Fermo e Lucia di Alessandro Manzoni pagina 110

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pauroso, non ponno sostenerne la vista, la vicinanza, e vanno a rimpiattarsi, se è possibile, dove non ne giunga nemmeno il mormorio. Ve n'ha altri, i quali sentono un orrore egualmente forte, ma che non li confonde, che non toglie anzi cresce loro l'attività. Il tumulto è per essi un nemico terribile, di cui vanno in cerca, per opprimerlo, o per ammansarlo: accorrono dove la confusione è più bollente, il brulicame più fitto: non si curano o dimenticano in quel momento da che parte sia la ragione e il torto, dimenticano il proprio pericolo, e non hanno altro di mira che di frastornare le risoluzioni feroci, d'impedire delitti: sono del partito degli oppressi e dei minacciati, quali essi sieno; difenderli, salvarli, trafugarli, reprimere i violenti, acquetare le cose è il loro scopo. Di questa specie d'uomini molto rispettabile erano coloro che abbiamo accennati: l'oggetto dei loro sforzi era di stornare la carnificina preparata al Vicario di Provvisione: sentirono essi tosto che la venuta e la proposta di Ferrer era un mezzo potente alla loro mira, anzi l'unico, al punto in cui erano le cose, e tutti, come d'accordo, fecero tutto il possibile, per cavare ogni vantaggio da quell'incidente avventurato. Ripetevano e spargevano le parole del gran cancelliere, vi aggiungevano i commenti e le interpretazioni che erano più accomodate alle idee ed alle passioni della moltitudine, gridavano quelle parole che potevano diventare un grido universale, e comandare le azioni: lodavano, e dirigevano quegli che erano già inclinati alla moderazione, ammonivano con dolcezza gli ostinati, o gli svergognavano anche minacciosamente dove gli ostinati erano in minor numero, e la forza e il favore erano per la moderazione. I loro sforzi non furono inutili, e poco a poco apparve manifestamente che la moderazione aveva il maggior numero di partigiani. «Giustizia», e «Ferrer!» erano le due parole che più risuonavano tra il clamore vario e indisciplinato. Alcuni tra i guastatori avevano già deposti gli stromenti di distruzione, e ristavano dall'impresa. «State quieti! aspettate! viene Ferrer a metterlo in prigione,» si gridava da mille parti a quegli che proseguivano a dar colpi alla porta e al muro. Alcuni aggiungendo i fatti al consiglio, cercavano di toglier loro di mano le leve e i martelli, e le travi: quindi una lotta tra gli uni e gli altri che ritardò la presa della fortezza, e diede tempo al soccorso di arrivare. Ferrer si volse al cocchiere e gli disse in fretta, sotto voce ma distintamente: ... Poi continuando a rivolgersi al popolo: «Signori,» diceva: «un poco di passaggio, vedo... capisco... sono angustiati... in cortesia... sì signori... pane, abbondanza... in prigione, lo condurrò io, in castello...» «Passo! passo a Ferrer!» «Vogliamo impiccarlo noi, il vicario! è un birbone!» «No no: in prigione! giustizia!» Intanto il cocchiere, imitando anch'egli la condotta del padrone, sorrideva alla moltitudine, e con una grazia delicatissima moveva la frusta a destra e a manca per accennare a quelli che erano dinanzi ai cavalli che si ritirassero un poco sui lati: alcuni si ritiravano volontariamente, e quei bene intenzionati che abbiam detto, posti nel mezzo rimovevano gli altri poco a poco, e la carrozza dava qualche passo. Ferrer andava sempre ripetendo le stesse frasi, talvolta dicendo le parole che soddisfacessero alle grida che sentiva più distintamente. «Giustizia, m'impegno io, vengo a pigliarlo prigione: è giusto: il re nostro signore vuole che si castighino quelli che fanno del male ai suoi fedelissimi vassalli... a questi bravi galantuomini: largo di grazia: gli faremo il processo: giustizia pronta: pane a buon mercato: abbondanza! abbondanza!» Così passo, passo, la carrozza giunse dinanzi alla casa, su la porta, e si fermò. Quivi era il punto difficile, il momento sommo dell'impresa: ma il nostro Ferrer era un valente in quel giorno, e doveva uscirne vincitore. cap. 7 In un disegno qualunque o di pensiero o di azione (quando sia di quei disegni che hanno