Fermo e Lucia di Alessandro Manzoni pagina 148

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col capo rotto è il curato... Fate a modo mio, tornate dove siete stato finora.» «Basta,» disse Fermo: «non mi aspettava da lei più soccorso di quello che mi abbia avuto. Io non intendo tutti questi suoi discorsi; ma poi che ella non ha altri consigli da darmi, si contenti ch'io faccia a modo mio.» «No, Fermo, per amor del cielo, non mi fate un marrone: non mettete in imbroglio me e voi. Abbiate compassione d'un pover uomo che ha bisogno di quiete; e sarebbe giusto finalmente che la godesse. Quello che ho patito io, vedete, non lo ha patito nessuno. Ne ho passate d'ogni sorte: spaventi, crepacuori, fatiche: è venuta la carestia, e m'è toccato di veder persone morirmi di fame su gli occhi. Ho dovuto fuggire di casa, e nessuno mi volle ajutare; ho trovato cuori duri come selci; e i soldati m'hanno sperperato ogni cosa. E sono stato... e ho dovuto... e basta... sono stato ricoverato da un degno signore... basta so io quello che ho patito. E poi la peste! ho dovuto assistere agli appestati... e... ne ho avute io delle cure, sa il cielo! ma l'ho presa anch'io, e son qui vittima della mia carità: d'allora in poi non son più quello. Perpetua è morta, mi ha abbandonato in questi guaj; e mi tocca servirmi da me povero vecchio e malandato, come sono. Ecco che appena cominciava a star bene, e voi venite per darmi nuovi travagli...» «Signor curato,» disse Fermo, «io le desidero ogni bene; e del travaglio ella ne può bene aver dato a me, ma non io a lei, in fede mia. La spia ella non me la vorrà fare; del resto io mi rimetto nelle mani di Dio. Attenda a guarir bene, signor curato.» «Sentite, sentite,» continuava Don Abbondio, ma Fermo aveva già fatta una riverenza di risoluto congedo, e camminava verso la casetta di Lucia. – Oh povero me! questo vi mancava! – continuò a borbottare fra sè Don Abbondio, ritirandosi dalla finestra. – Povero me! Se costui va a Milano, se trova Lucia, se tornano alle loro antiche pretese, ecco rinnovato l'imbroglio. Un cardinale che dirà: «voglio che si faccia il matrimonio», un signore che dice: «non voglio»: ed io tra l'incudine e il martello. Basta... – disse poi soffiando dopo d'avere alquanto pensato –... muore tanta gente... che dovessero rimanere al mondo tutti quelli che si divertono a mettere le pulci nell'orecchio di me pover uomo! – Intanto Fermo arrivò alla casetta d'Agnese, la quale casetta, se il lettore se ne ricorda, era fuori del villaggio, solitaria. Alla vista di quel luogo una nuova tempesta sorse nel cuore di Fermo; diede egli un gran sospiro, e bussò. «Chi è là?» gridò da dentro la voce d'Agnese: «state lontano; non bazzicate intorno alla porta; verrò a parlarvi dalla finestra.» «Sono io», rispose Fermo; ma Agnese, non aspettando a basso la risposta aveva fatte in fretta le scale, e apriva la finestra. «Son io; mi conoscete?» disse ancor Fermo, quando la vide. «Oh Madonna santissima!» sclamò Agnese: «voi!» «Io,» rispose Fermo; «sono il benvenuto?» «Oh figliuolo!» sclamò di nuovo Agnese, «quanto vi avrei desiderato se non avessi avuto paura per voi! Ma ora che venite voi a fare?» «A saper nuove di Lucia, e di voi,» rispose Fermo. «A vedere se tutti si sono scordati di me. Che n'è di Lucia?» «Figliuolo, sono mesi che non ne ho notizia: prima di quel tempo ella stava bene di salute; ma ora chi può sapere...?» «Io andrò a vedere, io vi porterò nuova di vostra figlia,» disse Fermo risolutamente. «Voi?» disse Agnese: «ma e... mi capite. Basta...» «Volete aprirmi e parleremo più liberamente?» «E la peste, figliuolo?» «Grazie al cielo ella non ha ammazzato me, ed io ho ammazzato lei, e son sano e salvo come mi vedete. Aprite con sicurezza.» «Scendo ad aprire,» rispose Agnese; «oh con quanta consolazione v'avrei riveduto. Ma ora, bisogna ch'io vi preghi di starmi lontano.» «Come vorrete,» rispose Fermo. «State ad aspettarmi nel mezzo della strada; quando aprirò, non vi affacciate alla porta; lasciatemi rientrare, poi entrerete, e vi