Fermo e Lucia di Alessandro Manzoni pagina 163

Testo di pubblico dominio

sopraggiunsero tosto ansanti; e due che portavano un morto lo gittarono sul carro, dicendo un d'essi: «mettetelo bene in fondo costui, che non torni a cavallo, a farci tribolare». «Che diavolo è stato,» disse più d'uno di quei carrettieri. «Il diavolo,» rispose il monatto, «l'aveva in corpo costui: è andato su e giù finch'ebbe fiato: se durava ancora, faceva crepare il cavallo: ma è crepato egli, e allora per amore o per forza ha dovuto scendere.» Il Padre Cristoforo, rivolto allora a Lucia le disse: «ricordatevi di pregare per questa povera anima voi, e vostro marito, per tutta la vita, e di far pregare i vostri figliuoli, se Dio ve ne concede. Tornate alla vostra compagna. Iddio sia sempre con voi.» Dette queste parole, prese in fretta il viale, per andarsene alla sua stazione; Lucia, compunta di quella separazione, e atterrita dallo spettacolo, tornò a capo basso e col petto ansante alla sua capanna; e Don Rodrigo su la cima d'un tristo mucchio, fra lo strepito e le bestemmie, usciva dal lazzeretto per andarsene alla fossa. Usciamone una volta anche noi; e teniam dietro a Fermo, il quale alloggiò la notte come potè, il giorno seguente benchè la pioggia venisse a secchie si rimise in cammino, e si condusse fin presso al suo paese, dove giunse il terzo dì, molle, affaticato, sciupato, ma pure più lieto che non fosse stato da un gran pezzo. Il rivedersi di lui e d'Agnese, la gioja di questa alle novelle che gli eran date, sono di quelle cose che i narratori passano in silenzio, nel supposto ragionevole, che il lettore se le può immaginare. Con Don Abbondio le cose non furono così chiare. Prima di tutto egli si fece pregare alquanto prima di aprire la porta a Fermo; anzi non vi si ridusse che allorquando la voce di questo gli parve un po' alterata, e le parole tinte un po' di minaccia. Apertogli, lo accolse con quella cera che un uomo imbrattato di debiti mostra ad un creditore che vorrebbe sapere mille miglia lontano, ma che pure non vorrebbe irritare al segno che quegli gli desse un libello. «Siete qui voi!» disse Don Abbondio. «Son qui,» rispose Fermo, «grazie a Dio, e sono ad avvertirla che presto sarà qui anche Lucia Mondella, con la quale ella avrebbe dovuto sposarmi, è un anno e dieci mesi, e con la quale ora ella mi sposerà. Meglio tardi che mai.» «Oh santo Dio benedetto!» sclamò Don Abbondio. «Signor curato,» ripigliò Fermo: «quel signore che diede tanto fastidio a noi poveretti ed anche a lei, non ne darà più a nessuno.» «Che vuol dire?» chiese Don Abbondio. «Vuol dire,» rispose Fermo, «che Don Rodrigo a quest'ora debb'esser all'altro mondo.» «Chi lo dice? chi lo dice?» «Lo dico io,» rispose Fermo, «che l'ho veduto al Lazzeretto, col male addosso, acconciato pel dì delle feste, che faceva pietà.» «Eh figliuolo! si guarisce, si guarisce dalla peste. Siam guariti anche noi.» «Le dico, che a quest'ora sarà morto sicuro.» – Se fosse la vacca d'un pover'uomo, – disse Don Abbondio fra sè e sè. «Basta,» soggiunse Fermo con quel tuono risoluto che spiaceva tanto al suo ascoltatore; «basta, quel che è stato, è stato, ma finalmente quel che si doveva fare prima s'ha a fare ora, e si farà.» «Ma un parere, un parere d'amico,» disse con una amabile modestia Don Abbondio, «non ha da potervelo dare un vecchio, che vi vuol bene?» «Che parere?» «Con quella cattura che avete su le spalle, compatitemi, non vi conviene star qui: maritatevi altrove; e Dio vi benedica.» «Le torno a dire che nessuno pensa nè alla cattura, nè a me: ho girato il mondo, e so anch'io che impicci porta, e che tempo domanda il maritarsi lontano da casa sua: qui abbiamo le nostre case, qui si può concluder tutto in un momento, senza impicci; basta che ella voglia; e le dico io ch'ella vorrà.» «Ma figliuolo, ma figliuolo...» «La riverisco,» rispose il figliuolo, e lasciando Don Abbondio in quei pensieri che il lettore conosce, gli volse le spalle; e se ne andò a Bergamo a disporre le sue faccende, e la casa per la sposa. Questa frattanto, guarita la vedova, era