Fermo e Lucia di Alessandro Manzoni pagina 69

Testo di pubblico dominio

o ebbrezza di scelleraggine, poco distante dal paese, in riva al Lambro, una dopo l'altra le trafisse con un pugnale, gittando l'una nel Lambro, e l'altra in un pozzo rasciutto ed abbandonato nei campi. Ma le ferite non furono mortali, ed entrambe le donne furono salve per diversi eventi e rinvenute, e riposte a guarire in un altro monastero del borgo. La Signora all'annunzio di tali atrocità, tutta, tutto ad un tratto si mutò; rivolse in orrore di se stessa, in pentimento, in dolore ineffabile, in lagrime inesauste tutto quell'impeto di furore; e da quel momento fino al suo ultimo respiro non si stancò mai di espiare almeno ciò che non poteva più riparare. Il Cardinale ch'ella chiamò poi il suo liberatore, dovette porre un freno ai rigori ch'ella esercitava contra se stessa; la visitò da poi e la consolò sovente. Pagò egli poi sempre le spese del suo mantenimento, perchè i parenti, come se col rifiutare quella sventurata avessero potuto scuotersi da dosso la colpa che avevano nella sua rovina, non vollero più udirne parlare. Le due compagne la imitarono nella penitenza. Ma il miserabile pervertitore di tutte, bandito nella testa, dopo d'avere errato qua e là, cangiato più volte d'abiti, e di nome, chiese asilo in città ad un amico, che lo accolse; ma come amico d'un tale uomo, o per timore, o per ottener grazia di qualche altro delitto, lo fece uccidere in un sotterraneo della casa, e presentò la sua testa al giudice, come era prescritto dagli ordini di quel tempo, i quali nel caso dei banditi costituivano carnefice ogni cittadino, e offerivano o danari, o impunità per altri delitti in mercede all'assassinio. Lucia uscì nella via, e s'incamminò con grande attenzione, con gran riserbo, con un gran battito al cuore, tutta raccolta in sè, studiando la strada, con le indicazioni che aveva avute, e con la memoria che le restava della strada già fatta. Giunse così all'uscita del borgo (perchè il convento dov'ella s'avviava era al di fuori in picciola distanza): riconobbe la porta per dov'era entrata la prima volta, e prese a sinistra la via che l'era stata insegnata. Tutte le strade del Milanese erano a quel tempo anguste tortuose, e nel pian paese profonde e come quivi si dice invallate, a guisa di un letto di fiume, fra due rive di campi alte non di rado un uomo, e orlate di piante che intrecciate al pedale di rovi, di biancospini, e di pruni riunivano in alto i rami loro in volta dall'una all'altra parte: e tali sono ancora in gran parte le strade comunali. Quando Lucia si trovò soletta in una strada simile, si pentì quasi di essersi tanto rischiata, e studiò il passo per giunger presto, proponendo fermamente di non ritornar dal convento a casa senza una qualche scorta. Ma voltato uno di quei tanti andirivieni, vide una carrozza da viaggio ferma nel mezzo della via, e fuori della carrozza innanzi allo sportello che era aperto due uomini che guardavano su e giù per la via come incerti del cammino: e per quella presunzione comune che coloro i quali vanno in carrozza sieno galantuomini, Lucia si sentì tutta rincorata, e le parve d'aver trovata una salvaguardia alla metà appunto del cammino, nel luogo più lontano dall'abitato, e dove il bisogno era più grande. Continuò adunque più animosamente a camminare; e quando fu presso alla carrozza tanto che si potessero distinguer le parole, intese uno di quelli che stavano al di fuori dire con una pronunzia e con un linguaggio che lo fece conoscere a Lucia per bergamasco: «Ecco una buona donna che c'insegnerà la strada.» Giunta a paro della carrozza, quel medesimo le si volse con un atto più cortese che non fosse la sua faccia, e le disse: «buona giovane sapreste voi insegnarci la strada di Monza?» Mentre costui parlava, l'altro s'era posto dinanzi a Lucia in modo da sbarrarle la via, ma come un uomo che sta per udire: «Loro signori», rispose Lucia, «sono voltati a rovescio: Monza è per di qua» (alzando la mano e stendendo il pollice al disopra della spalla): «girino la carrozza, e vadano per