Fermo e Lucia di Alessandro Manzoni pagina 143

Testo di pubblico dominio

in parrocchie e in capitoli, con varie divise; quindi fra lo splendore di folti ceri, e tra un nembo incessante d'incenso, portata da quattro canonici, l'arca dove giacevano le reliquie invocate di San Carlo. Dai cristalli che chiudevano i lati traspariva il corpo coperto di splendidi abiti pontificali, e il teschio mitrato, in cui fra lo squallore delle vuote occhiaje, del ringhio spolpato, delle forme mutilate, della cute abbronzata, aggrinzata su l'ossa, traluceva ancora qualche vestigio della faccia antica, esplorato con angosciosa venerazione dai vecchj che avevano veduto vivo il santo pastore. Gli altri cercavano di raffigurare in quelle reliquie una immagine più presente e più reale di quella faccia che dalla infanzia avevano osservata e venerata nelle imitazioni dell'arte. Dietro le spoglie del morto pastore, veniva il suo cugino ed imitatore Federigo, consunto egli pure e pallido di vecchiezza, di penitenza, e di accoramento, in quell'aspetto di compunzione che nessuna ipocrisia può contraffare, poichè è l'effetto involontario d'un sentimento che non conosce i modi pei quali si esprime. Le affezioni temporali pel parente, appena si facevano sentire in quell'animo, assorbite dalla riverenza del santo, e dalla invocazione all'intercessore; il nome comune, tutte le memorie dei tempi vissuti insieme, si perdevano nella fede: non era più che un vescovo che pregava l'uomo vivente presso Dio perchè pregasse pel suo popolo. Colui che aveva cercato di stornare quella cerimonia, vi portava ora forse l'animo il più fervente: le ragioni che l'avevano renduto ritroso ad approvare una risoluzione imprudente non venivano ora a distrarre con ricordi superbi e dispettosi la sua mente dall'intento ragionevole e santo di quella risoluzione: il culto, e la preghiera. Perchè, egli era di quei pochi che adoperano le loro ragioni sol tanto quanto possono sperare di ottenere con esse una utile persuasione; avuto o disperato questo intento non le vanno più rivangando con un inquieto brontolamento: rodersi, o insuperbirsi d'essere stati saggi indarno, non pare ad essi un esercizio ragionevole dell'intelletto; far vedere, e far confessare agli altri che essi avevano meglio pensato di loro, non pare ad essi uno scopo. Certo anche quei pochi sono soggetti all'errore; ma di quanto scemerebbero in numero gli errori, e quanto meno sarebbero funesti nell'effetto quegli che rimarrebbero, se tutti gli uomini osservassero le cose con una mente disinteressata d'orgoglio. Dopo l'arcivescovo venivano i magistrati, e i nobili, quali rivestiti di ricche divise, come a dimostrazione solenne di culto, quali in segno di penitenza a piè nudo, coperti di sacco coi cappucci rovesciati sul volto, forati come a finestra dinanzi agli occhi, e cadenti in acuta punta sul petto. Quindi ancora un'altra gran frotta di popolo; e alla coda i vecchj stanchi, le donne rimaste addietro coi fanciulli, gli attratti, i zoppi, i deboli; molti ritardati dal fermento della peste che già covavano senza saperlo, o senza volerlo sapere, e che toglieva loro a grado a grado le forze. La processione sboccata dalla porta maggiore del Duomo, s'incamminò per la via de' cappellaj, al crocicchio detto il Bottonuto, dove allora era una croce, e quindi con un giro interno, toccando tutti i quartieri, e sostando a tutti i crocicchj dove erano allora le croci, alcune delle quali rimangono tuttavia, tornò al Duomo per la piazza dei mercanti. Tutta la via era adombrata da una striscia perpetua di tele, sostenuta da pali e da correnti composti come a pergolato; i pali rivestiti di rami frondosi tagliati di fresco; e tra gl'intervalli, drappelloni di varie stoffe rannodati e pendenti; le pareti tutte coperte di tappeti, di strati, di quadri; i davanzali delle finestre ornati di fiori o a mazzi, o vegetanti nei vasi, e di arredi antichi, o preziosi, e da per tutto ceri ardenti che restituivano la luce esclusa da quei folti adornamenti. Fra tanta pompa si vedevano alle finestre molti di quei poveri sequestrati, alcuni scarnati, e coi segni della morte in