Fermo e Lucia di Alessandro Manzoni pagina 132

Testo di pubblico dominio

arme appostati, altri che giravano in ronda a tre a quattro, tanto che Don Abbondio cominciò a scrollare il capo e a dire: «Che è questa faccenda?» Ma Perpetua gli spiegò tosto che quegli erano evidentemente uomini che vegliavano alla sicurezza del castello, e di quelli che, come si vedeva, andavano ivi a rifuggirsi. «Ohimè! ohimè!» disse Don Abbondio: «vedo che qui si voglion fare delle pazzie; appunto quando più si vorrebbe stare zitti, rannicchiati senza nè meno fiatare, farsi scorgere. Basta; vedremo: se fanno pazzie per tirarsi addosso la burrasca, dei monti ce n'è, e i precipizj non mi fanno paura: quando si tratti di salvare la pelle, ho coraggio anch'io quanto chi che sia, andrei in mezzo al fuoco.» Dette sotto voce queste parole Don Abbondio proseguiva lentamente, guardando con attenzione a quegli armati, e cercando di comporre il volto alla indifferenza, e di non lasciar trasparire il suo pensiero che diceva dentro: – Scommetterei che questo gradasso ha caro che sia venuto un flagello così orribile per avere il pretesto di fare un po' di rimescolamento. Oh che gente! Oh che gente! – Del resto le cose erano quivi come Perpetua le aveva immaginate. Al castello del Conte era rimasta unita una antica opinione di sicurezza e di potenza; e i nuovi costumi del signore ne avevano cancellata affatto l'idea di oppressione e di terrore; dimodochè la gente del contorno dalla banda del Milanese, vi accorreva come ad un asilo forte e pietoso nello stesso tempo. Il Conte lieto di esser un oggetto di fiducia a quei deboli che aveva tanto spaventati ed oppressi, raccolse tosto i primi che si presentarono. Ma un tal uomo non avrebbe potuto considerare la sua casa come un asilo disarmato, un nascondiglio di paura, nè starsi colle mani in mano quando ad ogni momento poteva presentarsi un'occasione di menarle santamente. Fece addirittura tirar giù dal solajo le armi irrugginite, le fece ripulire in fretta, ne distribuì ai servitori. Quindi a misura che accorrevano fuggiaschi, egli trasceglieva gli uomini capaci di portare le armi, dava loro moschetti e partigiane: quando la provvigione fu esaurita, ne fece raccogliere all'intorno: e scompartiva gli uficj a quei nuovi soldati; altri mandava in ronda, altri più lontano per esplorare, altri stavano raccolti per porsi in difesa. Quando uno era entrato nel castello, ed era passato in rivista dal signore, diveniva verso lui come un soldato col suo antico ufiziale: tanto il Conte possedeva quella forte risolutezza che piega le volontà, e quella parola che toglie il pensiero di fare diversamente da quello ch'ella suona. Aveva allogate le donne e i fanciulli nelle stanze più riposte; i letti erano pei vecchj, e per gl'infermi: una gran sala serviva di magazzino per le robe che erano portate su dai rifuggiti: tutto era collocato in ordine, con numeri, dei quali il corrispondente era dato ai padroni; ed alla porta della sala era posto come un corpo di guardia; chi aveva portate provvigioni, viveva di quelle, e i poveri erano nutriti dal Conte con razioni che si distribuivano regolarmente come in un campo. Egli, come l'Ariosto sognò di Carlo in Parigi, di qua di là, non istava mai fermo: dava ordini, visitava posti, metteva a luogo quelli che arrivavano, governava ogni cosa; e dove nascesse qualche garbuglio, qualche contesa, si mostrava, e tutto era finito. Era appunto su la porta quando giunsero i nostri pellegrini; gli riconobbe tutti e tre, e gli accolse tutti con pronta cordialità; ma alla madre di Lucia fece una accoglienza particolare nella quale traspariva come una gratitudine perchè ella gli desse ora una occasione di compensare alquanto in quello stesso castello la terribile ospitalità che vi aveva trovato la figlia. «Bene avete fatto, brava donna,» disse il Conte, «di cercare qui un ricovero. Bene avete fatto di ricordarvi di me: fate stima di esser in casa vostra. Voi ci portate la benedizione.» «Oh appunto!» rispose Agnese: «sono venuta a darle incomodo.» Il Conte le chiese con premura novelle di Lucia, e