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Fermo e Lucia di Alessandro Manzoni pagina 85del marito le furono occasione di applicare la sua obbedienza, di esercitarla, e di avvezzarla a tutto. Quando il Conte divenne padrone, quel potere divenne ancor più grande e più attivo, in proporzione dell'attività violenta dell'animo di lui; e coloro che erano ministri di questo potere dovettero divenire ancor più obbedienti, e più soperchiatori, essere più spaventati e fare più spavento; pochi servitori ai quali la coscienza disse che era troppo, si ritirarono; quegli che rimasero crebbero nella perversità, come una pianta velenosa cresce di grandezza e di forza malefica quando si trova in un terreno confacente. Il marito della nostra eroina episodica fu di quelli che rimasero. Quando poi il Conte, carico già di delitti, e bandito capitalmente venne ad abitare stabilmente il castello, che fu per lui un asilo ed un campo allo stesso tempo, per condurvi quella vita della quale abbiamo dato un cenno, è facile immaginarsi quale dovesse essere allora l'attività e l'obbedienza di coloro che stavano al suo servizio e presso a lui. La sciagurata fu madre di una figlia che a suo tempo fu sposata ad uno scherano del Conte, e di due figli che furono scherani, e furono soprannominati il Nato-in-casa e lo Spettinato. Alla morte del marito, ella rimase senza servizio determinato, ma destinata a tutti quelli, che potevano essere prestati da una donna accostumata com'ell'era. Tener disposto il pranzo pei bravi a qualunque ora tornassero da una spedizione, medicare i feriti, accudire insomma ad essi, era la sua occupazione più ordinaria: quasi tutte le sue idee erano ricavate dai loro colloquj; ma tutte erano dominate da una idea principale, quella di non dispiacere al padrone. Le impressioni della infanzia l'avevano abituata ad una riverenza tremante per lui, vissuta ai suoi servizj ella non poteva immaginare che fuori di lui vi potesse essere per essa un asilo, un sostegno; e aveva tanto inteso dire, tanto aveva veduto degli effetti della collera di lui, che il minimo grado di quella collera la metteva in un'angoscia mortale. In tutto ciò che ella aveva a fare e a dire non aveva quindi da gran tempo altra cura che di accontentarlo, ogni altra regola taceva dinanzi a questo unico interesse che era quasi divenuto un istinto: anzi ogni altra regola si era a poco a poco quasi smarrita affatto dalle sue idee. Quei pochi pensieri e documenti di religione che le erano stati dati confusamente nella infanzia erano obliterati dal disuso, dal non sentirli mai rammemorare; e l'idea di giusto e d'ingiusto che pure è deposta come un germe nel cuore di tutti gli uomini, svolta nel suo, fin dal principio insieme con le passioni del terrore e della cupidigia servile, accomodata per abito ai principj che tuttogiorno sentiva predicare, ed alle azioni che vedeva compiersi e alle quali ella partecipava, era divenuta una applicazione mostruosa di tutte queste idee e di tutte quelle passioni. La volontà capricciosa, irregolare, violenta del Conte era per lei una specie di giustizia fatale; spiacergli era colpa o sventura, male insomma. La ragione o il torto stavano per essa nella approvazione o nel malcontento del terribile padrone: poichè quale altro motivo di ragione comune poteva aver luogo in quella casa, e fra quelle persone? quale principio generale di equità avrebbe potuto essere invocato da coloro che non li riconoscevano nei rapporti con gli altri, che li violavano tutti? E come mai avrebbe potuto aver ragione una volta quella che servendo alle soperchierie, e rallegrandosene rinunziava di fatto ad ogni principio di diritto, e nello stesso tempo non aveva forza alcuna, non aveva una minaccia per sostenere un diritto quando il suo interesse la portasse a sentirlo e ad ammetterlo? A tutte queste abitudini di servitù, e di annegazione perversa, si aggiungeva un sentimento, in origine migliore, che li rinforzava; il sentimento della riconoscenza. Avvezza costei a ricevere il suo sostentamento dal Conte, riconosceva