questa strada, e saranno a Monza in poco più d'un miserere.» Così detto, voleva continuare il suo cammino, e s'avvicinava alla riva per passare senza urtare quel forastiero che stava lì ritto come un termine, e senza dirgli che facesse largo, cosa che alla nostra povera forese sarebbe sembrata troppo famigliare. «Un momento,» disse colui che le aveva già parlato, ritenendola dolcemente: «noi siamo ben impacciati in queste strade dell'altro mondo: non potreste voi farci la cortesia di salire in carrozza con noi, e d'insegnarci la strada fino a Monza?» «Signori miei,» disse Lucia arrossando, e maravigliandosi della proposta, «io ho fretta d'andare pei fatti miei; vadano per di qua, e non possono fallire.» «Voi siete bene schifa,» rispose il malandrino, e mentre egli proferiva queste poche parole, l'altro che era nella via, afferrò d'improvviso Lucia pei fianchi, la sollevò, e con l'ajuto del compagno la pose a forza nella carrozza, dove fu tosto presa, ritenuta, posta a sedere da due che vi erano: il malandrino che aveva parlato la seguì, l'altro chiuse lo sportello, e il cocchiere sferzò i cavalli, e la carrozza partì di galoppo. Lucia al sentirsi presa levò un grido, lo raddoppiò quando si sentì alzata e ficcata nella carrozza, ma quando vi fu, una manaccia villana le cacciò un fazzoletto sulla bocca, e le soffocò il grido nella gola: Lucia si divincolava ma era tenuta da tutte le parti, faceva forza per pingersi verso lo sportello, per farsi vedere alla strada, ai campi, ma due braccia nerborute la tenevano per di dietro come conficcata al fondo della carrozza, due braccia nerborute ve la rispingevano per dinanzi, mentre tre bocche d'inferno dicevano con la voce più dolce che era lor concesso di formare: «Zitto, zitto, non abbiate paura, non vogliamo farvi male; non è niente, non è niente.» Lucia tra per la sorpresa, tra per lo terrore che andava sempre crescendo, tra pei pensieri tutti oscuri, e tutti orrendi che le passavano in furia per la mente, tra per lo sforzo che faceva e quello che pativa, sentì mancare gli spiriti: le sue idee si abbujarono, cominciò a veder come confusi fra di loro quegli orridi visacci che le stavano dinanzi, un sudore freddo le coperse il volto, allentò le braccia, lasciò cadere indietro la testa, abbandonò la persona al fondo della carrozza, e svenne. «Coraggio, coraggio» dicevano gli scherani, ma Lucia non intendeva più nulla. «Diavolo!» disse uno dei malandrini; «par morta.» «Niente, niente,» disse un altro, «ci vorrebbe un po' d'aceto da mettergli sotto il naso.» «È lì covato l'aceto...» disse il terzo: «se potesse servire quel fiasco di vino che è riposto lì sotto il sedile.» «Che vino?» riprese il secondo, «aceto vorebb'essere.» «Vedete che mala ventura,» disse ancora il terzo; «se giungessi arso di sete in una osteria disabitata, a cercar vino, troverei aceto, e qui che aceto ci vorrebbe...» «Taci gaglioffo, che non è tempo da sciocchezze,» interruppe il secondo. «Ohe!» disse il primo, «non dà segno di vita: se fosse morta davvero avremmo fatta una bella spedizione.» «Noi abbiamo eseguiti gli ordini puntualmente,» rispose il secondo; «se fosse accaduta una disgrazia non è nostra colpa.» «Che morta?» disse il terzo: «è un picciolo fastidio che le è venuto: eh! le donne ne hanno per meno d'assai: or ora tornerà in sè.» Mentre quegli sciagurati tenevano questo consiglio, ed esprimevano la loro inquietudine in uno stile degno del loro animo, la carrozza era uscita dalla via più battuta, aveva imboccata una stradella di traverso pei campi, e continuava rapidamente il suo cammino. Intanto colui che aveva afferrata Lucia, ed era un bravo di Egidio rimasto nella strada quando la carrozza partì, si guardò intorno, e certo che nessuno lo aveva scorto spiccò un salto sul pendio d'una riva, abbrancò un ramo della siepe, con un altro salto fu sull'alto della riva, e si

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Argomenti: sudore freddo,    ultimo respiro,    presunzione comune,    carrozza tanto,    picciolo fastidio

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