Fermo e Lucia di Alessandro Manzoni pagina 58

Testo di pubblico dominio

ricerche di Fermo, le quali riuscirono inutili, lo notò come fuggitivo, gli fece intimare alla casa l'ordine di ritornare, e nello stesso tempo rilasciò l'ordine di catturarlo s'egli ritornava. Non importa di accordare quei due ordini: basta che con questi si ottenesse l'effetto desiderato, che era di toglier la volontà a Fermo di ritornare. Intanto il Griso non ommetteva cura per iscoprire il covo dei fuggitivi; ed ecco come vi riuscì. Mandava egli esploratori qua e là per le piazze e per le taverne per raccogliere i discorsi che potevano dar qualche lume su questo avvenimento. Colui che aveva condotto il baroccio dei profughi, non tacque, e di confidenza in confidenza, il Griso venne a risapere, e potè riferire a Don Rodrigo: che i fuggitivi erano andati a Monza, che Fermo aveva proseguito il viaggio fino a Milano, che Lucia ed Agnese erano state raccomandate al guardiano dei cappuccini. Parve a Don Rodrigo che la matassa non fosse tanto imbrogliata com'egli aveva temuto, e che il bandolo si potrebbe ravviare senza troppa difficoltà. Monza non era più lontana che venti miglia; Fermo era separato dalle donne; quando si prendessero buoni alleati, senza dei quali Don Rodrigo sentiva di non poter far nulla a quattro miglia del suo castellotto, l'impresa non era disperata. V'era però ancora di mezzo un cappuccino; ma si sarebbe veduto fino a che segno egli era da temersi. «Ora mio bravo e fedel Griso,» disse Don Rodrigo, «non bisogna metter tempo in mezzo. Ho bisogno di sapere al più presto presso a chi, in qual parte di Monza costei è andata a posarsi; e tu devi andare sul luogo a pigliarne informazioni sicure.» «Signore...» «Che è, Griso? non ho io parlato chiaro?» «Signore illustrissimo, ... io son pronto a dar la vita pel mio padrone, ma so anche ch'ella non vuole arrischiar troppo i suoi sudditi» «Ebbene, non sei tu sotto la mia protezione?» «Qui sono sicuro, qui Vossignoria illustrissima è conosciuta, e tutti mi portano rispetto; ma in Monza, s'io fossi riconosciuto... Sa Vostra signoria che, non dico per vantarmi; ma sa che chi mi potesse consegnare alla giustizia, crederebbe di aver fatto un gran colpo?» Don Rodrigo stette un momento sopra pensiero. È una certa consolazione per chi considera lo stato insopportabile di angoscia e di terrore in cui a quei tempi gli uomini arditi e perversi tenevano i deboli, il vedere che i perversi pure erano in continua angoscia, e dovevano starsi sempre come si dice con l'olio santo in saccoccia. Ma Don Rodrigo dopo un breve silenzio, fece con buone ragioni vergognar il Griso della sua pusillanimità. «Che diavolo!» disse Don Rodrigo, «tu mi riesci ora un can da pagliajo, che non sa che abbajare sulla porta, guardandosi indietro se quei di casa lo spalleggiano, e non ardisce di allontanarsi quattro passi? Ebbene, piglia con te un pajo di compagni... il Pelato, e... il Saltafossi... e va. Io non ho nimicizia con nessuno in Monza: chi dunque ti vorrebbe toccare? La faccia di bravo non ti manca, e cospetto non incontrerai nessuno che non sia contento di lasciarti passare. Quanto alla giustizia, dovresti vergognarti di avervi pensato un momento. Bisognerebbe che i birri di Monza fossero bene stanchi di vivere per azzuffarsi con tre malandrini che vanno tranquillamente pei fatti loro.» «Sia per non detto, illustrissimo signore: io parto immediatamente.» «Bravo: hai amici in Monza?» «Eh Signore io ho amici e nemici per tutto il mondo. Sono stato in prigione con uno che sta per bravo dal Signor Egidio... e abbiamo fatta una amicizia da spartire colle pertiche, conosco...» «Bene tu avrai da questi informazioni, e ajuti al caso. Una mano lava l'altra, e le due il viso. Coraggio, e prudenza: comprare e non vendere; andare e tornare.» «Vado e torno; e se osassi...» «Che?» «Pregar Vossignoria illustrissima di non dire ad alcuno che il Griso ha dubitato un momento. Vede bene, ognuno nel suo mestiere ha a cuore la sua riputazione.» «Va, va, balocco che sei: credi tu che io abbia bisogno di essere pregato per tenere in credito