a riuscire) dopo superati alcuni ostacoli, dopo avute certe arre di buon successo, giunge un momento in cui le idee diventano più sicure e più vigorose, la cosa appare più fattibile, il già fatto conforta, e indica nello stesso tempo quello che resta a farsi, la probabilità di ottenere lo scopo ne rinnova il desiderio che la vista degli ostacoli aveva indebolito, e lo spirito acquista quasi una placida sveltezza, una risoluzione pronta che governa gli avvenimenti. Il disegno di salvare un uomo debb'essere uno di quelli che danno in sommo grado all'animo di chi l'ha conceputo e lo sta eseguendo questa alacrità, questo vigore intenso, questa gioja crescente. La morte e lo scampo, le angosce estreme, e un sollievo inaspettato, i tormenti, e il riposo, un cadavero sfigurato in cui nulla più appare che l'insulto fatto all'immagine di Dio, e l'aspetto d'un vivente che si ricompone alla speranza, alla vita, alla riconoscenza, debbono essere incessantemente presenti a quell'animo, fargli sentire vivamente che l'una delle due sta per avverarsi; intendere tutte le sue potenze a fare che il bene s'avveri, e sia cessato lo spaventoso irreparabile. La porta, quando la carrozza vi si fermò, era in uno stato miserabile: i gangheri in parte scassati fuori del muro, le imposte scheggiate, ammaccate, forzate nel mezzo e scombaciate l'una dall'altra, lasciavano tra loro una fessura dalla quale si vedeva un pezzo di catenaccio torto e quasi divelto con gli anelli, che teneva ancora insieme quelle imposte, a un di presso come già Romolo Augustolo teneva insieme l'impero d'occidente. Dinanzi a questa porta si tenzonava tuttavia tra quelli che volevano abbatterla ed entrare di forza, e gli altri che volevano ch'ella fosse aperta soltanto al gran cancelliere. L'arrivo di questo, attestando in certo modo l'assenso della folla alla sua missione, e facendone vedere il compimento probabile e vicino, sconcerto i disegni violenti dei primi, i quali finalmente si rimasero. «Giustizia! giustizia!» si gridava. «Giustizia,» rispondeva Ferrer, «in castello, in prigione.» Uno di quegli amici della quiete si avvicinò allo sportello, e disse al gran cancelliere: «Faccia presto, e con coraggio, chè siamo qui molti galantuomini a darle ajuto.» «Bravi,» rispose Ferrer: «fate far largo, statemi intorno, e fate in modo che la porta s'apra tosto, e ch'io entri solo.» «Lasci fare,» rispose quello, e intanto egli ed i suoi compagni rispinsero i furibondi, e occuparono tutto lo spazio fra la carrozza e la porta, si divisero quindi a rispingere e a contenere a destra e a sinistra la folla, e lasciarono così una picciola piazzetta tra la carrozza e la porta. Uno di essi intanto s'era posto alla fessura, e procurava di fare intendere a quei di dentro che quegli che parlava era un amico, che era giunto un soccorso, il gran cancelliere, che si aprisse o si finisse di aprire la porta: che il Vicario stesse pronto per entrare in carrozza ed esser salvo. Quei di dentro intesero, respirarono, e risposero che aprirebbero; e che si correva a cercare il padrone. Un altro aperse lo sportello della carrozza, e il vecchio Ferrer, in gran toga discese. Da una parte e dall'altra gli affollati stavano in punta di piedi per vederlo, mille facce, mille barbe s'alzavano per sopravanzare quegli che erano davanti. Il momento di curiosità e di attenzione generale produsse un momento di generale silenzio. Ferrer appoggiato a due benevoli pose piede sul predellino, e quivi fermatosi un momento, e dato uno sguardo a destra e a sinistra, come da una bigoncia, salutò la moltitudine, indi posta la destra al petto gridò: «Avrete pane quanto ne vorrete: lo prometto io: vengo a far giustizia, vengo a prenderlo prigione:» e a queste ultime parole, stese la destra in atto severo verso la porta di quella casa, come accennando che veniva a portarle un rigoroso giudizio, e pose piede in terra fra le acclamazioni che

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Argomenti: due parole,    clamore vario,    momento sommo,    compimento probabile,    attenzione generale

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