Fermo e Lucia di Alessandro Manzoni pagina 95

Testo di pubblico dominio

si abbattè sotto lo spavento: guai al tristo superbo, che ne pigliasse argomento di beffa e di dispregio: per questa debolezza che non è della vostra volontà, non sento altro che una pietà rispettosa: ma nella umiliazione del vostro terrore, ma nelle angosce della vostra infermità, come non avete pensato alle angosce che erano minacciate a quelli sui quali voi dovevate vegliare? Che! il lupo s'era mostrato, le pecore pascevano con sicurezza, e voi non avete pensato, non dico a difenderle, ma nè pure a farle avvertite. Coi cenni l'avreste dovuto, quando la parola vi fosse mancata.» «Ecco come vanno le cose,» disse Don Abbondio: «io mi confondo davanti a Vossignoria illustrissima, e faccio torto alla mia causa, per non saper ben dire le mie ragioni. Non le ho detto che quei due (due lì presenti, ma a contarli tutti, sono un reggimento) quei due mi hanno proibito espressamente, sotto pena della vita di parlare.» «Dio buono!» riprese Federigo, «voi avete creduto, voi credete ancora, voi sostenete dinanzi a me che una tale proibizione dovesse essere per voi un comandamento? Che doveste obbedire? Così dunque basterebbe un violento in ogni parrocchia per fare che il ministero fosse tutto sospeso, i pastori muti e schiavi? i deboli abbandonati? Che dovevate voi fare? Chiedere a Dio la forza che vi era necessaria, e Dio ve l'avrebbe accordata; non perdere un momento: avvertire quei due poveretti della iniquità potente che stava all'erta contra di loro, strascinarvi in Chiesa, e fare a malgrado dell'uomo quello che Dio vi comandava, consacrare la loro unione, e chiamare sopra di loro la benedizione del cielo: dovevate soccorrerli di consiglio, di mezzi per porsi al riparo con la fuga, cercar loro un asilo, fare quello che implorereste se foste perseguitato da un più forte di voi: dovevate informar tosto il vostro vescovo del loro, del vostro pericolo, dell'impedimento che una violenza infame poneva all'esercizio del vostro ministero. Io, io allora avrei tremato per voi; io avrei posto in opera tutto quello che Dio mi ha dato di ajuti, di aderenze, di autorità, per difendervi: io non avrei dormito fin che non fossi certo che non vi sarebbe torto un capello. Ah! per quanto l'iniquità trionfi, v'è pure ancora un po' di forza per la giustizia: ma i poverelli, inesperti, ignari, sfidati, non sanno dove andarla a cercare: bussano alla prima porta; e se la trovano chiusa, sorda, crudele, si disanimano affatto, e non sanno come adoprarsi. Quell'uomo che ardì tanto credete voi che avrebbe tanto ardito se avesse saputo che le sue trame, le sue violenze erano note fuor di qui, note a me? Vi dico che sarebbe stato contento di ritrarsi, e voi dopo aver fatto il debito vostro, sareste stato sicuro. Quella inquetudine che avete provata, l'avrei provata io, incessante, intensa, ingegnosa: io vi avrei promosso in luogo, fin dove certo le braccia di costui non si sarebbero allungate. Ma voi non avete fatto nulla. Nulla! Dio ha salvata questa innocente senza di voi: l'ha salvata... se dico troppo, se il mio giudizio è temerario, smentitemi, che mi consolerete... l'ha salvata a mal vostro grado.» Don Abbondio taceva: il Cardinale continuò: «È doloroso il terrore, sono increscevoli le angosce, è amara la pressura: voi lo sapete: ma sapete voi misurare la paura e le angosce che ha sofferte una vostra parrocchiana innocente?» Don Abbondio, dagli anni della pubertà in poi, non aveva mai occupato tanto poco di spazio come in quel momento: ad ogni parola del Cardinale egli si andava ristringendo, impicciolendo, avrebbe voluto sparire. Tacque egli per qualche momento, non trovando ragione da opporre in quel campo dove il Cardinale aveva posta la questione, e dove la teneva a forza. Finalmente per dir qualche cosa pensò a cangiarla e a ricriminare. Disse dunque con quella debolezza ostile che fa svanire anche la pietà che la debolezza ecciterebbe naturalmente: «Quelli che vengono a rapportare, ad accusare, non dicono tutto, Monsignore illustrissimo. Questo bel fiore di virtù, questa