Fermo e Lucia di Alessandro Manzoni pagina 3

Testo di pubblico dominio

ammazzare o dar la mancia ad un birro, quegli era libero nelle sue operazioni, al sicuro delle gride, e in caso di rivolgerle anche contro gli altri quando i suoi mezzi privati non fossero stati bastanti. Accadeva a taluno di costoro di morire di morte violenta, di esser sbanditi, vivevano in continuo sospetto, che vuol dire, erano nella condizione di tutti i loro contemporanei. Quegli stessi che non avevano un animo provocatore ed ingiusto si trovavano come costretti di guardarsi e di stare sulle difese, il che teneva per dir così una quantità di forze sempre in presenza e dava a tutta la società un'aria di sospetto, di offesa. Ad ogni momento tutto era pronto, per venire alle mani. L'uomo che teme l'offesa e che vuole offendere, cerca compagni, quindi la tendenza universale a quei tempi di arruolarsi per dir così, in classi, in corpi, in maestranze, in confraternite. Alcune classi già anticamente costituite avevano anche per questa circostanza una forza preponderante e spaventosa, quindi gli altri per non trovarsi sempre individui contra una società, dovevano esser contenti di trovare un motivo per riunirsi, di avere deliberazioni, massime comuni, privilegi, e una bandiera, e di potere, quando fossero toccati, rivolgere le forze solidali di molti a loro difesa. Il clero era geloso sostenitore delle sue immunità, e come ad esso stava in gran parte il decidere fin dove giungessero, non si deve domandare se le estendesse fin dove potevano, e fin dove non potevano giungere. Che gli ecclesiastici vuoti di spirito sacerdotale, ambiziosi, violenti, avari riponessero tutta la religione in questa immunità non è da stupirsene, poichè è chiaro che è cosa molto comoda l'avere una scomunica da opporre ad una ragione, e cessare ogni pericolo con un privilegio d'inviolabilità indefinita. Ma quello che merita più considerazione si è come i buoni non cedessero ai tristi in questa specie di zelo, come uomini pii e d'una virtù molto superiore alla onestà, uomini certamente di alto ingegno, potessero combattere acremente, lungamente, mettere tutto a repentaglio per pretese, le quali non sembra che non possano conciliarsi col minimo grado di riflessione, e con un grano di buona fede. Per ispiegare questo fenomeno si dice che erano idee del tempo alle quali i migliori e più sinceri intelletti pagavano tributo come gli altri. Ma questa spiegazione non ha senso se non si trovano le cagioni per cui essi pure dovessero affezionarsi a queste idee, quando il loro amore per la verità, e la loro attitudine a trovarla dovevano condurli a scoprire il debole di queste idee. Le quali cagioni appariscono chiare a chi dà una occhiata allo stato della società in quei tempi. Tante erano le volontà d'impedire ogni esercizio delle facoltà le più legittime, d'inceppare ogni diritto, e queste volontà erano così potenti, che il clero non poteva concepire come avrebbe potuto agire a malgrado di esse, senza avere una forza propria. Quindi tribunali civili e criminali per assicurare ai suoi membri una giustizia imparziale o per opporre una parzialità ad un'altra, quindi minacce spirituali e temporali ad ogni attentato contro le persone o i beni del clero, quindi forza per eseguire le sue leggi etc. Malgrado queste immunità, le quali con nome non affatto improprio allora si chiamavano libertà, il Clero si trovava ad ogni istante inceppato da altre forze organizzate, non è quindi da maravigliarsi se i meno ambiziosi le credessero non solo necessarie, ma insufficenti, se cercassero di estenderle, se vedessero nella diminuzione di quelle, la diminuzione della religione stessa, e se gridassero altamente che chi le intaccava, voleva rendere impossibile l'esercizio della religione stessa. Tutto questo non è detto per provare che avessero ragione di pensare e di operare a quel modo, ma per ridurre il torto alla sua giusta misura, e per ricondurlo alle sue vere cagioni, e per riflettere che vi hanno degli inconvenienti che oltre il male diretto che fanno, ne producono dei grandissimi forzando quasi gli uomini a cercare dei