Fermo e Lucia di Alessandro Manzoni pagina 7

Testo di pubblico dominio

moribonda, pensò all'inferno, a Dio, alla Beata Vergine, e si risvegliò da quel sogno di sangue con ispavento e con rimorso, e con una specie di gioja di non aver fatto niente. – Dio mi ajuterà – disse, e deposto ogni pensiero di pigliar l'archibugio, continuò la sua strada per andare ad informare Lucia e la madre del tristo stato delle cose. In mezzo alla ripugnanza che sentiva a dovere dare una tal novella alla sua sposa, egli ardeva di parlargliene per togliersi un fiero sospetto dal cuore. La prepotenza di don Rodrigo non poteva venire da altro, che da una sua brutale passione per Lucia. E Lucia ne era ella informata? Così arrovellato giunse nel cortiletto della casa, e sentì un gridio nella stanza superiore dov'era Lucia e s'immaginò che sarebbero amiche e comari, e non si volle mostrare. Una fanciulletta che si trovava nel cortile gli corse incontro gridando: «lo sposo, lo sposo!» «Zitto, zitto,» disse Fermo, «sali da Lucia, pigliala in disparte e dille all'orecchio, ma all'orecchio ve', che ho da parlarle, e che l'aspetto nella stanza terrena, e non lo dire a nessun altro.» La fanciulletta salì subito le scale, lieta di avere una incombenza segreta da eseguire. Lucia usciva in quel momento tutta attillata dalle mani della madre. Le amiche se la rubavano, e le facevano forza perchè si lasciasse vedere, ma ella si schermiva con quella modestia un po' guerriera delle foresi, chinando la faccia sul busto e facendole scudo col gomito. Aveva i neri capegli spartiti sulla fronte con una dirizzatura ben distinta, e ravvolti col resto delle chiome dietro il capo in una treccia tonda e raggomitolata a foggia di tanti cerchi, e trapunta da grossi spilli d'argento che s'aggiravano intorno alla testa in guisa d'una diadema, come ancora usano le donne del contado milanese. Al collo una collana di molte fila, di granate alternate con bottoni d'oro a filigrana. Un bel busto di broccato a fiori, le maniche corte fino al gomito dello stesso colore, allacciate sopra le spalle con nastri di seta, e terminate da due gran manichetti, una gonnella corta di filaticcio di seta terminata all'allacciatura con fitte e spesse pieghe, due calze vermiglie, e due pianelle coperte di seta e ricamate sul piede. Oltre questo che era l'ornamento particolare di quel giorno, Lucia aveva quello quotidiano di una modesta bellezza, la quale era allora accresciuta e per dir così abbellita dalle varie affezioni dell'animo suo in quel giorno. Poichè appariva nei suoi tratti una gioja non senza un leggier turbamento, un misto d'impazienza, e di timore e quella specie di accoramento tranquillo che ad ora ad ora si mostra sul volto delle spose, e che temperato dalle emozioni gioconde e liete non turba la bellezza, ma l'accresce, e le dà un carattere particolare. La picciola Santina entrò nella stanza, non fece vista di nulla, aspettò un momento in cui Lucia si era staccata dalle donne, le disse la sua parolina all'orecchio, e se ne andò, per timore di non lasciarsi scorgere di quello che aveva fatto. Lucia disse, «torno», e scese in fretta in fretta. La faccia stravolta e il portamento agitato di Fermo la spaventò. «Che c'è di nuovo?» gli chiese ansiosamente. «Lucia,» disse Fermo, con una voce nella quale più non si distingueva che la tristezza, «Lucia per oggi è finita, e Dio sa quando saremo marito e moglie.» «Perchè perchè?» chiese ancor più spaventata Lucia. Fermo le narrò brevemente tutta la storia di quella mattina, tacendo però il nome di Don Rodrigo. «Ah! non può essere che quel demonio in carne,» sclamò Lucia pallida, e sconfortata. «Chi?» domandò Fermo. «Don Rodrigo.» «Dunque voi sapevate? ...» «Pur troppo» interruppe Lucia, «e non ve ne ho parlato per buone ragioni; ora vi dirò il tutto: lasciate che possiamo esser sole con voi.» Così detto salì in fretta le scale, ritornò nella stanza dove le donne erano radunate, e componendo il volto come potè meglio: «Il signor Curato,» disse, «è ammalato, e per oggi non si fa nulla.» Detto questo salutò le donne e ripartì. Quando non ci fosse stata altra cagione di ritardo, la situazione era abbastanza imbarazzante in una sposa per motivare la sua subita scomparsa. La società si disciolse: la madre seguì la figlia per ansietà e per curiosità di saper tutto, e le donne uscirono per potere verificare il fatto, e far congetture. Ma la verità del fatto le troncò tutte. Fermo seppe allora dalle donne gli antecedenti che noi racconteremo nel seguente capitolo. cap. 3