porrete in un angolo lontano da me, e ci parleremo; le parole non hanno bisogno di toccarsi. Oh quante cose ho da dirvi!» «Ed io a voi,» rispose Fermo. Agnese calò in fretta le scale, giunta alla porta, avvisò ancora Fermo che stesse discosto, aprì, rientrò fino in fondo alla stanza; Fermo entrò pure, prese un trespolo, lo portò in un angolo, vi si pose a sedere, guardando intorno, ricordandosi di tanti momenti passati in quel luogo, e sospirando; Agnese andò a richiuder la porta, e venne a sedersi nell'angolo opposto. E subito cominciò come una sfida d'inchieste. «Come vi siete fidato di venir da queste parti?» «Perchè Lucia non mi ha mai risposto?» «Come avete potuto fuggire?» «E perchè non venire dove io era in sicuro, piuttosto che mandarmi denari?» «Chi v'ha strascinato in quei garbugli?» «Quanto tempo Lucia è stata in quello spavento? e come è andata propriamente la cosa?» Fatte le prime interrogazioni più pressanti ognuno cominciò a rispondere brevemente a quelle del compagno. Fermo finalmente pregò Agnese ch'ella raccontasse per disteso tutta la sua storia, promettendo di soddisfarla egli poi della propria. Così Fermo conobbe per la prima volta daddovero le triste vicende di Lucia, e l'esito inaspettato. Tremò, fremè, impallidì cento volte a quel racconto; ora diede dei pugni all'aria, ed ora giunse le mani in atto di ringraziamento; maledisse la Signora, benedisse il Cardinale, diede maledizioni e benedizioni al Conte del Sagrato, invocò ora la vendetta, ora il perdono del cielo sopra Don Rodrigo. Ma un punto rimaneva tuttavia oscuro, nè Agnese sapeva dilucidarlo. Perchè non è venuta con me? con me suo promesso? con me che doveva, che poteva divenir suo marito? che ostacolo v'era più? non sarebbero mancati che i denari; e il cielo gli aveva mandati. Agnese non seppe dire, se non ciò ch'ella aveva pur pensato: che Lucia fosse rimasta tanto stordita e sgomentata da quegli orribili accidenti, che non le rimanesse più forza da voler nulla, e fosse disgustata d'ogni cosa. «Oh! andrò io a saperlo da lei,» disse Fermo, «voglio vederne l'acqua chiara. Ella era mia; mi si era promessa; io non ho fatto niente per demeritarla; e se non mi vuol più...» e qui avrebbe pianto se gli uomini non si vergognassero di piangere, «se non mi vuol più; me lo ha a dire di sua propria bocca; e mi deve dire il perchè.» Agnese cercò di racconsolarlo, e lo chiese della sua storia, che Fermo le narrò sinceramente. Questa storia fece molto piacere ad Agnese, e le rimise Fermo nell'antico buon concetto. «Voleva ben dire io!» sclamava ella di tratto in tratto. «Se sapeste come la raccontavano qui, in cento maniere l'una peggio dell'altra. Ma voi non me l'avete mai fatta scrivere ben chiara.» «E voi, madonna,» disse Fermo, «non mi avete mai data soddisfazione sopra quello che io voleva sapere.» «Basta,» disse Agnese, «lodato Dio che abbiam potuto parlarci una volta; valgon più quattro parole sincere di due ignoranti che tutti gli scarabocchj di questi sapienti. Ma voi come vi fidate di andare a Milano, dove vi hanno tanto cercato, dove...?» «Chi mi conoscerà?» rispose Fermo, «non m'hanno visto che un momento; e il nome... ne piglierò un altro; non ci vuol gran lettera per questo; e poi chi volete che pensi a me ora? Hanno da pensare alla peste. Sono tutti in confusione. Muojono come le mosche, a quel che si dice... Ah! pur che viva Lucia!» «Dio lo voglia!» sclamò Agnese; «e lo vorrà, io spero. Quella poveretta innocente ha tanto patito! Dio gli conterà tutto quel male, per salvarla ora. Ah! Fermo, io ho buona speranza; andate pure; mi sento tutta riconfortata dell'avervi veduto. Sento una voce che mi dice che i guaj sono alla fine; e che passeremo ancora insieme dei buoni momenti.» Fermo chiese del Padre Cristoforo, e Agnese non le seppe dir altro se non ch'egli era a Palermo che è un sito lontano, lontano, di là dal mare. Scontento, e

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Argomenti: quattro parole,    angolo lontano

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