Fermo e Lucia di Alessandro Manzoni pagina 157

Testo di pubblico dominio

speranza. Dio non l'ha lasciata in terra per te; e tu, certo non hai l'ardimento di crederti degno che Dio pensi a consolarti. Avrà pensato a lei; poichè ella era di quelle anime a cui son riservate le consolazioni eterne. Va; non ho tempo di più darti retta.» E, così dicendo, gettò da sè la mano di Fermo, e si mosse verso una capanna d'infermi. «Ah padre!» disse Fermo con voce affranta, «mi vuol ella mandar via a questo modo?» «Come!» riprese con voce non meno severa il capuccino: «ardiresti tu di pretendere ch'io rubassi il tempo a questi afflitti, che aspettano ch'io parli loro del perdono di Dio, per ascoltare le tue voci di rabbia, i tuoi disegni di vendetta? Ti ho ascoltato quando tu potevi aver bisogno di conforto, chiedevi consolazione, e indirizzo; mi son tolto alla carità per la carità; ma ora tu hai la tua vendetta in cuore; che vuoi da me? Vattene; ho veduti morire qui degli offesi che perdonavano; degli offensori, che avrebber voluto potersi umiliare dinanzi all'offeso: ho pianto con gli uni e con gli altri; ma con te che posso fare? ... se tu non gli perdoni da vero, e...» Il suono di queste ultime voci era raddolcito, e l'aspetto del vecchio nel proferirle, pure in mezzo alla severità annunziava una tenerezza pronta a scoppiare. «Ah gli perdono!» disse Fermo piangendo: «così Dio perdoni a me! così possa io tornar qui a dirle che Lucia è viva, che Lucia vivrà.» «Vien qua» disse il padre, pigliandolo per mano; e lo ricondusse nella capannuccia, e lo fece seder come prima presso di sè. Fermo stava tutto intento e commosso. «Sai tu,» disse il padre, «perchè io porto quest'abito?» Fermo esitava: «Lo sai tu?» riprese il padre. «Lo so,» rispose Fermo. «Tu sai che questa mano ha ucciso!» «Sì, ma un prepotente che l'aveva aizzato, uno di quei...» «Taci,» interruppe il frate. «Credi tu che se vi fosse stata una buona ragione, io non l'avrei trovata in quarant'anni? perchè, son quarant'anni ch'io vi penso, e grazie a Dio, per quarant'anni ne ho avuto dolore, e mi sono accusato: e ho pregato Dio che in segno del suo perdono eterno, Egli mi punisse in questa vita, che pigliasse la mia in sacrificio, come io aveva ardito disporre di quella d'un uomo; che mi facesse morire in servizio d'altrui; e spero d'essere esaudito. Non creder tu ora dunque di poter consolarmi: consolati piuttosto di essere tu in tempo a perdonare: non ispender vane parole; ascolta piuttosto le mie; v'è dentro il pensiero di tutta la mia vita, della men trista parte di essa. Sai tu perchè io ho ucciso? Perchè v'era una cosa ch'io amava troppo. Sì, figliuolo, ciò ch'io chiamava il mio onore, io lo amava ardentemente, sopra ogni cosa, come avrei dovuto amar Dio. E quando la vita d'un uomo... gran Dio! la vita d'uno fatto a vostra immagine! si trovò in confronto col mio onore, io gliel'ho sagrificata. M'hai tu inteso!» Fermo tutto commosso, rispose sinceramente: «padre sì.» In fatti egli intendeva qualche cosa di molto ragionevole, che bisogna amar Dio sovra ogni cosa, e non ammazzare. Ma l'intento di quel discorso non passava nel suo intelletto: l'uomo che esprime le idee che sono state per lui soggetto d'una lunga e ripetuta meditazione, è oscuro, senza volerlo, anche per gente più colta che non fosse il nostro giovane montanaro. Il padre Cristoforo continuò: «Il mio affetto era stolto, e superbo: il tuo è ragionevole e buono; la mia era passione non solo d'uomo furioso, ma di ragazzo stolido; perchè che voleva io? che voleva io ad ogni costo? camminar rasente il muro, e non pigliare il mezzo della via; e tu, tu pensi da uomo savio a desiderare per tua compagna una di quelle donne che il cielo destina come un premio ai buoni; quella che tu scegliesti, e che ti scelse. Ma il tuo affetto diventa ingiusto, diventa stolido com'era il mio, se tu non lo sottometti al volere di Colui che solo può renderlo santo. E un tale amore, bada bene alle mie parole, un tale amore, quando tutto