Il Causidico I tre rimasti a consiglio erano agitati, turbati per la stessa causa ma in diverso modo. Fermo si trovava nello stato di un uomo il quale ad un tratto dalla prosperità e dalla gioja è balzato in una sventura della quale non conosce che una parte; è ansioso di sapere il di più, vuole essere informato di tutto, aspetta, sospira nuove rivelazioni, e non ne può aspettare che non accrescano il suo rammarico, che non peggiorino la sua condizione. Al dolore, al rancore, alla rabbia, si aggiungeva ora il martello della gelosia. Egli aveva sempre avuta piena fede in Lucia, ma un mistero di questo genere, un silenzio in questa materia lo tormentava, egli era come spaventato di conoscere che Lucia aveva una cosa sul cuore, e ch'egli non ne aveva saputo nulla. Agnese, la madre di Lucia era pure stupita, scandalizzata di essere all'oscuro d'una cosa simile: ella che sapeva tante cose che non la toccavano per nulla, ignorare una cosa tanto importante della sua Lucia! Agnese le avrebbe fatto un rabbuffo terribile, se in questo caso il bisogno d'ascoltare non avesse vinto d'assai quello di parlare. Lucia... ma dalle sue parole il lettore intenderà lo stato del suo animo. «Parla! parla! Parlate, parlate!» gridavano in una volta la madre e Fermo. Lucia atterrita, costernata, vergognosa, singhiozzando, arrossando, sclamò: «Santissima Vergine! Chi avrebbe creduto che le cose sarebbero giunte a questo segno! Quel senza timore di Dio di Don Rodrigo veniva spesso alla filanda a vederci trarre la seta. Andava da un fornello all'altro facendo a questa e a quella mille vezzi l'uno peggio dell'altro: a chi ne diceva una trista a chi una peggio: e si pigliava tante libertà: chi fuggiva, chi gridava; e purtroppo v'era chi lasciava fare! Se ci lamentavamo al padrone, egli diceva: «badate a fare il fatto vostro, non gli date ansa, sono scherzi,» e borbottava poi: «gli è un cavaliere; gli è un uomo che può fare del male; è un uomo che sa mostrare il viso». Quel tristo veniva talvolta con alcuni suoi amici, gente come lui. Un giorno mi trovò mentre io usciva e mi volle tirar in disparte, e si prese con me più libertà: io gli sfuggii, ed egli mi disse in collera: «ci vedremo»: i suoi amici ridevano di lui, ed egli era ancor più arrabbiato. Allora io pensai di non andar più alla filanda, feci un po' di baruffa colla Marcellina, per avere un pretesto, e vi ricorderete mamma ch'io vi dissi che non ci andrei. Ma la filanda era sul finire per grazia di Dio, e per quei pochi giorni io stetti sempre in mezzo alle altre di modo ch'egli non mi potè cogliere. Ma la persecuzione non finì: colui, mi aspettava quando io andava al mercato, e vi ricorderete mamma ch'io vi dissi che aveva paura d'andar sola e non ci andai più: mi aspettava quand'io andava a lavare, ad ogni passo: io non dissi nulla, forse ho fatto male. Ma pregai tanto Fermo che affrettasse le nozze: pensava che quando sarei sua moglie colui non ardirebbe più tormentarmi; ed ora...» Qui le parole della povera Lucia furono tronche da un violento scoppio di pianto. «Birbone! assassino! dannato!» sclamava Fermo, correndo su e giù per la stanza, e mettendo di tratto in tratto la mano sul manico del suo coltello. «Ma perchè non parlarne a tua madre?» disse Agnese: «se io l'avessi saputo prima...» Lucia non rispose perchè la risposta che si sentiva in mente non era da dirsi a sua madre: tutto il vicinato ne sarebbe stato informato. I

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Argomenti: brutale passione,    stanza superiore,    accoramento tranquillo,    violento scoppio

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