Fermo e Lucia di Alessandro Manzoni pagina 23

Testo di pubblico dominio

che si scemasse alla polenta un concorrente, e il più formidabile. Tonio non domandò altro, e partì con Fermo. Giunti all'osteria del villaggio, seduti a tutto loro agio in una perfetta solitudine giacchè la miseria aveva fatti sparire tutti i frequentatori di quel luogo di delizie, fatto recare quel poco che si trovava, vuotato un boccale di vino, Fermo con aria di mistero disse a Tonio: «Se tu vuoi farmi un picciolo servizio; io posso e voglio farne uno grande a te.» «Parla, parla, comandami pure,» rispose Tonio, versandosi da bere, «oggi andrei nel fuoco per te.» «Tu sei in debito di venticinque lire col signor curato per fitto del suo campo che lavoravi l'anno passato.» «Tu sei sempre stato un martorello, Fermo: non sai che all'osteria non si fa menzione di debiti? Ecco, io mi sentiva una voglia che sarei andato nel fuoco per te, ma con questo discorso tu mi hai fatto passare tutta l'allegria, e quasi non ti son più obbligato.» «Se ti parlo del debito,» rispose Fermo «è per darti il mezzo di soddisfarlo. Eh! non ti farebbe piacere? saresti contento?» «Contento? per diana se sarei contento. Non pel curato vedi: ma per togliermi la seccatura: se la faccenda continua così non potrò più andare alla Chiesa: non mi vede una volta che non me ne gitti un motto, o almeno almeno non mi faccia un cenno con quella sua brutta cera. E poi e poi, egli si tiene in pegno la collana d'oro di mia moglie; e prevedo che quest'inverno se l'avessi, la cangerei in tanta polenta; non in vino,» e qui fece un sospiro, «in polenta. Ma...» «Ma, ma; se tu mi vuoi rendere un servizio, io ti darò le venticinque lire.» «Il servizio è fatto» rispose Tonio; «non fa nemmeno bisogno che tu mi dica che cosa è.» Fermo, gli fece promettere sul bicchiere il segreto, e continuò: «Tu sai che io sono promesso a Lucia Zarella. Il curato mi va cercando cento scuse magre per tirare in lungo: io vorrei spicciarmi. Mi hanno mò detto che presentandomi al curato con due testimonj, e dicendo io: questa è mia moglie, e Lucia: questo è mio marito, il matrimonio è bell'e fatto. M'hai tu inteso?» «Tu vuoi ch'io venga per testimonio?» «Appunto.» «Il matrimonio è fatto, è fatto,» rispose Tonio baldanzosamente, versandosi un altro bicchiere di vino. «Così vi fossero molti tribolati come te, e in caso di spendere venticinque lire.» «Ma bisogna che tu mi trovi un altro testimonio.» «Bisogna che lo trovi io ah? io perchè son più destro di te. Bene è trovato. Quel martoraccio di mio fratello Gervaso, farà quello che gli dirò io: basta che tu mi dia tanto ch'io gli possa pagar da bere; perchè, a questo mondo, niente per niente: è un proverbio che lo sa anche Gervaso, lo sanno anche quelli che non sanno dire il Credo.» «Farò di più,» disse Fermo, «lo condurremo qui a stare allegro con noi.» «Benone» rispose Tonio. Fermo pagò lo scotto, ed uscirono quindi entrambi pieni di speranza; Fermo avvisò il compagno che si tenesse pronto per l'indomani sull'imbrunire; gli raccomandò di nuovo il segreto, quindi si avviò alla casa di Lucia, e Tonio alla sua cantando ad alta voce, come non aveva più fatto da molti mesi. Ma in questo frattempo Agnese aveva penato in vano a persuadere Lucia. In tutto il tempo del desinare (il quale non era grazie a Dio più scarso dell'ordinario, perchè tanto le donne, quanto Fermo erano dei più agiati del contorno) e dopo quando le furono ritornate all'aspo, Agnese pose in opera tutta la sua eloquenza, ma invano. Lucia rispondeva sempre con un dilemma senza però saperlo presentare in forma: «O si può fare,» diceva, «e perchè non dirlo al padre Cristoforo? o non si può fare, e non si deve fare.» Non già che questo rifiuto non fosse più amaro a Lucia che lo proferiva che alla madre; ma Lucia non avrebbe voluto per nulla al mondo far contra la sua coscienza. «Abbiamo bisogno più che mai,» diceva ancora, «dell'ajuto di Dio, e se facciamo ciò che non istà bene, come lo potremo sperare?» Così spesero tutto quel tempo in