uscita con essa dal lazzeretto, il quale di giorno in giorno si andava spopolando. Perchè come abbiamo accennato, dopo quella dirotta, il contagio mollò, come suol dirsi, repentinamente; e così venne a cessare la trista trasmigrazione della cittadinanza al lazzeretto; quei che v'erano, in poco tempo morirono, o risanarono. La vedova trovò la sua casa intatta, v'entrò con Lucia: ivi stettero insieme a fare un po' di quarantena; deposero ed arsero i panni della malattia; il fondaco somministrò la materia dei nuovi vestimenti: e la vedova attenendo quello che aveva promesso al padre Cristoforo volle ad ogni costo provvedere Lucia d'un bel fornimento d'abiti, con tutto il lusso contadinesco; e vi lavorarono insieme per tutto quel tempo che stettero rinchiuse. Il giorno stesso dell'arrivo in casa, la vedova per servire alle giuste premure della sua ospite mandò ai capuccini a chieder conto del Padre Cristoforo. Come il lettore l'avrà indovinato, il nostro buono e caro amico, era morto al lazzeretto. Lasceremo pure che il lettore s'immagini il dolore di Lucia; e senza più perderci in lungaggini, diremo che un bel giorno ella giunse alla sua casetta, in compagnia della vedova, in una delle più belle carrozze che usassero i mercanti d'allora. In quel frattempo, il contagio era cessato quasi da pertutto, e tutte le precauzioni erano dismesse. Agnese non istette dunque alla lontana dalla figlia, come aveva fatto con Fermo, ma le gettò le braccia al collo, e fece tosto una grande amicizia con la vedova. Fermo che era tornato e che stava quivi aspettando l'arrivo desiderato, si trovava in casa d'Agnese in quel momento. Le accoglienze, il tripudio di tutti non è da dirsi, e i discorsi, i racconti non sono da ripetersi: son cose che il lettore in parte sa, in parte può immaginarsi. Il giorno seguente, andarono tutti e quattro da Don Abbondio, il quale al tocco della porta accorse alla finestra, e veduta quella brigata, scese gemendo, e grattandosi in capo, ad aprire. Le accoglienze furon fredde, e imbarazzate: e a dir vero faceva proprio rabbia a vedere quella faccia svogliata e soffusa per dir così d'un mal umore e d'una stizza repressa, in mezzo a tanti aspetti allegri. Ma Fermo che conosceva il male del pover uomo, gli amministrò tosto la medicina con queste parole: «Quel signore è poi morto davvero.» Don Abbondio non si abbandonò alla gioja da spensierato, ma volle sapere con che fondamento si affermasse una tale... notizia. «L'ho veduto io pur troppo,» disse Lucia, raccapricciando ancora al ricordarsene. Don Abbondio volle sentire il racconto, si fece ripetere molte circostanze, e quando fu ben certo che Don Rodrigo era veramente passato all'altra vita, mise un gran respiro, i suoi occhi s'animarono, tutti i lineamenti del suo volto si spiegarono come un fiore che sbuccia al raggio di primavera. «È morto!» sclamò egli: «Oh provvidenza! provvidenza! Ecco se Domeneddio arriva certa gente. È morto senza successione, per un giusto giudizio, e anche per un gran benefizio della provvidenza; perchè se colui avesse lasciato gente della sua razza, bisognerebbe dire: è morto un buon cavaliere: peccato! un degno gentiluomo. Così, si può finalmente dire il suo cuore. Ah! Non c'è più quel burbero, quel soperchiatore, quello spaventacchio. Questa pestilenza è stata un flagello, figliuoli, un flagello; ma è stata anche una scopa: ha spazzato via certa gente, che, figliuoli miei, non ce ne liberavamo più: birboni, freschi, verdi, vigorosi, che sperare di far loro le esequie, sarebbe stata una prosunzione peccaminosa; si sarebbe detto che il prete destinato ad asperger loro la cassa stava ancora facendo i latinucci; e in un batter d'occhio sono iti: requiescant. Ah! ... Ma, che facciamo noi qui,» soggiunse poi, come ravvedendosi, «qui in piedi, in questo andito? venite figliuoli, venite nella mia saletta; venga signora mia,

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Argomenti: capo basso,    grande amicizia,    tanto fastidio,    santo dio,    amabile modestia

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