguardava con una curiosità poco cerimoniosa, salì le scale, e con una confusione che cercava di vincere giunse di sala in sala alla presenza del fratello il quale era circondato dai parenti più prossimi. Fra Cristoforo gli si gettò ai piedi e disse: «Io sono l'omicida di vostro fratello. Sa Iddio se io vorrei restituirvelo a costo del mio sangue; ma non potendo che farvi inutili scuse, vi supplico di accettarle per Dio, e di perdonarmi.» Tutti gli occhi erano rivolti sul povero novizio e sull'uomo a cui egli parlava, e s'intese un mormorio di pietà, e di rispetto. Il signore che stava in atto di degnazione forzata e d'ira compressa, e si preparava a goder d'un trionfo, fu turbato, e chinandosi verso l'inginocchiato: «Alzatevi,» disse; «l'offesa... ma l'abito che portate... non solo questo; anche per voi... Si alzi padre... Mio fratello... non lo posso negare; era... era un po' caldo... ma, quello che Dio ha voluto... Non se ne parli più... Padre si alzi per amor del cielo;» e presolo per le braccia lo sollevò... Fra Cristoforo alzato quasi a forza, e tenendosi pur chino rispose: «Se quegli che io non oso nominare ha fallato, ha avuto pur troppo un severo castigo, e spero che Dio misericordioso si sarà contentato di questo, e gli avrà dato il suo perdono; ma io son qui, e non ho altro motivo per pretenderlo da lei che la sua bontà, e i meriti del signore.» «Perdono!» disse il signore: «ma padre Ella non ha bisogno... pure giacchè lo vuole: certo, certo io le perdono di cuore, in nome anche di tutti,» e qui si guardò intorno, e gli astanti: «sì sì» gridarono ad una voce «tutti tutti». Allora il signore mosso dall'aspetto del frate, e dal sentimento di tutti gli astanti, gettò le braccia al collo di Cristoforo, il quale stringendolo più basso ricevette da lui e gli rendette il bacio di pace. Tutti allora furono intorno a Fra Cristoforo, e la conversazione divenne generale. Il signore che aveva voluto in questa occasione far pompa di tutto, aveva fatto preparare un rinfresco sontuoso, e fatto cenno ad un cameriere, si riavvicinò a Fra Cristoforo il quale stava in atto di accomiatarsi, e gli disse: «Padre mi dia una prova di amicizia col gradire una picciola refezione, e fare un po' di festa con noi.» Intanto giunsero i rinfreschi. Il signore volle servire pel primo il buon novizio: il quale scusandosi con umiltà cordiale: «Queste cose» disse «non sono più per me; ma tolga il cielo ch'io rifiuti i suoi doni: io sto per pormi in viaggio, si degni di farmi portare un pane, perchè io possa dire di aver goduta la sua carità, di aver mangiato il suo pane, di aver questo segno del suo perdono.» Il signore commosso ordinò che così si facesse e tosto giunse un cameriere riccamente vestito, che portando un pane sur un bacile d'argento lo presentò al Padre, il quale presolo e ringraziato, lo pose nella sua bisaccia. Il signore alzando la voce disse al cameriere: «si mandi pane bianco e vino al convento per tutta la comunità». Dopo alcuni momenti Fra Cristoforo chiese licenza, ed abbracciato di nuovo il signore, e tutti quelli che lo stringevano e che volevano pure abbracciarlo, si sviluppò da essi a fatica, ebbe a combattere nelle anticamere per isbrigarsi da quelli che gli baciavano il lembo dell'abito, il cordone, il cappuccio; e si trovò nella via portato come in trionfo, ed accompagnato da una folla di popolo fino alla porta donde uscì cominciando il suo pedestre viaggio verso il luogo del suo noviziato. Il fratello dell'ucciso e il parentado, che si erano preparati ad assaporare quel giorno la trista gioja dell'orgoglio, si trovarono invece ripieni della gioja serena del perdono e della benevolenza. La conversazione rimase più pacata, più semplice, senza apparato, cordiale: e invece di trattenersi di riparazione, di puntigli, di ricantare le storie delle soddisfazioni prese, e dei sopramani vendicati, non si parlò che del Padre Cristoforo, e delle virtù dei capuccini; e taluno che per la cinquantesima volta avrebbe raccontato come il Conte Muzio suo avo aveva saputo fare stare quel Marchese Stanislao che ognun sa che Rodomonte era, parlò invece della vita penitente di un Fra Benedetto, morto molti anni prima. Sciolta la brigata, il signore, ancora tutto commosso si maravigliava di tratto in tratto fra sè di ciò che aveva detto, di ciò che aveva sentito, e borbottava fra i denti: «Gran Frate, Frate singolare! Se rimaneva ancor lì per qualche momento, quasi quasi gli avrei domandato io scusa perch'egli mi abbia ammazzato il fratello!» Però è da notarsi che tutti i convitati partirono di là un po' migliori di quello che vi fossero andati, e ch'egli stesso fu per tutta la sua vita un po' meno superbo e un po' più indulgente. Il Padre Cristoforo camminava con una consolazione quale non aveva provata mai dopo quel giorno terribile, ad espiare il quale tutta la sua vita doveva essere consacrata. Ai novizj era imposto silenzio; e Cristoforo serbava senza fatica questa legge, tutto assorto nel pensiero delle fatiche, delle privazioni e delle umiliazioni che avrebbe incontrate per espiazione del suo fallo. Fermandosi all'ora della refezione presso un benefattore, egli si mangiò con una specie di voluttà il pane del perdono: ma ne risparmiò un tozzo, e lo ripose nella sporta onde serbarlo come un ricordo perpetuo. Non è nostro disegno di narrare la vita fratesca del nostro buon padre: diremo dunque soltanto ch'egli passò il suo noviziato sostenendo alacremente le dure discipline di quello stadio, e sottomettendosi bravamente alle prove, talvolta assai strane a cui erano posti i novizj; facendo per ragione ciò che gli

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Argomenti: mezzo giorno,    pane bianco,    signore superbo,    picciolo contrasto,    povero novizio

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