ti andasse a seconda, quando tu ottenessi ciò che più desideri, un tale amore tosto, o tardi, più tosto che tardi, ti tornerebbe in amaro: come; io non lo so, ma senza dubbio: e parlo dal tetto in giù. Or pensa che bel conforto avresti di questo amore, se, perduto ciò che te lo fa parer tanto dolce, non te ne rimanesse che un odio, nessuna speranza che d'una vendetta, nessun frutto che un omici...» «Non lo dica,» interruppe Fermo, come atterrito. «Rendi grazie a Dio,» riprese il padre, «che tu non abbi a pentirti che d'un pensiero. Ma il pentirsi del fatto... ah! è ben amaro! E il non pentirsi è orrendo, orrendo più che non si possa comprendere in questa vita. Fermo! giuri tu il perdono?» «Ah! lo giuro,» rispose Fermo in tuono solenne. «A chi giuri tu di perdonare?» «A quell'uomo...» «A chi?» «Sì, padre, a Don Rodrigo.» «Sì, Fermo, a Don Rodrigo: è un nome che fu posto sul fonte della rigenerazione ad una creatura redenta col Sangue d'un Dio; è un nome che forse è scritto sul libro della vita: perchè Dio perdona; guai a te, se non fosse!» Dette queste parole, il vecchio stette pensoso un momento, tenendo tuttavia la mano di Fermo, poi abbandonatala, prese la sua sporta, ne trasse dal fondo un pezzo di pane arido, e scolorato, lo mostrò a Fermo, e disse: «Vedi tu questo pane? Lo conservo da quarant'anni; l'ho mendicato nella casa di quello sventurato... l'ho avuto dai suoi come un pegno di pace, e di perdono. Ah! se avessi potuto prenderlo dalle sue mani! Prendi,» – e porse il pane a Fermo – «conservalo ora tu: è il dono ch'io posso lasciarti per mia memoria. E se, come spero, Iddio ti vuol condurre per quella via alla quale pare che Egli ti avesse chiamato, se tu sarai padre; mostra questo pane ai tuoi figli, conta loro la mia trista storia, di' loro che preghino pel povero capuccino, che morì pentito. Saranno provocati, saranno offesi; di' loro che perdonino sempre, sempre, tutto, tutto. Tu rimani a vivere in un secolo doloroso: i giorni che noi veggiamo son cattivi; quei che si preparano saranno peggiori: i figli dei provocatori, dei superbi, dei violenti, lo saranno più dei padri loro. Gran Dio! questo flagello non corregge il mondo: è una grandine che percuote una vigna già maledetta: tanti grappoli abbatte; e quei che rimangono, son più tristi, più agresti, più guasti di prima. Tu stesso, o Fermo, tu stesso, qui dove l'uomo non dovrebbe aver cuore che per la misericordia, tu odiavi ancora!» Fermo non disse nulla, ma il suo volto esprimeva il pentimento. «Or va,» disse il padre alzandosi, «Iddio benedica le tue ricerche.» «Vuol dire, padre, ch'io la troverò?» richiese Fermo ansiosamente, come se parlasse ad uomo che ne potesse saper più di lui. «Cercala con perseveranza,» rispose il padre, «cercala con fiducia, e con rassegnazione. Iddio può fare che tu la trovi, ma non te l'ha promesso. Ti ha promesso di perdonare tutti i tuoi falli, se tu perdoni a chi t'ha offeso, ti ha promesso di renderti felice per sempre al fine di questa vita, se tu osservi la sua legge. Non ti basta? Va; e qualunque sia il frutto della tua ricerca, vieni a darmene contezza: noi ringrazieremo Dio insieme.» Così dicendo, egli pose le mani su le spalle di Fermo, e stette un momento colla faccia elevata in atto di preghiera e di benedizione. Poi staccandosi, disse; «Intanto io pregherò per voi; assistendo a questi vostri fratelli, io pregherò per voi.» Fermo si prostrò ginocchioni, stette un momento con le mani compresse al volto piangendo, e pregando; s'alzò, guardò intorno, uscì dalla capanna, e si diresse alla Chiesa, come gli aveva indicato il capuccino. Egli era scomparso, e andava cercando intorno dove fosse più bisogno della sua assistenza. cap. 8 All'intorno del picciolo tempio v'era un picciolo spazio sgombro di capanne, e Fermo giungendovi, lo vide occupato da una folla distinta in ragazzi, in donne, e in uomini, tutti composti e in gran silenzio, fra il quale si udiva distintamente

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