volto, tendere a stento le braccia supplichevoli all'arca che passava. Da quelle case usciva un ronzio di voci che accompagnavano gli inni dei passeggeri; e di tratto in tratto un risalto di gemiti, uno sclamar di preghiere che terminavano in singhiozzi ed in guaj. Nè alle finestre soltanto, ma sui tetti delle case vicine e soprastanti si vedevano di quegli spettatori ai quali non era stato concesso di mescersi alla supplicazione comune; e sur alcuni tetti si distinguevano all'abito drappelli di monache ivi tirate dalla curiosità e dalla divozione. Gli altri quartieri della città deserti, muti, se non dove giungeva a poco a poco il mormorio della processione che passava non lontano, e pure a poco a poco diveniva più fievole, e moriva. Quegli abitanti tendevano l'orecchio appoggiati alle finestre, o sollevati sul letto mortale; per distinguere il suono della preghiera nella quale erano ricordati anch'essi, quasi per udire in quel muto abbandono un romore che gli assicurasse che altri pure viveva e si moveva in quella città di cui non vedevano che la solitudine. La processione tornò al duomo dopo un giro di dodici ore. L'arca rimase esposta sull'altare maggiore del duomo per otto giorni. Il tristo presagio del Cardinal Federigo non tardò ad avverarsi. Prima della processione le case chiuse erano intorno a cinquecento; pochi giorni dopo, si notavano quelle dove il contagio non fosse entrato. V'era due mille persone nel lazzeretto; in breve crebbero a dodici mila: non bastando le stanze e i portici, furono in fretta, costruite capanne di legno nel vasto ricinto: nè quelle pure bastando furono eretti tre altri lazzeretti in diversi punti fuora delle mura della città. La mortalità comune che era prima di cento trenta persone alla giornata, per rapidi salti venne a mille ottocento. Due fosse erano state scavate pei cadaveri, ampie, si diceva, enormi, quasi per lusso di previdenza; sperando che in giorni non lontani, lieti per un gran timore cessato, quella stessa terra, che ne era stata cavata servirebbe in gran parte a ricolmarle: ma i cadaveri deposti, poi ammucchiati, poi gettati a fascio, venivano rapidamente adeguandosi al terreno: convenne scavarne cinque altre. La cagione d'un così subito e portentoso aumento del male fu data a voce di popolo agli untori: si disse con asseveranza, e si ripetè con furore, che quegli uomini congiurati allo sterminio della città, prendendo il destro della processione, che l'aveva posta tutta unita per così dire in loro balìa, avevano unti in quel giorno quanti avevano potuto, e sparso tutto il cammino di polveri venefiche, per le quali il contagio s'era appiccato alle vesti, ai piedi scalzi, anche alle scarpe dei divoti e inavvertiti pellegrinanti. L'opinione delle unzioni che fino allora non aveva prodotta che una vaga inquietudine, e ciarle, dopo questo, ch'ella prendeva per un gran fatto, cominciò a partorire ben altri effetti. Due principali furono distinti, e notati dal Ripamonti, uomo, che in molti punti liberandosi, e segregandosi dalla opinione publica dei suoi tempi, volse la mira delle sue osservazioni alle cose appunto che nessuno, o quasi nessuno avvertiva, esaminò quella opinione stessa, mutò sovente i termini della questione, fu solo a discernere e a dire molte verità, e fece intendere che molte ancora ne dissimulava, molte ne indeboliva per non irritare il giudizio pubblico, il quale, come traspare chiaramente dalla sua storia, gli faceva una gran paura e una gran compassione nel tempo stesso. Un effetto fu che i magistrati, tutti i potenti, ingolfati in ispeculazioni politiche, divagati e avviluppati colla mente nei segreti delle corti, per arzigogolare quale dei principi, quale dei re stranieri potesse essere il capo della trama, non pensavano a quello che era da provvedersi nelle urgenti congiunture della peste; e spaventati poi dalla vastità supposta, e dalla oscurità stessa delle insidie

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Argomenti: sol tanto,    nembo incessante,    risoluzione imprudente,    esercizio ragionevole,    dimostrazione solenne

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