udite che le ebbe, si rivolse a Don Abbondio, e disse: «La ringrazio Signor curato ch'ella degni scegliere un asilo in questa casa.» – Manco male che conosce i suoi meriti – pensò Don Abbondio, e cominciò per rispondere: «In questi frangenti... in queste circostanze... non si... tutto è...» Ma vedendo che la frase così cominciata non poteva venire a bene, la convertì in un inchino profondo. «Son già arrivati alla sua parrocchia coloro?» domandò il Conte. «Dio liberi!» rispose Don Abbondio: «Dio liberi! Non sarei qui vivo e sano ad implorare la protezione del Signor Conte.» «Si faccia cuore,» ripigliò questi: «qua su non verranno; ma se volessero tentar la prova, siamo pronti a riceverli. In ogni caso la sua presenza è preziosa, Signor curato: ella potrà animare questa brava gente alla difesa della vita di tanti deboli, della pudicizia di tante donne che confidano in noi.» – Un corno, – disse fra sè Don Abbondio. «Ella potrà», proseguì il Conte, «assistere quelli fra noi che lasciassero la vita in questa impresa di misericordia.» «Signor Conte,» disse Don Abbondio, «sarà quel che Dio vorrà.» E così dicendo girava la testa a guardare qual fosse la più vicina e la più alta delle cime che dominavano il promontorio su cui era posto il castello, per fissarsi uno scampo dove in quel caso poter benedire i combattenti. Non rimaneva nel castello più che un letto libero; e fu dato, com'era giusto, a Don Abbondio prete e vecchio. Ma il Conte, memore della notte che Lucia aveva quivi passata, non avrebbe potuto sofferire che la madre di lei, dormisse su la paglia. Fece quindi portare il suo letto nel dormitorio delle donne, e disporlo quivi per Agnese, intimando ai servi che si guardassero bene dal dire che quello era il letto del padrone: e nella sua stanza fece in quella vece portare una bracciata di paglia. Quindici giorni circa passarono i nostri rifuggiti nel castello; quindici giorni di batticuore e di sospetto, di spauracchi subitanei, e di rincoranti non è vero, di vigilie, di allarmi, di pericoli, che grazie al cielo tutti svanirono senza danno. Il castello era fuor di strada, e quei pochi demonj di lanzichenecchi sbandati che capitavano alle falde del promontorio, veggendo su per la via uomini in arme, e non sapendo quanti più ve ne fosse in alto, più curiosi allora di preda che di battaglia, se ne tornavano, pel loro meglio. Oltracciò la parte dell'esercito che nella marcia si diffondeva lungo l'estremo confine aveva un interesse urgente di tenersi raccolta, e all'erta, e di non disperdersi troppo a buscare. Sull'altro confine era raccolta una forza dei Veneziani, la quale sotto il comando di Marco Giustiniani, provveditore all'armi in Bergamo era destinata a costeggiare l'esercito alemanno per tutto quel tratto del suo passaggio che toccasse i confini della Repubblica; e a questa forza avevano dato nome di Squadrone volante. Alla presenza di questi che certo non erano amici, e che vedendo un bel tratto, potevano far da nemici, bisognava camminare con giudizio; e questa fu principalmente la cagione per cui il castello non fu molestato. Ma anche questa che in fatto era salute, fu pel volgo inerme che vi era ricoverato, e per Don Abbondio principalmente un aumento d'inquietudine. Poichè, se il confine veneto fosse stato sguernito, Don Abbondio certamente l'avrebbe varcato, e sarebbe andato innanzi fino a che non avesse più inteso parlare di lanzichenecchi. Ma ora il poveretto non aveva più rifugio: l'accesso ai monti, oltre la fatica, era pieno di pericoli, pei predoni che potevano trovarsi su la via: e attraversare lo Squadrone volante sarebbe stato lo stesso che correre in bocca al lupo: giacchè quella era una marmaglia ragunaticcia d'uomini tagliati a un dipresso alla misura dei lanzichenecchi; e nel paese che le era dato a proteggere faceva il peggio che poteva. Ognuno può immaginarsi come il povero Don

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Argomenti: povero don,    asilo forte,    conte lieto,    forte risolutezza,    accoglienza particolare

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