Fermo e Lucia di Alessandro Manzoni pagina 116

Testo di pubblico dominio

ma l'oste cercando il largo fra gli scogli, camminando a sghembo tra una brigata e l'altra, ponendo cura di non urtare nessuno, e dissimulando gli urti che riceveva, se ne andava al suo cammino, continuando intanto fra sè. – E tu prega il cielo che domani tiri l'aria d'oggi, se no, stai fresco. Hai voluto affogare, affoga; ma afferrar me per una gamba, per trarmi sott'acqua con te... ah! non era azione da galantuomo. Tu mi volevi esporre, se nol sai, a trecento scudi di pena, o a cinque anni di galera, o a maggior pena pecuniaria o corporale, ad arbitrio di Sua Eccellenza. Obbligatissimo alle sue grazie. cap. 8 A queste parole giunse egli alla soglia del palazzo del Capitano di Giustizia. Entrò, salì, fu introdotto e fece ad un ufiziale, la sua relazione, come era capitato all'osteria uno che non aveva voluto dare il suo nome, e come egli oste dopo d'averlo ammonito di obbedire alle gride, dovette tacere per non far nascere uno scandalo. «Lo sapevamo,» rispose l'ufiziale, con aria di importanza e di mistero: «ma voi avete ben fatto di compiere il vostro dovere. Ora badate a non lasciarlo partire costui.» «Col dovuto rispetto a Vossignoria,» rispose l'oste, il quale con tutta la sua prudenza, non aveva potuto a meno di non prendere un po' di quegli spiriti arditi di che era piena l'aria in quel giorno, «col dovuto rispetto, io faccio l'oste e non il birro: ho fatto il mio dovere: a lor signori tocca ora.» «Va bene, va bene,» rispose l'ufiziale, il quale con tutta la sua arroganza non aveva potuto a meno di non tremare un po' in tutta quella giornata, e non sapeva ancora bene a che punto le cose si fossero. L'oste ne andò pei fatti suoi. La prima informazione, come il lettore se n'è addato certamente, era venuta da quella falsa guida, la quale, per darne piena contezza, non era niente meno che un bargello travestito, in traccia d'uno che gli desse una occasione di farsi onore e merito, eseguendo gli ordini assai difficili che gli erano imposti: e quest'uno fu il nostro povero Fermo. Nel momento in cui la sommossa era al maggior grado di fermento e l'assedio posto alla Casa del Vicario, molti magistrati, scapolando furtivamente per vicoli, e per vie deserte s'erano riuniti nelle sale del consiglio segreto, e quivi avevano consultato non senza tremore sulla urgenza del caso. I pareri erano varj, proposti con esitanza, e abbandonati facilmente, e non si conchiudeva, ma quando sul declinar del giorno venne la relazione, che il Vicario era in salvo, che la folla cominciava a dissiparsi, un vecchio machiavellista del consiglio segreto: «ah!» disse, «signori miei: ora il partito è chiaro: centomila pani, e quattro capestri». Tutto quello che fu detto da poi non fu che un commento a queste parole, e deliberazione sul modo di condurle ad effetto. Si ordinò che fossero mandate guardie ai forni rimasti intatti fin allora, per assicurarli, e per obbligare i fornaj a far pane in abbondanza per l'indomani. Furono destinate persone autorevoli, e accette al popolo, le quali di buon mattino assistessero ai forni in uno colle guardie, e aggiungendo la persuasione alla forza, cercassero di regolare la distribuzione del pane, e mantenessero la tranquillità: il prezzo del pane fu riabbassato a quella prima tassa immaginata dal Ferrer. Si mandarono soldati a sgombrare la via dov'era la casa del Vicario, dai pochi che v'erano rimasti: e la via fu quindi sbarrata, e i soldati vi si posero a stazione, per togliere alla sedizione il campo dov'ella aveva già ottenuta una vittoria, e dove probabilmente ella si sarebbe presentata di nuovo per ricominciare la battaglia. Finalmente furono spediti attorno tutti i membri di quella che il popolo chiamava onorata famiglia con l'ordine di metter le mani su qualcheduno dei capi, o dei più turbolenti, ma però in modo che il colpo fosse sicuro, e non potesse dare occasione ad un nuovo ribollimento. L'ordine era più facile da darsi che da eseguirsi: e per non parlare che di ciò che si lega alla nostra storia, quel