povera giovane è venuta per sorprendere il parroco e per fare un matrimonio clandestino. E quel suo sposo, era una buona lana, è andato a Milano, e sa il... cielo che cosa ha fatto: a buon conto ha dovuto fuggire.» «Io lo sapeva,» disse il Cardinale; «ma voi come osate parlare di questi fatti che aggravano la vostra colpa, che ne sono la conseguenza? Voi chiudete a dei poverelli la via legittima per giungere ad un fine legittimo, e siete voi quello che fate lor carico se ne hanno presa una illecita? Certo il vostro rifiuto non gli scusa: ma pensate voi bene in questo momento quale sia l'animo di colui a cui si nega quello che gli è dovuto? L'uomo è tanto artificioso per giustificare i mezzi, che lo possono condurre ai suoi desiderj! che debb'esser quando i desiderj sono giusti? Non è questa la più forte delle tentazioni? Mal fa chi soccombe anche a questa: ma che dite di colui che la dà? E quello sventurato giovane; bene avete detto, sa il cielo che cosa ha fatto! Ah! tutti errano pur troppo, anche quelli che dovrebbero raddrizzare gli errori altrui: v'ha tanti scellerati impuniti, Dio volesse che la pena, che il terrore della pena non cadesse mai sugli innocenti! Ma che ch'egli abbia fatto, egli profugo, esacerbato, col sentimento della giustizia negata, pregate Dio, io prego per lui e voi, che gli perdoni, e non vi accagioni di quello che egli possa aver fatto. Era egli prima d'ora uomo di risse, e di misfatti? e di rivolta? Io lo domando a voi, e Dio ascolta la vostra risposta.» «Questo non lo posso dire,» rispose Don Abbondio. «E voi non tremate?» ripigliò il cardinale. «Voi non pensate che se quest'anima la quale era stata affidata a voi, s'è pervertita, voi avete una terribile parte nel suo pervertimento? Un tiranno l'aveva contristata, provocata, esacerbata: era una tentazione: ma non la più forte; ma poteva divenire una occasione di offerta, di sagrificio, di rassegnazione. I poverelli sanno, debbono pur troppo saperlo, che v'ha dei soverchiatori violenti: hanno inteso dire fino dall'infanzia che Dio gli lascia spaziare alcun tempo su la terra per esercizio dei buoni, hanno appreso ad adorare, anche nella iniquità degli uomini, la giustizia, e la misericordia di Dio entrambe infallibili, ma riserbate entrambe a momenti ch'Egli solo conosce. E quante volte la persecuzione dell'empio non accresce in essi la fede? Ma quello che la turba, quello che inverte la loro coscienza, quello che travolge il loro proposito, è l'abbandono per parte di coloro che predicano la fede, la coscienza, il proposito. Un tiranno ha sbalzato questo sventurato giovane lontano dalla sua casa, l'ha staccato da quei mezzi, da quelle consuetudini, da quella vita nella quale egli poteva esser facilmente onesto. Ah! allora più che mai egli ha avuto bisogno di consiglio, e di soccorso! Allora una voce forte e amorosa doveva farsi sentire a quell'anima tentata; doveva dirle: bada! l'iniquità trionfante non ti confonda: ella non è eterna: la tua collera non ti vinca: ella non è giusta, perchè non ha ancora veduto la fine. Quell'infelice era sopraffatto dallo spettacolo dell'ingiustizia d'un uomo; un altr'uomo doveva rendergli visibile la carità, perch'egli la credesse, perchè l'amasse, perchè non si staccasse da essa. Chi doveva esser quest'uomo? – Ma egli ha veduta, ha sentita l'ingiustizia sola, l'ha veduta impunita, temuta: ha veduto colui dal quale aveva imparato a detestarla, ritirarsi, cedere, assecondarla, quando si è mostrata nella sua forza; dopo averla abborrita, egli ne è stato abbagliato, ne ha fatto il suo Dio. Non dite ch'egli era disposto alla perversità, e che ha colta la prima occasione per darsi ad essa. Sarebbe questa una scusa dolorosa, ma una scusa per voi, se aveste fatto quello che per voi si poteva, qualche cosa, per ritrarlo da quella via, per ritenere nel bene i suoi pensieri dubbiosi. Che avete voi fatto? Che conforto, che ricordo, che

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Argomenti: iniquità potente,    violenza infame,    debolezza ostile,    voce forte

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