Fermo e Lucia di Alessandro Manzoni pagina 91

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l'aveva così vilipesa e indebolita nello stesso tempo. L'iniquità era conosciuta, e perdendo un protettore terribile, aveva acquistato un nemico pur terribile: un Cardinale, un santo, un nobile, uno che aveva mezzi di persuasione, di forza, di autorità, di aderenze. Quella poi che rinforzava l'effetto di tutte queste considerazioni, era la notizia sparsa che il Cardinale veniva a visitare anche quella parrocchia, che si fermerebbe qualche tempo nei contorni, che ci sarebbe folla d'uomini condotti dallo stesso sentimento pio, avverso alla ingiustizia. E già si diceva che il castellano di Lecco, quello Spagnuolo di cui il podestà aveva tanta stima, si disponeva ad incontrare il Cardinale, in gran pompa, coi suoi soldati: tutta la forza, tutto lo splendore era per la pietà e per la giustizia. Ognuno pensava che gli scellerati avrebbero dovuto convertirsi come il Conte, o perdersi d'animo, e fuggire. Don Rodrigo, dopo una breve esitazione, prese quest'ultimo partito. La violenza quando è assistita dalla fortuna, ama a mostrarsi, ella ha con sè come un argomento della sua bontà, o della sua ragionevolezza, poichè ottiene il suo intento; ma quando è abbandonata dalla fortuna, quando non valgono altri argomenti che quelli del diritto, del senso universale della giustizia, che le mancano, quando appare non solo come ingiustizia, ma come sbaglio, allora la violenza vorrebbe nascondersi anche a se stessa. Don Rodrigo pensava che cosa mai avrebbe potuto fare di conveniente, che stesse bene in quei giorni, e non trovava nulla, nemmeno un soggetto di discorso con chi venisse a visitarlo. E d'altra parte s'immaginava bene che nessuno sarebbe venuto. Quei signori che lo avevano adulato fin allora, si sarebbero allora avveduti ch'egli era un ribaldo, il podestà doveva in quei momenti far dimenticare le sue relazioni con l'uomo che avrebbe dovuto reprimere e punire; al più il dottor Duplica, il quale non voleva mai inimicarsi senza speranza un signore, sarebbe stato quei giorni a poltrire in letto, per potergli dire un giorno che una malattia gli aveva tolto il bene di ossequiare il Signor Don Rodrigo. Questi non vedeva così distintamente tutte queste disposizioni, ma le sentiva confusamente come per istinto. D'altra parte, come condursi col Cardinale? Tutti i signori del contorno sarebbero andati a visitarlo, ed egli rimanersi solo a casa? Che direbbe lo Zio del consiglio segreto? Andare dinanzi al Cardinale, egli? gran Dio! Ordinò dunque che tutto si apparecchiasse pel ritorno in città, e al più presto. Quando la carrozza fu pronta, vi fece salire tre bravi: il Griso come il più terribile fu posto alla vanguardia sulla serpe, tutto armato; al resto della famiglia fu dato ordine di venire a Milano l'indomani, e si partì. Dopo i primi passi Don Rodrigo vide coi suoi occhi, la via piena di viandanti che andavano in folla a Maggianico, altri per vedere il Cardinale, per assistere alla solennità: giovani, vecchi, benestanti, e poveri in quantità che sapevano di non tornare con le mani vuote. Guardò alla sfuggita, e conobbe in un punto su tanti volti quale era il sentimento universale per lui: fremette, si promise di vendicarsi, ma s'accorse che la menoma dimostrazione in quel momento poteva far nascere una guerra della quale l'evento finale non sarebbe stato dubbio: dissimulò dunque, ritirò la testa nella carrozza, guardò i suoi bravi, e lesse sui loro volti pallidi il desiderio di esser fuori di quella processione e lontani dal paese. Sentì un romore dietro, stette in silenzio tendendo l'orecchio, e comprese ch'erano urli e fischi. Allora mormorò fra i denti: – vorrei che il Griso avesse giudizio, che non mi facesse scene –. Avrebbe voluto dare al Griso questo consiglio della paura, ma la paura gli comandava di non muoversi, di non farsi vedere; e stette in quella ansietà inoperosa fino a che la carrozza, giunta al punto dove la strada si divideva, imboccò quella che conduceva a Milano, e si separò dalla folla che traeva a Maggianico. Don Rodrigo e i suoi scherani