argomentazioni; e uno che le avesse intese disputare, e tornar da capo ognuna a ripetere le stesse ragioni, avrebbe potuto credere che la fosse controversia fra due dotti, piuttosto che disputa fra due donnicciuole. Fermo giunse che si disputava tuttavia. Ma Agnese, alla quale allora premeva più di sapere che di parlare, «ebbene Fermo,» disse, «avete trovato il bandolo? Dite, vediamo un po'.» Fermo snocciolò tutto il disegno; e terminò con un «ahn!» interiezione milanese la quale significa: sono o non sono un uomo? si poteva trovar di meglio? ve lo sareste aspettato? e cento altre cose simili. Agnese crollò il capo, e disse: «non avete pensato a tutto». «Che ci manca?» rispose Fermo, punto, e spaventato nello stesso tempo. «E Perpetua?» gridò Agnese; «e Perpetua? non avete pensato a Perpetua. Come volete ch'ella vi lasci entrare dal curato? Pensate s'ella non avrà ordini severissimi di tenervi lontani più che un ragazzo da una pianta di pomi maturi. Come farete ad ingannare Perpetua?» «Povero me! non ci ho pensato, io.» «Sentite, se non ci fosse altra difficoltà, a Perpetua ci penso io,» rispose Agnese, la quale giacchè l'iniziativa gli era stata tolta, era almeno contenta di mostrare che era necessaria la sua sanzione. «Ecco come la cosa si dovrebbe fare. Sull'imbrunire, capite bene che quella è l'ora giusta, Tonio va alla porta del curato, picchia, viene Perpetua, Tonio le dice di avvertire il curato ch'egli è lì per pagare. Voi altri due intanto vi apparecchiate dietro l'angolo della casa a man sinistra. Quando Perpetua torna per aprire a Tonio, io mi trovo sulla porta, e quando Perpetua ha detto a Tonio: – andate su –, io mi mostro a Perpetua, la chiamo, e le dico queste parole magiche: – ho da parlarvi di quel tale affare. – Con quest'amo vedete io la tiro con me dalla destra fin dove voglio; ma basterà che io l'allontani tanto che voi possiate pian pianino introdurvi nella porta lasciata aperta da Tonio, e tenergli dietro pian pianino per le scale, e poi fermarvi nella stanza vicina a quella dove sarà il curato, ed essergli addosso poi nel momento opportuno.» Agnese chiuse il discorso alla sua volta con un «ahn?» prolungato in aria di trionfo, levando il mento, ed avanzando la faccia verso Fermo. «Benedetta voi...!» «Mah!» interruppe Agnese: «tutto questo serve poco, perchè Lucia si ostina a dire che è peccato.» Fermo pos'egli pure in campo la sua eloquenza: fece mille interpellazioni a Lucia, e rispose sempre egli per mostrare che i dubbj di essa erano vani: ma Lucia fu inconcussa. «Sentite,» diss'ella, «fin qui abbiamo fatto tutto col timor di Dio; proseguiamo a questo modo, e Dio ci ajuterà. Io non capisco tutte queste vostre ragioni: vedo che per far questa cosa bisogna camminare a forza di bugie, di nascondigli. No no Fermo: io voglio esser vostra, ma colla fronte scoperta, il bandolo lo troverà la provvidenza.» La disputa, come era da supporsi, divenne generale. Fermo insisteva rimproverando Lucia di poco amore, e ripetendo i suoi argomenti con una forza e una amarezza sempre crescente: Lucia addolorata, tenera, ma ferma li ribatteva singhiozzando, ed Agnese predicava all'una, dava sulla voce all'altro secondo l'occasione. Tutt'ad un tratto, un calpestio affrettato di sandali, e un romore di tonaca sbattuta, somigliante a quello che produce in una vela allentata il soffio ripetuto del vento, annunziò il Padre Cristoforo. Si fece silenzio, e Agnese ebbe appena il tempo d'imporre sotto voce a Lucia di non dir parola del disegno contrastato. cap. 7 Il Padre Cristoforo arrivava nell'attitudine d'un buon generale, il quale, perduta, senza sua colpa, una battaglia importante, afflitto ma non iscorato, soprappensiero, ma non istordito, a corsa e non in fuga, si porta ove il bisogno lo chiede, a premunire i luoghi che potrebbero esser minacciati, a dare ordini, disposizioni, avvertimenti. «La pace sia con voi,»

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Argomenti: interiezione milanese

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