Fermo e Lucia di Alessandro Manzoni pagina 129

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il suo consenso impossessarsi di feudi dell'impero la successione ai quali era rivendicata da altri. Richiedeva quindi che il possesso degli stati fosse depositato presso di lui, finch'egli gli aggiudicasse per sentenza, e citò il Duca di Nevers con tutte le formalità allora in uso. V'erano poi altre pretensioni secondarie e più intralciate che passiamo sotto silenzio per non annojare il lettore, il quale comincia forse a mormorare; e certamente non saprà abbastanza apprezzare la fatica che facciamo per ristringere in brevi parole tutta questa parte di storia. Il Duca d'Olivares, istigato continuamente dal Cordova governatore di Milano, strinse un trattato col Duca di Savoja contra il novello Duca di Mantova. Questi si pose sulla difesa, si venne alle mani, Carlo Emmanuele invase il Monferrato, e Cordova pose l'assedio a Casale. Il Duca di Mantova stretto da due nemici potenti invocava gli amici; ma i Veneziani non volevano muoversi se il re di Francia non mandava un esercito in Italia, e il re di Francia o il Card. di Richelieu, era impegnato nell'assedio della Rocella. Presa questa, parati o vinti certi intrighi imbrogliatissimi di Corte, il re e il cardinale s'affacciarono all'Italia con un esercito, chiesero il passo al Duca di Savoja; si trattò, non si conchiuse, si venne alle mani, i Francesi superarono, e acquistarono terreno, si trattò di nuovo, il passo fu accordato, il re e il Cardinale s'avanzarono, trassero agli accordi il Cordova spaventato, gli fecero levare l'assedio di Casale, vi posero guernigione francese, e tornarono a casa trionfanti, e accompagnati da due sonetti dell'Achillini. Il primo, quello che comincia col famoso verso: Sudate o fochi a preparar metalli, è tutto di lode; l'altro è di consiglio; perchè la poesia ha sempre avuto questo nobile privilegio di ravvolgere avvisi sapientissimi, e insegnamenti reconditi negli idoli lusinghieri della fantasia, e nella magica armonia dei numeri. L'Achillini consigliava il re di Francia vincitore della Rocella e liberatore di Casale di tentare l'impresa del Santo Sepolcro, nè più nè meno. Però il Cardinale di Richelieu non ne fece nulla: convien dire che avesse altro in testa. Ma i Veneziani che allo scendere dei Francesi, s'erano dichiarati e mossi, istavano per legati e per lettere presso il Cardinale perchè l'esercito da lui condotto non tornasse indietro, e adducevano mille ragioni per provare che non era da far conto su quei trattati; ma il Cardinale badò alla prosa dei Veneziani come ai versi dell'Achillini. La guerra continuò infatti contra il Duca di Mantova. Questi aveva fatte e andava facendo tutte le sommessioni immaginabili all'imperatore affine di placarlo, e di piegarlo ad accordargli l'investitura. Ma Ferdinando stava fermo in esigere che i Ducati fossero a lui ceduti in deposito; e irritato dalle ripulse del duca più che ammansato dalle sue riverenze; irritato di più dell'aver questi domandato il soccorso francese, stimolato dalla corte di Madrid, si dichiarò anch'egli nemico del Duca di Mantova. L'esercito Alemanno di circa trentasei mila uomini, ragunato sotto il comando del Conte di Colalto, ebbe ordine di portarsi all'impresa di Mantova: la vanguardia che già da qualche tempo aveva occupato ostilmente il paese de' Grigioni, si diffuse per la Valtellina, e ai 20 di settembre entrò nello Stato di Milano. La milizia a quei tempi era ancora in molte parti d'Europa composta in gran parte di venturieri che si ponevano al soldo di condottieri di professione, i quali andavano poi coi loro drappelli al servizio di questo o di quel principe. Oltre le paghe sulle quali non era da fare assegnamento certo, quello che determinava gli uomini ad arruolarsi era la speranza del saccheggio e tutte le vaghezze della licenza. Disciplina generale non v'era in un esercito, nè avrebbe potuto conciliarsi con le varie autorità private dei condottieri: e questi, prima di tutto non si curavano di mantenere una disciplina particolare nei loro reggimenti, perchè non avevano per questa parte responsabilità