Fermo e Lucia di Alessandro Manzoni pagina 105

Testo di pubblico dominio

perfezione l'arte di eludere gli editti, arte tanto più facile, quanto più gli editti sono assurdi. Costoro osservato lo stato delle cose, fatte le loro ragioni, trovarono che comperando il riso ad un prezzo molto maggiore dell'assegnato arbitrariamente si poteva fare ancor molto guadagno: offersero quel prezzo ai possessori, i quali non rispondevano di non aver riso da vendere a chi lo pagava più di quello che comandava la legge. Questi nuovi compratori, trovavano poi il modo di rivendere il riso a maggior prezzo agli stati vicini, dove non v'era tassa, o di conservarlo nascosto in onta degli editti: il modo consiste, come ognun sa, nello studiare non tanto la volontà unica donde è uscita la legge, quanto le volontà moltiplici, varie, più vicine che debbono eseguirla, e nel trovare i mezzi di eludere queste volontà, o di comperarne la complicità. Quello che si è detto del riso accadeva di tutti gli altri grani: come il possederli, il farne commercio, era un rischio dell'avere e della persona, un soggetto di terrore, un peso di sospetto pubblico, quasi un marchio d'infamia, così avvenne che questo commercio non fosse quasi più ricercato che dagli uomini i più esperti ad eludere il rischio, i più agguerriti contra l'odio e contra l'infamia; i quali sapevano come tutte queste cose, affrontate e sofferte con una certa sapienza particolare possono fruttare danari. La scarsità del frumento, e i mezzi posti in opera per renderlo più comune lo avevano fatto salire ad un prezzo esorbitante. Si vendeva cinquanta lire il moggio, se crediamo al Ripamonti allora vivente: settanta anzi ottanta se vogliamo stare al detto di Alessandro Tadino, medico riputatissimo di quei tempi che scrisse anch'egli (a dir vero con le gomita) una storia della peste, e della carestia che l'aveva preceduta. Ma supponendo anche esagerata l'asserzione di quest'ultimo, il prezzo attestato dal Ripamonti era tale da porre in angustia una gran parte della popolazione. I mali nei loro cominciamenti, producono nell'uomo, generalmente parlando, una irritazione più forte del dolore. Sclama egli da prima che i mali sono intollerabili, che sono giunti all'estremo, e tanto fa, tanto s'ingegna, tanto s'arrabatta, che coi suoi sforzi crea egli questo estremo che naturalmente non sarebbe arrivato: s'accorge allora che si può soffrire molto di più di quello ch'egli aveva creduto dapprima, ogni nuovo colpo gli rivela una nuova facoltà di patire e di accomodarsi, ch'egli non sospettava in se stesso; e salta per lo più dalla rabbia all'abbattimento senza aver toccata la rassegnazione. Per sua sventura il popolo milanese trovò in quella occasione l'uomo secondo i suoi desiderj, l'uomo che partecipava delle sue idee, e che assecondandole gli procurò una gioja corta e fallace, a cui doveva succedere, un nuovo dolore senza disinganno, un nuovo furore, l'ebbrezza del delitto, lo spavento delle pene, e quindi la tranquillità stupida della disperazione impotente. Il Governatore di Milano, Gonzalo Fernandez di Cordova, si trovava allora a campo sotto Casale per una guerra, atroce nella condotta, orrenda nelle conseguenze, e nata da certi pettegolezzi, dei quali parleremo più tardi e più laconicamente che sarà possibile. Nella sua assenza, governava lo stato il gran cancelliere Antonio Ferrer. Questi stordito dai richiami continui e crescenti del popolo, stordito dal vedere che tutti i provvedimenti già dati invece di togliere il male lo avevano accresciuto, non sapendo più che fare, e persuaso che qualche cosa bisognava pur fare, s'appigliò al partito di quelli che non veggono nelle cose reali un elemento ragionevole di determinazione: fece un'ipotesi. Suppose che il frumento si vendesse trentatrè lire il moggio, nè più nè meno. Ammessa l'ipotesi, tutte le cose si raddrizzavano, e correvano a verso. Il prezzo del pane si trovava proporzionato alle facoltà della massima parte, cessavano quindi i patimenti, le minacce, le angustie; era un altro vivere. Animato e rallegrato dallo spettacolo che la sua fantasia aveva creato, Antonio