respirarono allora dallo spavento; ma i pensieri che rimasero a Don Rodrigo non furono molto più sereni. Il cocchiere sferzò i cavalli per allontanarsi al più presto, e tutti i viaggiatori, senza dir motto, lo lodarono in cuore, e si rallegrarono, sentendo che la carrozza andava celeremente, senza impedimenti in una strada solitaria. Buon viaggio! Intanto il buon Federigo attendeva in Maggianico a spicciare le faccende e a celebrare le funzioni solite della visita. Il Conte del Sagrato era venuto quivi di buon mattino con la folla, e dopo il Cardinale era egli il personaggio che traeva a sè tutti gli sguardi. I terrazzani e i concorsi si avvicinavano a lui per curiosità e per interesse, e si ritraevano per una antica abitudine di spavento; ma visto poi il curato che passando su la piazza, e accorto del Conte gli si accostò, e si fermò a salutarlo cordialmente, più rassicurati si ravvicinavano ancora, come una troppa di pulcini ombrosi non avvezzi ancora a conoscere la massaja fuggono in confusione al suo comparire, poi vedendola tranquilla senz'atto di minaccia, e vedendo la chiocchia alla quale si riparavano, andarle vicino senza sospetto, le tengono dietro, e tornano, però non senza esitazione, all'oggetto che gli aveva spaventati. Federigo aveva dato ordine che appena giunto il Conte gli fosse annunziato, e lo accolse nei primi momenti di riposo. Frattanto egli e Lucia erano il soggetto di tutti i discorsi: i paesani di quella chiedevano avidamente notizie della ultima storia della poveretta, e raccontavano in cambio le sue prime vicende. Questi discorsi furono riferiti al Cardinale, che fu lieto assai della partenza di Don Rodrigo; e si fermò sempre più nel disegno di far tornare Lucia alla sua casa per avvisare poi ivi ai mezzi di porla per sempre in sicuro. Prima di partire da Maggianico pregò egli il curato di portarsi a Chiuso, e di far sapere a Lucia ch'egli pensava a lei, e che stesse di buon animo. Dopo due, tre o quattro giorni spesi dal Cardinale nella visita di altrettante Chiese (questa indeterminazione è nel manoscritto); venne la volta di Don Abbondio; il quale non dico che desiderasse questa visita; ma se l'aspettava. Quando si seppe che sul vespro di quel giorno il Cardinale arriverebbe al paese, coloro che erano rimasti a casa (giacchè una gran parte del popolo andava quotidianamente dov'egli si trovava) si suscitarono e ragunati si mossero per andargli incontro. Don Abbondio era stato quei dì un po' malato; giacchè credo di avere accennato altrove, che la sua salute era soggetta ad alterazioni improvvise quanto quella d'un diplomatico: ma in quel giorno dovette risolversi di star bene; si pose alla testa di quella folla, e andò sulla via per la quale Federigo doveva venire. Non erano ancora molto distanti dal paese quando si cominciò a vedere l'altra folla che veniva, e a distinguere la lettiga e il corteggio a cavallo; l'incontro e l'accompagnamento si avvicinarono, i due romori si mischiarono, le due turbe si trasfusero in una, e nel mezzo si trovò la lettiga ferma del Cardinale, e Don Abbondio allo sportello a fare il suo complimento. Nelle accoglienze e nelle risposte di Federigo cercò il nostro scaltrito Don Abbondio di scrutinare se Lucia avesse chiaccherato qualche cosa del matrimonio: ma invano: la sincerità ponderata di Federigo rendeva il suo volto impenetrabile come avrebbe potuto fare la più imperturbata dissimulazione. Nella sua lunga e affaccendata carriera aveva egli da gran tempo imparato con quella scienza sperimentale che fa sapere e sentire, e conoscere le cose, delle quali si aveva prima soltanto la formola, aveva dico imparato che le relazioni d'una parte sola non mettono mai chi le ascolta in caso di dare un giudizio, che la parte la quale parla la prima o maliziosamente o senza volerlo altera sempre gli elementi necessarj di questo giudizio: di modo che, se uno da questa prima relazione riceve una

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Argomenti: senso universale,    sentimento universale,    volto impenetrabile,    scienza sperimentale

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