verso nessuno; e quand'anche alcuno di essi a cose pari avesse pur desiderato di contenere i suoi soldati in un qualche rispetto per le proprietà e per le persone degli abitanti, questo disegno sarebbe stato per lo più o contrario ai suoi interessi, o superiore alle sue forze. Perchè soldati di quella sorte o si sarebbero rivoltati, o avrebbero tosto deserte le bandiere di un comandante nemico della violenza e del saccheggio. Oltre di che siccome i principi nel comperare i soldati pensavano più ad averne in gran numero per assicurare le imprese, che a proporzionare il numero alla loro facoltà di pagare, la quale era ordinariamente molto scarsa, così le paghe erano per lo più ritardate e mancanti; e le spoglie dei paesi dove passava l'esercito divenivano come un supplemento tacitamente convenuto degli stipendj. Quindi i soldati di quel tempo e per le tendenze che gli avevano tratti a scegliere quella professione, e per le abitudini di essa erano come una collezione di tutte le nequizie che può dare la natura umana nel suo maggior grado di pervertimento. Ma quelli che allora scendevano nel Milanese erano poi il più bel fiore di quella farina; erano in gran parte gli stessi che guidati dall'atroce Wallenstein avevano poco prima desolata la Germania, in quelle guerre, tanto impropriamente chiamate di religione, poichè queste stesse masnade che avevano combattuto per la parte che pretestava di sostenere la religione cattolica erano composte in parte di Luterani. L'annunzio della venuta di costoro portò il terrore nei distretti per dove avevano a passare: nelle altre parti si diceva: «povera gente! stanno freschi: chi sa come gli acconciano coloro! vedrete che non lasceranno loro altro che gli occhi per piangere; sia lodato Dio che non passeranno per di qua». Ma chi sapeva che quell'esercito portava la peste con sè, e l'aveva già disseminata nei luoghi dove aveva stanziato, sentiva qualche cosa di più che una fredda pietà per altrui. La maggior parte però degli abitanti del Milanese o non lo voleva credere, o non se ne curava, o con quella fiducia senza motivi così strana, e così comune, diceva: «Poh! che ha da venire la peste da noi?» Colico sulle rive del lago di Como presso alla foce dell'Adda, fu la prima terra che toccarono quei demonj; e, dopo d'averla messa a sacco l'arsero addirittura, se per rabbia di non avervi trovato abbastanza bottino, o pel diletto di fare una baldoria, non si sa. Di là, senza curarsi d'itinerario nè di poste assegnate, ma guardando solo dove fosse più da sperarsi bottino, si gettarono sopra Bellano, lieto paese sulle falde d'un monte e alla riva del lago. Gli abitanti ammoniti dall'esempio recente e dalla prossima ruina avevano o nascoste sotterra, o trasportate in fretta sui monti le cose più preziose, e le più facili a trasportarsi; e molti di essi s'erano appiattati lassù, abbandonando le case. Con tanto più di furore v'entrarono quelle masnade, e delle cose lasciate, presero tutto ciò che poteva loro servire e sperperarono ed arsero il resto, mobili, botti, travi. Quegli che erano rimasti colla speranza di preservare i loro averi, ne videro la distruzione, videro l'abominevole sfrenatezza, e per sopra più soggiacquero agli strapazzi, alle percosse e alle ferite. Nè i campi all'intorno furono risparmiati; la vendemmia, somma speranza dei terrazzani in quell'anno calamitoso sparve in un momento, coll'uve furono sterpate le viti, gli alberi abbattuti col frutto, molti casali incendiati. Appena cessavano di farsi udire le trombe che avevan sonata la partenza d'un reggimento, un nuovo squillo dall'altra parte annunziava terribilmente l'arrivo di altra simile, anzi peggiore brigata. I sopravvegnenti, trovando la distruzione dove avrebbero voluto portarla, si vendicavano su le cose e su le persone che capitavano loro alle mani, come di un furto che fosse stato loro fatto: e tanta cupidigia frustrata tornava

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Argomenti: novello duca,    nobile privilegio,    disciplina generale,    disciplina particolare,    lieto paese

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