la mia gente?» Il Griso partì coi due compagni, spiò, e raccolse che Lucia era nel monastero, sotto la protezione della Signora, che però la Signora l'aveva ricevuta per compiacere al padre guardiano, che nessuno pensava che altrimenti ella si sarebbe pigliata a petto questa faccenda giacchè Lucia non le apparteneva per nulla, che Lucia abitava nel monastero, ma fuori del chiostro, che si lasciava poco vedere, e sempre di chiaro giorno: che la madre aveva disegnato di tornarsene a casa lasciando Lucia così bene appoggiata. Tutte queste cose riferì il Griso a Don Rodrigo, il quale lodatolo, e ricompensatolo, si pose seriamente a pensare quale risoluzione fosse da prendersi. Tentare un ratto a forza aperta, in Monza, su un terreno che egli non conosceva bene, in un monastero, a rischio di tirarsi addosso la signora, e tutto il suo parentado, del quale Don Rodrigo conosceva molto bene la potenza, e la ferocia in sostenere le protezioni una volta abbracciate, era impresa da non porvi nemmeno il pensiero. Pure Lucia fra pochi giorni sarebbe rimasta sola senza la madre, e a chi avesse avuta pratica del paese, aderenze, notizie per conoscere le occasioni e per approfittarsene, per evitare i pericoli, l'impresa poteva forse essere agevole non che possibile. Bisognava dunque ricorrere ad un alleato potente e destro, ad un uomo avvezzo a condurre a termine spedizioni di questo genere; e Don Rodrigo si determinò in un pensiero, che gli era passato più volte per la mente, che non aveva mai abbandonato, il pensiero di raccomandare i suoi affari al Conte del Sagrato. Le ricerche che abbiamo fatte per trovare il vero nome di costui giacchè quello che abbiamo trascritto era un soprannome, sono state infruttuose. Al prudentissimo nostro autore è sembrato di avere ecceduto in libertà e in coraggio col solo indicare con un soprannome quest'uomo. Due scrittori contemporanei, degnissimi di fede, il Rivola e il Ripamonti, biografi entrambi del Cardinale Federigo Borromeo, fanno menzione di quel personaggio misterioso, ma lo dipingono succintamente come uno dei più sicuri e imperturbabili scellerati che la terra abbia portato, ma non ne danno il nome, e nè meno il soprannome che noi abbiamo ricavato dal nostro manoscritto insieme con la narrazione del fatto che glielo fece acquistare, e che basterà a dare una idea del carattere di quest'uomo. Abitava egli in un castello posto al confine degli stati veneti, sur un monte; e quivi menava una vita sciolta da ogni riguardo di legge, comandando a tutti gli abitatori del contorno, non riconoscendo superiore a sè, arbitro violento dei negozj altrui come di quelli nei quali era parte, raccettatore di tutti i banditi, di tutti i fuggitivi per delitti quando fossero abili a commetterne di nuovi, appaltatore di delitti per professione. «La sua casa» per servirci della descrizione che ne fa il Ripamonti «era come una officina di commessioni d'ammazzamento: servì condannati nella testa, e troncatori di teste: nè cuoco nè guattero dispensati dall'omicidio; le mani dei valletti insanguinate.» E la confidenza di costui, nutrita dal sentimento della forza e da una lunga esperienza d'impunità era venuta a tanto, che dovendo egli un giorno passar vicino a Milano, vi entrò senza rispetto, benchè capitalmente bandito, cavalcò per la città coi suoi cani, e a suon di tromba, passò sulla porta del palazzo ove abitava il governatore, e lasciò alle guardie una imbasciata di villanie da essergli riferita in suo nome. Avvenne un giorno che a costui come a protettore noto di tutte le cause spallate si presentò un debitore svogliato di pagare, e si richiamò a lui della molestia che gli era recata dal suo creditore, raccontando il negozio a modo suo, e protestando ch'egli non doveva nulla, e che non aveva al mondo altra speranza che nella protezione onnipotente del signor Conte. Il creditore, un benestante d'un paese vicino,

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Argomenti: uomo avvezzo,    tanto imbrogliata,    vero nome,    arbitro violento,    protettore noto

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