falso Ambrogio aveva girato lungo tempo qua e là, su e giù, sempre in mezzo alle occasioni, senza poterne cogliere una, vedendo i rei a centinaja, senza poterne fare un prigione, e si rodeva come un cacciatore che viaggiando vegga levarsi a destra e a sinistra, dalle macchie, tordi, starne, e pernici, e non abbia lo schioppo con sè; quando gli capitò nelle ugne il povero Fermo, e vi rimase, come abbiamo veduto. Il bargello malandrino andò tosto a riferire, come aveva colto in flagranti uno che predicava, come l'aveva condotto all'osteria, come quegli aveva negato obbedienza alla grida, ricusando di dare il nome, come poi egli uomo benemerito glielo aveva cavato di bocca, e come finalmente la bestia era nel covo, e non si trattava che di andarla a prendere. Il Capitano di giustizia, avrebbe voluto che fosse presa subito subito senza tardare: – ma –, pensava egli, mettendo di tratto in tratto la mano sulla sua bernoccola: – bisogna prima assicurarsi che tutte le cose sieno quiete. – All'aurora tutto era disposto in modo che non si credeva più che la forza potesse trovare ostacoli, e allora fu spedito il bargello con un notajo e due birri all'osteria della luna piena. Saliti alla stanza di Fermo, che dormiva, il bargello lo riconobbe, disse al notajo: «è l'uomo», e partì. Fermo russava già da sette ore, e non avrebbe finito così presto, se una mano che gli scoteva la spalla, e una voce che gridava: «Fermo Spolino», non lo avesse fatto risentire. Aperse gli occhj a stento, e guatò: era giorno fatto e la luce che entrava per le impannate fece vedere a Fermo un uomo ravvolto in una cappa nera stargli al capezzale da un lato, e due in farsetto armati, l'uno dall'altro lato del capezzale, e l'altro a piedi del letto. Mentre Fermo andava raccapezzando le sue idee, e cercando di ricordarsi delle circostanze che gli pareva di dover sapere, per potere comprendere quelle che gli erano affatto nuove e strane, s'udì dire dall'uomo della cappa nera: «alto, su, Fermo Spolino, alzatevi e venite con noi». «Che vuol dir questo?» disse Fermo quando potè aver la favella, e nello stesso tempo dubitando che fosse un sogno, scuoteva la testa e dimenava tutte le membra per destarsi affatto. «Ah! avete inteso una volta, Fermo Spolino?», disse l'uomo dalla cappa nera, «alzatevi, e venite con noi, che non abbiam tempo da perdere.» «Fermo Spolino!» disse Fermo Spolino. «Chi v'ha detto il mio nome?» – Che sia uno stregone costui vestito di nero? – mormorò tra sè; «Ehi! l'oste, l'oste!» gridò quindi a quanto fiato aveva in corpo. «Meno ciarle, e su!» disse uno di quei birri. «Che prepotenza è questa?» disse Fermo, «ah! adesso mi ricordo... badate bene a quello che fate: non è più come una volta...» «Badate voi, a far presto,» disse il notajo, «se non volete esser portato via in camicia.» «E perchè mò?» disse Fermo. «Il perchè lo direte al Signor Capitano di giustizia.» «Io sono un buon figliuolo, non ho fatto niente...» «Tanto meglio per voi; così dopo due parole vi lasceranno andare pei fatti vostri.» «Mi lascino andare adesso, subito,» disse Fermo, «io non ho nulla che fare con la giustizia.» «Lo portiamo via?» disse uno di quei birri al notajo. «Fermo Spolino! ...» disse il notajo con aria di consiglio minaccioso. «Come sa Lei il mio nome?» disse Fermo. «Se non fate presto...» «Voglio sapere perchè vengono a fare questa sorpresa a un galantuomo. Che cosa ho fatto? parlino: io son uomo che intende la ragione, e darò conto di tutto.» Ma i birri fattisi bruscamente vicini a Fermo stavano per porgli le mani addosso, quando egli gridò: «non toccate la carne d'un galantuomo, che...» «Dunque alzatevi subito,» disse il notajo. «Ebbene mi alzerò,» disse Fermo; «ma io non voglio andare dal Capitano di giustizia. Io non ho che fare con lui. Voglio esser condotto da Ferrer; quello lo conosco, e saprò fare intendere le mie ragioni.» «Presto,

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Argomenti: lungo tempo,    due parole,    vecchio machiavellista,    uomo benemerito

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