rimedi che non sono nè ragionevoli, nè perfettamente onesti, e che oltre l'effetto per cui sono posti in opera ne producono molti altri impreveduti e pessimi. Abbondio non nobile, non ricco, non animoso, si era presto avveduto di essere nella società come il vaso di terra cotta in compagnia di molti vasi di bronzo sempre in movimento. Aveva quindi secondata assai lietamente la volontà dei suoi parenti che lo avevano avviato allo stato ecclesiastico. A dir vero il suo fine principale non era stato quello di servire agli altri col ministero. Egli aveva pensato a trovare un modo di vivere, e a porsi in una classe rispettata e forte, nella quale il debole fosse difeso dalle forze riunite degli altri. Ma non basta appartenere ad una classe per goderne tutti i vantaggi, come ognun sa: bisogna anche che l'individuo sappia dirizzare a suo uso il più che può delle forze che la sua società può mettere in opera, e non v'è organizzazione comune che dispensi l'individuo dal farsi un suo sistema particolare. Don Abbondio non poteva adottare un sistema nel quale fosse necessaria una qualunque parte di risoluzione, di attività, di resistenza, e altronde alla fin fine il pover'uomo non domandava altro che quiete, vivere e lasciar vivere, come si dice. Il suo sistema era dunque di evitare tutti i contrasti, e di cedere in quelli che non avesse potuto evitare. Se egli era assolutamente forzato a prender parte fra due contendenti, stava dalla parte più forte, procurando però di far vedere all'altro ch'egli non gli era volontariamente avverso, che potendo fare a suo modo sarebbe stato neutrale: pareva che gli dicesse: – Ma perchè non avete saputo essere il più forte? io sarei allora con voi. – Con queste arti il pover uomo era riuscito a poter giungere senza forti burrasche fino all'età di cinquant'anni. Ma il povero Don Abbondio non avrebbe voluto esser conscio a se stesso di esser mosso da principj bassi e da non confessarsi; e si era quindi fatto (come accade sempre) una dottrina sua propria, secondo la quale la sua condotta era ragionevole anzi la sola ragionevole e onesta. Quando poi si vide in virtù di questa sua buona condotta, bastantemente al coperto dalle offese altrui, pensò, come accade, ad attaccare, e divenne un rigido censore delle azioni e degli uomini che non tenevano la sua condotta, quando però questa sua censura potesse esercitarsi senza alcuno anche lontano pericolo. Chi era stato percosso e non era in caso di far vendetta era almeno almeno un imprudente, un ammazzato era certamente un torbido, e se non lasciava parenti irritati della sua morte, era un birbante; ma chi aveva commesso un omicidio poteva esser certo che Don Abbondio non gli avrebbe mai trovato un difetto. Quello poi che più gli dava collera era il vedere qualcuno dei suoi confratelli pigliare le parti di un debole, difenderlo contro una soperchieria. Questo chiamava egli un comprarsi le brighe a contanti, un volere addirizzare le gambe ai cani. I potenti, i ricchi, i facinorosi, i protettori, i protetti, insomma i vittoriosi d'ogni genere erano per lui uomini d'oro, e ne parlava sempre col mele alla bocca. E se qualche seccatore trovava da apporre ad alcuno di questi, mettendo il discorso sopra qualche grossa bricconeria commessa da alcuno di questi grandi galantuomini, Don Abbondio si metteva a declamare contro quel vizio di pretendere che gli uomini sieno perfetti. E quanto a quelli che avevano sofferto di quella bricconeria, egli sapeva trovar loro qualche torto, il che non è mai difficile, perchè tra lo scellerato e l'onesto, la ragione e il torto non si dividono mai con un taglio così netto che l'uno stia tutto da una parte, e l'altro tutto dall'altra. E sigillava sempre il discorso col suo assioma favorito, proferendo il quale rifletteva con compiacenza sopra di sè: e l'assioma era: che ad un galantuomo che vuol viver quieto, che sa stare nel fatto suo,

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Argomenti: povero don,    fine principale,    animo provocatore,    tendenza universale,    giustizia imparziale

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