la vita come un dono della volontà di lui: come un beneficio della sua potenza. E avvezza pure a risguardarsi dalla infanzia come cosa del suo signore provava un certo orgoglio di consenso per quella sua potenza, pel terrore ch'egli incuteva, le pareva di essere qualche parte di un sistema molto importante. La gioja orrenda ch'ella aveva provata tante volte nella sua vita pel buon successo delle imprese del Conte, gioja che nasceva da tutti i sentimenti abituali che abbiamo descritti, l'avevano resa non indifferente, ma propensa ai patimenti altrui, ed ella gli procurava con compiacenza ogni volta che il timore del padrone le avesse permesso o consigliato di farlo. Bersaglio sovente degli strapazzi e degli scherni dei bravi, ella aveva imparato a tollerare, rodendosi quando non poteva ripetere; ma quelle poche volte che le era lecito di straziarli impunemente senza dispiacere del padrone, le uscivano dalla bocca cose tanto argute, tanto profonde, tanto inaspettate, che il diavolo vi avrebbe trovato da imparare. Intendete ora perchè la vecchia guardando Lucia, faceva saltare il fuso con istizza, e di tempo in tempo lo lasciava oscillare penzolone per aria, tutta assorta nei pensieri del terrore? Dagli ordini che il padrone le aveva dati partendo, e dal tuono con cui gli aveva proferiti, ella aveva compreso, che al padrone premeva quella ragazza, ch'egli l'aveva fatta pigliare e la riteneva chi sa perchè?, ma che voleva ch'ella fosse contenta. Vedendo ora che tutti i suoi tentativi per raddolcirla erano inutili, che la obbedienza, il garbo quasi servile, gl'inviti amichevoli non avevano servito a nulla, stava in angoscia pensando a quello che avrebbe detto il padrone, quando tornando avrebbe trovata Lucia in quello stato di abbattimento. Poter dire: – io non ci ho colpa – non era un pensiero che rassicurasse la vecchia, perchè ella era solita a vedere che il padrone misurava il suo tratto con gli uomini dalla soddisfazione o dalla noja che sentiva, e non da altro. Che colpa avevano tanti ch'egli aveva mandati all'altro mondo? e alla sorte dei quali ella stessa aveva applaudito? Tentava ella dunque di tempo in tempo Lucia con qualche parola dolce, nella quale a dir vero ella stessa poneva poca fiducia, dopo d'aver veduto Lucia resistere alla tentazione del mangiare: e in fatti non otteneva da Lucia altra risposta che un «no» talvolta replicato, al quale ella ammutoliva: e si stava come abbiam detto, aspettando con la venuta del padrone la rivelazione del destino. Ma la povera Lucia, come nella notte non aveva mai fatto un sonno pieno, intero, e per dirla con un calzante modo milanese non aveva mai potuto dormire serrato, così a giorno fatto, nella luce chiara, non era desta perfettamente. Le memorie, i terrori, le speranze si agitavano e si succedevano nella sua mente con quell'impeto volubile, con quel vigore incerto dei sogni, e il corpo sbattuto, estenuato dai travagli, dal digiuno e dalla febbre non concedeva allo spirito il pieno esercizio della coscienza. In questo stato era Lucia sempre rannicchiata, quando fu bussato dal Conte, la porta s'aperse, la vecchia uscì, e la buona donna entrò con Don Abbondio. Tutto questo fu un istante; ma un istante di nuovo batticuore per Lucia alla quale se lo stato presente era intollerabile, ogni mutazione era però una contingenza di spavento. Fissò ella gli occhi nei sopravvegnenti, vide una donna e si rincorò, vide un prete, e le sue speranze si accrebbero; guardò più attentamente: – è egli o non è? son'io trasognata? È il mio curato! – La buona donna si avvicinò a Lucia che senza quasi pensarvi si alzò, e salutatala con un volto di pietà cortese, si pose l'indice della destra su le labbra, e stesa la manca la abbassava e la rialzava lentamente come si dipinge il Salvatore che acquieta i flutti del mare di Tiberiade, e disse con voce sommessa, allegramente: «veniamo a liberarvi». «È dunque la Madonna che vi manda?» disse Lucia con un giubilo ancora incerto, ma pur vivissimo. 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