Ferrer, fece un altro passo: pensò che quel lieto vivere si sarebbe ricondotto, se si fosse potuto far discendere il pane al prezzo corrispondente a quel prezzo ipotetico del frumento. Procedendo col pensiero, trovò che un suo ordine poteva produrre questo effetto; e conchiuse che bisognava dar l'ordine. Il poveruomo non badò che cosa fosse conchiudere dal supposto al fatto, operare come se le cose fossero in un stato diverso da quello in cui erano: non pose mente a distinguere che quel tale prezzo moderato era un bene in quanto fosse stato conseguenza naturale della proporzione tra la ricerca, e la quantità esistente, ma non un bene per sè, e in ogni modo. Non pensò a niente di tutto questo: fece come una donna di mezza età che per ringiovinire alterasse la cifra della sua fede di battesimo. L'ordine fu dato, promulgato, ed eseguito. Ordini meno iniqui e meno insani avevano trovato nelle volontà, nella natura stessa delle cose, ostacoli invincibili, ed erano rimasti senza esecuzione, ma alla esecuzione di questo vegliava il popolo il quale come era ben naturale l'aveva accolto con un grido di esultazione; e vedendo finalmente esaudito e convertito in legge il suo desiderio, non sofferiva che fosse da burla. Il popolo accorse tosto ai forni a domandare il pane a quel prezzo legale, e lo domandò con quell'aria di risolutezza e di minaccia che danno la forza e la legge insieme unite. Se era naturale che il popolo esultasse, non lo era meno che strillassero i fornaj: un politico avrebbe potuto dire che quello era il caso di fare soffrire un picciol numero per sollevare e tranquillare una gran moltitudine: ma il male era che questo picciol numero era appunto quello che doveva, e che poteva solo dare in fatto quello che la legge comandava e prometteva in parole: e a produrre l'effetto non bastava che i fornaj avessero ricevuto un ordine preciso, non bastava che avessero molta paura, che fossero disposti a sopportare l'ultima rovina delle sostanze per salvare la persona: era necessario che potessero. Ora la cosa comandata era non solo dolorosa per essi, ma diveniva di giorno in giorno più difficile; ma doveva arrivare un momento in cui sarebbe stata impossibile. Il popolo stesso affrettava questo momento: quantunque gridasse risolutamente e tenesse confusamente che quel prezzo stabilito era equo, ragionevole, sentiva però anche confusamente che esso era come in guerra con tutto il resto delle cose, che era l'effetto d'una volontà e non della natura, e prevedeva pure confusamente che la cosa non avrebbe potuto andar così sempre, nè a lungo. Approfittava quindi del momento di baldoria, assediava continuamente i forni, come dice il Ripamonti, si affaccendava a carpire quel pane che gli era dato quasi da una ventura momentanea, e la sua pressa indiscreta gareggiava con la fretta e col travaglio dei fornaj. Così quella cieca moltitudine consumava improvidamente in poco tempo, e sparnazzava in parte la scarsa e preziosa provvigione la quale però doveva servirgli per tutto l'anno. I fornaj costretti ad affacchinare e a scalmanarsi per discapitare, ponevano in opera tutte le arti per far perder tempo ai chieditori di pane, senza irritarli all'estremo, adulteravano il pane con tutte quelle sostanze, che senza troppo lasciarsi distinguere, ne accrescessero il peso, e intanto non rifinivano di domandare che la legge fosse abrogata. Ma Antonio Ferrer stava immoto a tutti i richiami, come Enea agli scongiuri di Didone. Generalmente parlando è impresa delle più ardue quella di smuovere un uomo da una sua ipotesi: con meno fatica gli si farà rinnegare l'evidenza dei fatti, perchè finalmente l'evidenza l'ha trovata; ma l'ipotesi l'ha fatta egli; e l'ha fatta non per ozio nè per ispasso, ma per un gran bisogno che ne aveva, per uscire da un impaccio. Oltre questa cagione generale, si può supporre senza temerità che quell'uomo, benchè dagli effetti

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Argomenti: popolo milanese,    nuovo colpo,    nuovo dolore,    arte tanto,    sapienza particolare

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